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Raccolta di poesie in dialetto veneziano/Notizie intorno agli autori

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NOTIZIE


INTORNO

AGLI AUTORI COMPRESI IN QUESTA RACCOLTA.
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Giovanni Battista Bada, che ritrasse se stesso effettivamente nel sonetto a pag. 404 merita distinto posto fra gli scrittori nel dialetto veneziano.

Fu autore di componimenti moltissimi, di varii poemi, fra quali gode il primato lo Scaramuzza, e di annui pronostici conosciuti più propriamente sotto il titolo del Schieson del Bada, che furono sempre avidamente letti in Venezia dove nacque, e morì.


Giorgio Baffo, patrizio veneto, figlio di Giannandrea q. Giorgio nacque nel 1694 agli 11 di agosto da Chiara Querini q. Alvise q. Giorgio. Del 1737 si ammogliò in Cecilia Sagredo q. Gerardo q. Francesco. Ebbe varii magistrati, e ultimamente fu delle Quarantie. Morì del 1768; le sue poesie molto licenziose furono pubblicate in Venezia colla falsa data di Cosmopoli nel 1789 in quattro volumi in 8.°, e comprendono per lo più canzoni, sonetti, madrigali. Molte altre inedite di lui si conservavano presso l'ora defunto Teodoro Correr patrizio veneto. Non si può negare che il Baffo mostri molta originalità poetica, molta eleganza e naturalezza nello stile, ossia nel dialetto veneziano, frammischiato però, come usavasi allora, di parecchie parole italiane. Non sono peraltro tutti laidi gli argomenti dal Baffo trattati, e a noi parrebbe assai sconveniente se nel riprodurre la Collezione de' Poeti in dialetto veneziano, ommettessimo alcune cose del Baffo, le quali non offendono minimamente le pure e caste orecchie de' nostri leggitori. E siamo ben persuasi che se il chiarissimo Gamba si fosse data la pena di scorrere attentamente i detti quattro volumi delle Opere del Baffo, non avrebbe asserito (p. 154 Dialetto Veneziano) che non v'ha scritto di Giorgio Baffo che non sia licenzioso; e avrebbe forse dato luogo anche a qualche cosa di questo poeta nella collezione 1817 Tip. Alvisopoli, vol. 14 in 16.°, del qual Baffo lo stesso Gamba dice: cui non mancano le doti di valente ed inspirato poeta (pag. 141 Dialetto). Del Baffo leggasi l'articolo nella Biogr. universale steso da Guinguenè, colle opportune osservazioni a difesa de' veneziani costumi dettate da S. C-I (Spiridione Castelli).

Quest'uomo di strano umore ebbe i natali il dì 9 febbrajo 1726 in Portogruaro da Bernardo Barbaro, patrizio veneto, ch'ivi era allora Podestà, e da donna non nobile. Non potendo per le patrie costituzioni ve[p. 508 modifica]nir ammesso al maggior Consiglio egli indossò le vesti del sacerdozio, al cui stato forse non avea la miglior propensione. Educato alle lettere, e sortito avendo dalla natura un vivacissimo ingegno, si adoprò, e riuscì a migliorare i mezzi di sussistenza con uffizi affidatigli dal Governo, spendendo poi le ore di ozio tra le muse, che gli prestavano spontanee i sali, e le grazie, del patrio dialetto. Ogni novelluzza narrata a un caffè, che di buon grado egli frequentava, ogni avvenimento cittadinesco, aizzavano il suo prurito alla satira, e ne fan prova parecchie centinaia di madrigali stizzosi da esso indirizzati al suo caro amico Francesco Liarca segretario del Senato, i quali si conservano, con altre sue poesie, nella doviziosissima collezione di patrie lautezze fatta dall'egregio patrizio sig. Teodoro Correr. È famoso in Venezia un dramma del nostro Barbaro, intitolato Anna Erizzo in Costantinopoli, scritto nel dialetto veneto con rarissima leggiadria, ma che non dovrà mai pubblicarsi, campeggiandovi troppo per contro la satira e l'indecenza. Lo stesso dire si può di altri suoi componimenti, fra quali a fatica si sono scelti dal Gamba que' pochi inseriti in questo volume. Erano all'autore familiari le mordaci risposte, ed i frizzi, ma sfuggitigli appena di bocca ne sentiva egli stesso vivissimo dispiacere; e parendogli d'essere per questa causa venuto in ira a' suoi concittadini non si fidava di camminare solitario durante la notte, e teneasi sempre a lato un fido e ben armato domestico, per lo che non di rado gli avvenne d'essere arrestato e maltrattato dalla sbirraglia. Sul finire della sua mortale carriera egli diventò sordo talmente da non poter introdurre all'orecchio il suono della voce che per un tubo. Gracile e trascurato nei metodi di un buon regime non visse che anni 53, e mancò in patria nel dì 23 marzo 1779.

Bartolammeo Bocchini, fu scrittore bolognese, e fiorì verso il 1650. Si ricordano di lui i componimenti poetici coi seguenti titoli: Miscuglio delle rime Zannesche; La corona macaronica; La piva dissonante, la sola composizione dettata in lingua italiana; ed il Trionfo di Scapino; da cui fu tolta la canzonetta inserita a pag. 61.

Paolo Briti era comunemente chiamato il Cieco da Venezia. Molte sue canzoni popolari si trovano separatamente impresse, nè poche son quelle che si conservano nella Marciana, pubblicate dal 1620 al 1625. Fu fatto prigione verso il 1621, non si sa per quale sua inimicizia, ma venne poi liberato. Così scrisse il Gamba di questo poeta nella sua Serie degli scritti in dialetto veneziano.

Pietro Buratti, nato a Venezia di famiglia bolognese, morì nel 20 ottobre 1832 in un suo poderetto a Mogliano, sulla strada, che conduce da Mestre a Treviso. Lo sfogo malinconico per la morte del suo primogenito fu impresso nel giornale di Milano, l'Eco Num. 85, Luglio 1830. Sarebbe onorevole pel dialetto veneziano, che tutti fossero raccolti i di lui scritti, e facendone rara scelta [p. 509 modifica]si pubblicassero que' lavori, ai quali da qualche tempo attendeva, e vogliam dire spezialmente alcune odi di Orazio, ed alcune satire di Giovenale.

È scrittore diligente nel dialetto veneziano, e le cose di lui, che si hanno alle stampe, chiaramente il dimostrano. Tale si appalesa il suo amore a questo dialetto, che nelle fatte pubblicazioni volle sempre accentata ogni parola, onde forse non si cadesse mai in equivoco di pronunzia, avvertenza questa non però usata da alcuno degli scrittori passati e presenti.

Molte satire del P. Cacia ci sono venute alle mani, dice il chiar. Gamba, come non meno altre di Gio. Francesco Businello, del prete Giambattista Grotto, di un Mocenigo, di un Badoer, e di altri scrittori della metà del XVII, e del principio del XVIII secolo. Quantunque non manchino di buone immagini, di sali, e di acute riflessioni, nulladimeno non istanno a martello co' componimenti de' più colti e più moderni nostri scrittori. La sola satira dell'Ipocrisia, scritta da un uomo, di cui non si conosce altro che il nome, parve che possa esser letta volentieri, come la sola, che imbrattata non sia di molte sozzure.

La raccolta da cui furono tolte le presente rime è intitolata: Rime Piacevoli di diversi Autori, raccolte da Mess. Modesto Pino, et intitolate, la Caravana. In Venexia, appresso Sigismondo Bordogna, 1573 in 8.° edizione poi replicatasi, ivi appresso Altobello Salicato, 1580 in 12.°, ed inoltre in Trevigi, appresso Angelo Reghettini, 1612 in 12.° Tutte queste edizioni sono oggidì divenute assai rare, e contengono componimenti innocui e gentili, ed altri non pochi imbrattati di oscenità. Resta ignoto l'autore, e quantunque dal frontispizio del libro apparisca che più d'uno v'abbia avuto parte, ciò non ostante si crede che le varie poesie appartengano ad un ingegno unico e solo; eccezione fatta al Primo canto dell'Orlando Furioso nuovamente trasmutao, ch'ivi si legge; lavoro di tenue importanza.

Uno dei due fratelli sacerdoti, che fondarono il benefico stabilimento delle scuole della Carità, e che ora si occupano alla riedificazione della chiesa di s. Agnese. Il ditirambo la Zucca fu sempre letto con piacere, e non dovrebbe essere la sola composizione vernacola di questo autore.

Un sonetto solo, ma grazioso, di questo illustre scrittore della grandiosa opera delle Inscrizioni Veneziane, abbiamo potato inserire nella presente raccolta, quello stesso dal Gamba nella sua collezione inserito. Forse la eccessiva modestia dell'autore non ha mai permesso di più. [p. 510 modifica]

Da una raccolta di varie cose dal Cicogna stampate abbiamo scelto le poche qui inserite senza per questo togliere il merito reale a quelle che furono da noi ommesse.

Gentile nei suoi dettati, e brioso, sarà sempre a desiderarsi ch'egli continui a rendersi caro alle muse, onde avere un posto distinto fra i poeti vernacoli.

Giuseppe Cumano vide i natali in Feltre, dove esercitò con distinzione, e con onoratezza, l'avvocatura, e dove morì. Dai molti manoscritti, che il co. Giovanni Zannetteli ha potuto favorirci, quelli abbiam scelto, che ci parvero i migliori. Scrisse non poco il Cumano, e, comecchè scrittore di molto spirito, è a dolersi che non siasi occupato in dettare cose di maggior rilievo per accrescere lustro al parnaso veneziano.

Lazzaro Crusola, o da Curzola. Da un opuscoletto senza data in 8.° intitolato; Frotole nuove de Lazzaro da Curzola, venne tratta quella qui inscrita alla pag. 11. Il lettore non immagini di trovar la poesia delle scuole; i canti popolari, dice il Gamba, non sono che la espressione di naturali sentimenti, che non tralasciano per questo di essere oggetto di studio e di osservazione.

È il Foscarini un autore assai benemerito del patrio dialetto; che scrisse molto, e scrive tuttora; i suoi sonetti, al qual genere, piucchè ad altro, sembra inclinato, sono piacevoli, cospersi qua e là di sali, onde si tengono in pregio.

Benedetto Giovanelli scrisse più cose in lingua italiana, di quello sia nel dialetto veneziano, epperciò si dovette limitare a dar luogo in questa raccolta al buono, che scelse il Gamba pella sua collezione.

Dopo la raccolta delle di lui opere pubblicate in Venezia nel 1761 a cura di G. Batt. Pasquali, il libraio Zatta ne fece la ristampa adorna di figure, e dietro la nuova distribuzione dei componimenti suggeritagli dall'autore da Parigi. Fu questa la ventesima edizione data in luce, e ne vennero in seguito altre non poche fatte con economia, con eleganza, ed anche con lusso.

«Alle commedie in dialetto veneziano scritte dal Goldoni devesi quella più universale intelligenza, in cui questo dialetto è venuto in Italia. Dipingendo l'autore in tale linguaggio carezzevole le scene più vere, seppe produrre una illusione drammatica così, che sembra di essere presenti a quei suoi dialoghi familiari, a quelle sue [p. 511 modifica]casalinghe peripezie. Anche oggidì, se valenti attori rimettano in iscena qualche commedia del Goldoni, non si lascia il teatro senza un vivo sentimento di riverenza pel di lui nome. Nelle due, La buona moglie ed i Rusteghi, stanno principalmente le veneri del veneziano dialetto. Le morbinose, e Chi la fa l'aspetta furono dall'autore stesso ridotte a lezione italiana, e quelle son che si leggono, la prima col titolo Le donne di buon umore, e l'altra con quello La burla retrocessa nel contraccambio.» Così nella Serie degli scritti nel dialetto veneziano del chiaris. Gamba.

Francesco Gritti nacque in Venezia il dì 12 novembre dell'anno 1740 da Giannantonio Gritti, e da Cornelia Barbaro, donna di molto spirito, non istraniera alle muse, e non discara a' poeti più conti di quella stagione, quali un Bettinelli, un Frugoni. L'asse paterno era di assai limitato, e perciò Francesco ebbe nell'Accademia della Giudecca quella educazione, che la pubblica munificenza accordava a' men doviziosi fra gli ottimati. Il P. d. Stanislao Balbi lo instituì nelle lettere amene, e il P. d. Luigi Fabris nella filosofia. Fu ammiratore ed amico di entrambi, ma l'accigliata Sofia non istrinse grande amistà con un giovane nato per salire in parnaso. Compito il suo tirocinio indossò la toga patrizia, e giunto ai trent'anni, età dalle leggi prescritta, con larga maggioranza di voti venne eletto a giudice ne' consigli de' Quaranta. L'integrità e il senno, con cui amministrava la giustizia, avrebbongli aperto il campo a una carriera più luminosa, s'egli, d'altronde grato ai favori de' suoi cittadini, non se ne fosse schermito. In fatti non cessò da quell'uffizio che col cessare della repubblica; e tranne pochi mesi di una destinazione, ch'ei per celia assomigliava a una farsa, la morte politica della sua patria segnò l'epoca di una vita onninamente consecrata a quella poesia, ch'era stata il suo idolo anche in seno alle pubbliche cure, e lo fu sino all'estremo respiro.

„Così dolcemente intrattenendosi menò una vita lieta e tranquilla sino al dì 16 gennaio del 1811, in cui da repentina morte colpito pagò l'inevitabil tributo. Contava l'anno settantesimo primo; ma la freschezza de' lineamenti, l'energia dello spirito, l'attitudine di tutte le sue facoltà, lusingavano che non dovesse essere così vicina una perdita tanto increscevole.„ In tal modo scriveva di Francesco Gritti l'ab. Antonio Meneghelli nella vita posta in fronte alla edizione della tipografia di Alvisopoli dell'anno 1824.

Monumento curioso di storia nazionale è un componimento in cui al vivo, con leggiadria, e di quando in quando colle voci medesime di attori, che vivevano da trecent'anni addietro, si trovi descritto un trattenimento popolare celebratissimo. Per tale si riconoscerà quello, che qui si pubblica, e col quale si descrive una guerra tra due celebri fazioni della città di Venezia, i Castellani e i Nicolotti, seguita nel giorno di san Simeone dell'anno 1521. La stizza e la gelosia de' partiti, gli [p. 512 modifica]accidenti del giuoco, il calor delle pugne, la bella imparzialità del cantore, tutto piace e rallegra; e se si eccettui una qualche voce oggidì messa fuori di uso, ma di cui è facile indovinare il significato, il vernacolo usato riesce pienamente intelligibile a fronte della sua antichità. Ebbe il chiar. Gamba per esemplare, nella edizione delle migliori poesie in dialetto veneziano, un'assai rara, e poco nota, stampa fatta in Venezia per Giacomo Vincenti, 1603 in 12.° per opera di un meschino uomo, il quale si è nascosto sotto il nome di Comogolo di Stentai Mazorbian. Questi nella dedicatoria scrive di aver potuto carpire dalla bottega di un pizzicaruolo l'originale, ch'egli ha reso pubblico nella sua Lengua antiga Venetiana dopo di avelo fatto esaminare da uomini giudiziosi et eccellenti che lo hanno innalzato tutti a trombe e a piffari, e celebrato più che no se fa el Morgante Maggiore, el Petrarca, e Olimpio da Sassoferato ec. Senza bisogno delle ampollosità di questo secentista è certo che fu fatta buona accoglienza al poemetto, che con molta fatica venne dal Gamba ridotto ad una buona e chiara lezione.

Nacque in Venezia, ma visse ramingo ora in Francia, or per Italia, finchè dopo varie e curiose vicende compì il suo corso verso l'anno 1613. Tra le opere, che gli procacciarono maggiore stima, sono da ricordarsi le sue critiche al celebre Pastor Fido, un Discorso della Poesia rappresentativa, Ferrara 1598 in 8.°, e l'operetta intitolata Del Buon Segretario, Libri III. Roma 1594 in 4.°, assai lodata da Apostolo Zeno, e più volte venuta a luce. Maggiori notizie intorno alla sua vita e alle sue opere possono aversi nella storia della Letteratura Italiana del Cav. Tiraboschi, nella Vita del Cav. Marliani del P. Affo, e nella Vita di Torquato Tasso dell'Ab. Serassi.

Ebbe i natali in Venezia nel dì 6 aprile 1709 da Gio. Francesco Labia senatore, e dalla nobilissima dama Maria Civran. Per vivere in una filosofica oscurità, e dedicarsi agli studi ed alle amene lettere latine e italiane, evitò di prendere posto negli affari della sua repubblica, e vestì collare di abate, il che non gl'impedì punto d'incontrare nozze legittime con una sposa di rango al suo inferiore. Che fosse uomo di calda fantasia, di prontezza d'ingegno, e di cuore repubblicano, lo dimostrano i pochi, ma leggiadri, sonetti qui inseriti. Che fosse di rettitudine religiosa e di tenace proposito nelle sue opinioni lo dimostra la bella Arringa al Senato, mirabile per la naturalezza con cui è dettata, facendo sì che appena possa il lettore accorgersi d'essere essa legata alla terza rima. Si pubblicarono i Sonetti e l'Arringa per la prima volta nell'edizione del Gamba, che fu assai grato al dottissimo mons. Giambattista Rossi can. arciprete della cattedrale di Treviso, il quale, secondando le istanze dell'egregio Petronio Maria Canali, cedette a graziosa prestanza un manoscritto dall'autore medesimo postillato. L'Arringa non è mai stata condotta a compimento, e dopo l'ultimo verso si legge: l'autore di più non [p. 513 modifica]scrisse; e ciò di suo proprio pugno. Meriterebbero pubblica luce altresì molti suoi componimenti satirici dettati nella lingua del Lazio.

Compì Angelo Maria Labia la sua mortale carriera nel dì 7 di settembre 1775 in età di 66 anni.

Nella raccolta delle poesie veneziane, fatta a cura del ch. Gamba, furono pubblicate per la prima volta queste del Lamberti. Chiunque ama le amene fantasie di Anacreonte, i vivi sali di Esopo, le tenere pitture di Mosco e di Teocrito; e chiunque ha vaghezza di vedere al vivo dipinti e costumi, e passioni, e caratteri, e la più amabile giovialità, avrà di che soddisfarsi colla lettura delle inimitabili canzonette, degli apologhi, e degl'idillj, delle stagioni cittadinesche e campestri. L'autore si è occupato in opere di maggior polso, che se fossero tolte all'oscurità nella quale si trovano, arricchirebbero di sempre nuovi e preziosi tesori il veneziano dialetto, così nato fatto per l'armonia da meritarsi il sorriso più puro delle Grazie sotto il cielo italiano. Morì in Belluno nel 23 settembre 1832.

Luigi Antonio Martignon nacque in Treviso nel giorno 15 Aprile 1791, e cessò ivi di vivere nel 4 gennaro 1837. Fu il primo di cinque fratelli. Ebbe educazione nel collegio del fu can. Cricco in Fossalunga; di là passò in quello di Castelfranco, e da ultimo nel patrio seminario sino all'anno 1809, alla qual'epoca il padre di lui volle iniziarlo negli affari, e quindi dovette egli interrompere i propri studi.

Mancatogli però il genitore nel 1813, e volte in male le faccende familiari, si occupò a vicenda negli impieghi municipali, e nelle speculazioni librarie, e fu ultimamente cancellista presso la regia finanza in Treviso.

Era il Martignon di svegliatissimo ingegno, tendente piuttosto alla satira, ma la semente gettata in buon terreno diede qualch'ottimo frutto. Si intendeva discretamente di belle lettere, delle scienze naturali alcun poco, ed alla interrotta educazione supplì colla lettura, sebbene non sempre scelta, nè determinata. Il suo genio per la poesia nel dialetto nostro tardi gli si svegliò, nulla meno molto scrisse, ed in varie occasioni stampò, ma una gran parte dei suoi dettati rimase inedita, che meriterebbero d'essere pubblicati.

Gian Giacomo Mazzolà, padovano, fu medico di professione, e terminò in patria i suoi giorni nel 1804. Sappiamo che in lode della treccia di Nina aveva dettati nulla manco che cinquecento sonetti. L'ab. Pier Antonio Meneghelli, da non molto mancato ai vivi, compatriota ed amico del Mazzolà, ne scelse i Cento, che ora si pubblicano di nuovo dopo la stampa da esso fattane in Padova sin dall'anno 1785. Piacquero di maniera che se ne ripeterono l'edizioni. Questa da noi intrapresa è certamente più nitida, più corretta, e più delle altre esatta nella ortografia del dialetto, non restandoci che il [p. 514 modifica]desiderio di ottenere il manoscritto degli altri 400 sonetti per farne buon uso nè possiamo per questo che pregar vivamente chi li possede.

Dalla nostra tipografia uscirono testè in un volume raccolti i Pronostici di questo autore, che hanno ottenuto encomio dal chiarissimo Tommaseo, ed onorevole menzione da alcuni giornali.

Ora pubblichiamo le altre di lui produzioni, ch'egli stesso volle, come quelli, rivedere e correggere, ed inseriamo nella presente raccolta il Regno immaginario, quale saggio della sua singolar fantasia.

Pier Antonio Novelli, pittore, nacque in Venezia del 1729 a' 7 settembre. Ognuno conosce la sua valentia nell'arte della pittura, e noi avevam desiderio di presentare al lettore della presente raccolta assai più che un di lui sonetto, ma non abbiamo nostro mal grado potuto farlo. Morì in patria a' 13 gennaio 1802. È stampata la vita scritta da lui stesso.

La vita medica, travagliosa, e avvolta fra melanconiche idee, tien uopo de'suoi sollievi. Siccome ebbe fatto il medico Mazzolà, così pur fece l'altro medico Lodovico Pastò; che tutti e due si ricrearono con la poesia nel dialetto veneziano. E certamente che se la musa del Mazzolà era festevolissima, non lo fu meno quella del Pastò. Era questi di Venezia, ove nacque l'anno 1746; aveva studiato alle scuole de' gesuiti, apparò l'arte della medicina teorico-pratica a Roma, ed a Padova, e la esercitò a Bagnoli di Conselve dall'anno 1774 sino all'anno 1806, nel quale vi è morto nel mese di giugno. Il Pastò fece la sua prima comparsa col ditirambo El Friularo de Bagnoli, quale piacque di maniera che ne furono fatte parecchie edizioni. Egli non voleva pubblicare altra cosa, ma cambiò di tenore per le incomode sollecitazioni degli altri; nulla per altro diede più fuori, che ben ricordasse l'autore del Friularo. Un volumetto di sue Poesie, che cominciato a stamparsi dall'autore sarebbe rimasto imperfetto per la morte, che a mezzo lo colse, venne da un suo fratello portato al compimento. Da questo libro si tolsero le poche cose migliori; già riserbato al ditirambo del Friularo il primato.

Giovanni Pozzobon nacque da onesta gente in Trevigi a' 10 di agosto 1713. Fu collocato da giovanetto nella stamperia Conzati di Padova, da dove si restituì in patria nell'anno 1744. Obbligato ivi a procurarsi i mezzi di sussistenza si dedicò all'arte libraria, senza però abbandonare la cultura dello spirito, e soprattutto la poesia, cui era dalla natura inclinato. Pubblicò il suo primo pronostico col nome del Schieson Trevisan nell'anno 1744, e continuò poi sin ch'ebbe vita a darlo annualmente a luce. Tanto piacque questo popolare libretto che ne vennero im[p. 515 modifica]pressi da 40 sino a 80 mila esemplari per anno. Il Pozzobon prese moglie all'età di 53 anni, e n'ebbe tre figliuoli. Cessò di vivere a' 10 di luglio dell'anno 1785.

Era di serio contegno, ma nel tempo stesso lieto e gioviale. Dilettavasi di pittura e di nummaria, ed era riuscito a formarsi una serie di medaglie, sì romane che del medio evo. Dopo la sua morte furono raccolte tutte le sue poesie, e stampate in Padova per Carlo Conzati, senz'anno, ma nel 1788, e segg. in 5 volumi in 8°. Da questa faraginosa raccolta si sono tolte le poche cose inserite nella presente edizione, come fece il Gamba, in attestato di riverenza ad un nome benemerito del dialetto veneziano.

Dalla spontaneità del componimento il Bouquet si vorrebbe francamente asserire, che il N. U. Nicolò Priuli, amante del dialetto della sua patria, ne coltivi con effetto felice la musa, e che abbia dettato altre cose di maggior conto, le quali si meriterebber la stampa.

Giovanni Querini qu. Vincenzo fu un fertile scrittore di poesie in dialetto veneziano, ed il Gamba ci ricordò, che in un codice della Marciana se ne contengono molte, che meriterebbero di essere pubblicate.

Tati Remita è nome anagrammatico di Tita Merati, e l'autore di questi sonetti fu don Giambattista Merati veneziano, che fiorì poco dopo la meta del secolo scorso, e che visse riputatissimo abate della sua religione de' monaci benedettini di s. Giorgio. Abbiamo di lui alle stampe i Saggi Metrici. In Venezia per il Deregni, 1763 in 8.°, i quali formano un'ampia raccolta di sonetti nel dialetto veneziano, di argomenti per la maggior parte filosofici e morali, e somiglianti ai caratteri di Teofrasto, cioè diretti a regolare i social i costumi. Ottima è stata l'intenzione dell'autore, ma le sue poesie mancano affatto di gusto e di spirito, nè si possono commendare che per molta facilità. I pochi sonetti qui inseriti sono tratti dall'opera sopraccennata.

Pietro Sala, che esercitava la avvocatura, ha meritato che il chiar. Gamba offerisse un saggio del suo valore poetico nella collezione delle migliori opere scritte nel dialetto veneziano. Da questo saggio potrebbe dedursi che d'altre cose sia stato autore, le quali però non ci fu dato di possedere.

Marco Spranzi nacque in Vicenza nel 29 Aprile 1762, ed ivi cessò di vivere nel 18 Febbraio 1832. Fu buon poeta vernacolo, come lo dimostra l'elogio dei cani, che per la prima volta viene inserito in questa nostra raccolta di poesie veneziane, e come potrebbero dimostrarlo altri componimenti da lui non pubblicati. Qualche leggier cambiamento è occorso nella lezione per adattare possi[p. 516 modifica]bilmente alcune espressioni dell'autore al vero nostro dialetto.

Abbiamo voluto anche noi conservare il cognome anagrammatico di Pirro Teozzi, segnato dal Gamba nella sua collezione di poesie veneziane, e ripeteremo egualmente con lui il desiderio, che tant'altri componimenti di questo autore, Pietro Zorzi, vedessero la pubblica luce, per lo che facciamo opportuno eccitamento a quegli cui toccò in sorte di possederne i mss., e bramiamo di non farlo invano.

Eravamo al compimento della presente raccolta quando a mezzo del sig. Nicolo dall'Armi di Feltre ci venne alle mani il ditirambo sull'uva, che non sarà certo il solo componimento dall'autore dettato. Nacque il Tonelli in Feltre, e cessò di vivere in Venezia impiegato nel giudiziario.

Maffeo Veniero, patrizio veneziano, nacque nel dì 6 giugno 1550 da Lorenzo Veniero e da Maria Michieli, e fu nipote di Domenico Veniero, uno de' famigerati poeti del cinquecento. Appena uscito di educazione in luogo di dedicarsi alle cure del patrio Governo intraprese frequenti viaggi, e visse qua e colà nelle corti de' principi, e specialmente in Roma nel pontificato di Sisto V, ed in Toscana favoreggiato molto dal gran duca Francesco. Essendo ancora in età giovanile ottenne per i singolari suoi meriti l'arcivescovato di Corfù, e a maggiori gradi sarebbe salito se avesse potuto godere di lunga vita. Ignorasi se sia mai stato ad amministrare la sua chiesa, ma sussiste una lettera scrittagli per congratulazione da Giambattista Leoni suo amico1, da cui apparisce, che la dignità ecclesiastica poco dovea essere confacente al suo umore: Non mi posso intieramente accomodare (gli scriveva il Leoni) nel vedervi con questo obbligo tanto repugnante alla natura e alla libertà del vostro vivacissimo ingegno. La dignità è bella, desiderabile, l'avete avuta con condizioni onorevolissime, e ne vengono in conseguenza, per quello che s'è conosciuto, ne' patroni mille argomenti di speranze nobilissime; tuttavia io, che non so tutto quello che è Corte, e quello che si voglia dire arcivescovato, e che conosco il sig. Maffeo, vorrei piuttosto vedervi luogotenente del primo nobile, e ogni altra cosa maggiore, che sentirvi contra al vostro genio volger catechismi, pensar a cura d'anime, a ministeri de' sacramenti, a visite di diocesi, a prediche, e ad altre così fatte obbligazioni necessarie all'offizio e carico vostro. Una pittura poi del suo ingegno l'abbiamo in altro brano di lettera da Giuliano Goselini indirizzata al suo zio Domenico2: Il sig. Maffeo venne a vedermi per moltiplicarmi i favori. Trovailo di presenza, di creanza, e di maniere amabilissimo oltramodo; di poesia poi e di [p. 517 modifica]erudizione, sebbene in me non n'è tanta che possa in altrui giudicarla, tale, che era più atto ad insegnarmi, che punto bisognoso di alcun mio ricordo. Mi fece grazia, quel poco tempo che stemo insieme, di recitarmi i suoi sonetti toscani, oltre a qualch'uno nella propria favella, tutti figurati e maravigliosi; ond'io mi credo mostrar giudizio dicendo, che lo pongo infin da ora nel numero di quei pochi che meglio hanno scritto. Durò per poco tempo al Veniero quest'onorifico posto assegnatogli dal Guselini poichè, viaggiando egli da Roma a Firenze, venne per istrada fatalmente colto dalla morte nell'età freschissima di anni trentasei; e cio seguì nel 1586 per le notizie trattesi da un necrologio manoscritto, che serbasi nella Marciana.

Tra i componimenti lasciati da questo scrittore è famigerata una sua tragedia l'Idalba, che l'Ammirato lodò moltissimo nei suoi Discorsi. Alquante sue poesie toscane furono raccolte e pubblicate dal Serassi in Bergamo3. La canzone la Strazzosa è una delle più leggiadre poesie ch'abbia il nostro dialetto. La castigatezza non è per vero dire sempre sostenuta allo scrupolo, e perciò l'editore Inzegneri raccomanda nella sua prefazione; che se ghe fusse qualche parola che no avesse cussì bon saor, e che fusse contra le creanze, o che zenerasse fastidio in la fede, i se contenta de creder che queste xe cosse fatte da boni cristiani obedienti al santo Papa; ma che qualche volta se dise de le bagatele non troppo salde per accomodarse a la rima. Dopo di che a difendere il Venier dall'accusa, datagli da varj oltramontani, d'esser egli stato autore di un nefando capitolo intitolato la Zaffeta, basti il dire che questo vide la luce nell'anno 1531, prima quindi della nascita di Maffeo, e fu poi ristampato di là da' monti nell'anno 1651.

Abbiamo fatto scelta delle poche cose di questo nuovo scrittore poeta vernacolo da una raccolta non à guari pubblicata in Venezia.

Riscontrandosi nell'autore una fantasia non comune, e molta spontaneità, a noi non resta se non se il desiderio di vederlo costante coltivatore della veneziana sua musa, e salire a quel grado di fama, cui arrivaron tant'altri, che non paventarono le erte cime del nostro parnaso.

Carlo Zilli prete veneziano nato nella parrocchia di s. Pietro di Castello, già addetto a quella di san Vitale, fu precessore dell'illustre abate Antonio Bonicelli nella custodia della celebre biblioteca Pisani a santo Stefano. Dovette lasciare quest'onorevole incarico quando dalla famiglia stessa venne nel 1783 eletto a rettore della chiesa di s. Maria di Boara Pisana, diocesi di Padova, della quale assunse il governo nel 29 giugno di quell'anno. E prima e dopo occupossi sempre nello studio, e nella erudizione storico letteraria; e tanto nei ca[p. 518 modifica]techismi, che nelle spiegazioni del vangelo usava il dialetto veneziano, che adattandosi alla intelligenza de' suoi popolani riusciva più gradito. In questo dialetto poi con assai facilità scriveva poesie fino dal 1770; e dalle molte abbiamo creduto scegliere le poche, che in questa raccolta diamo per saggio; ommesse assai di quelle, che fatte per alcuna circostanza pubblica o privata de' suoi tempi, ora non avrebbero avuto piu interesse. Morì colpito d'apoplessia nella sua residenza di Boara l'anno 1819 il dì 29 novembre. Non consta che vivente abbia egli stampato cosa alcuna col suo nome; e solo sospettiamo che abbia avuto parte in una raccolta intitolata le Muse Veneziane per le nozze del nobile uomo Alvise Pisani colla nobildonna Giustiniana Pisani (Venezia, senz'anno o luogo, o stampatore, in 8.°); nella quale alcune delle poesie ponno ragionevolmente essere state da lui dettate. Dobbiamo alcune di queste notizie biografiche al reverendo don Giuseppe Scarso rettore della Boara Pisana; e le poesie alla gentilezza del signor Giuseppe Pasquali, in cui potere pervennero alcuni manoscritti dello Zilli.

Marc'Antonio Zorzi, patrizio veneto, nacque da Lorenzo Zorzi e da Regina Contarini nel dì 26 febbraro 1703. Educato alle ottime discipline, come lo furono gl'illustri suoi contemporanei concittadini, i Farsetti, gli Algarotti, i Foscarini, i Gozzi, i Goldoni, e tant'altri, prese egli singolare affetto alla giurisprudenza, e all'oratoria, e salì in così alta fama nel suo Governo da essere in qualche crisi della repubblica onorato di delicatissimi ufficii. Si mantenne giudice incontaminato ne' consigli di Quaranta per oltre 44 anni, ed ivi per lunga epoca coprì eziandio l'ufficio di contradditore, che vale a quello di procuratore regio. Le più intricate quistioni del foro erangli argomento di private esercitazioni, e lasciò vari scritti, ne' quali si veggono svolte e rischiarate quelle idee del giusto ch'erano per le venete costituzioni il Codice de' magistrati. Agli studi ameni dedicava gl'istanti di suo riposo, e restano presso i suoi eredi molte operette di varia letteratura, ed alcune versioni dal latino e dal francese di componimenti teatrali. Appassionato il Zorzi per il patrio dialetto trasportò in questo alquante orazioni di Cicerone, che tuttavia restano inedite, e moltissime poesie dettò, alcune delle quali peraltro con troppo libera penna, siccome fatte per rallegrare le società, nelle quali egli era sempre desideratissimo. Le pochissime quì inserite sono forse per gentilezza di pensiere, e per felicità e candore di sposizione, tra le più gaie della nostra raccolta. Visse assai lungamente, e morì nel dì 29 gennaro 1787. Era di statura piuttosto alta, di leggiadro aspetto, di occhi vivaci, assai dignitoso del portamento, e a malgrado degli oltraggi della vecchiaia conservò sempre quella vivacità di spirito, e quell'attività giovanile, che a pochi il Ciel largo dispensa.


FINE.




Note
  1. Lettere familiari. Ven. Gio. Battista Ciotti 1592 in 4° pag 1. La lettera porta la data 3 maggio 1583.
  2. Sta in fronte alle Poesie dei Venieri, ediz. di Bergamo, Lancellotti, 1751 in 8.°.
  3. Rime di Domenico Veniero, con altre di Maffeo e di Luigi nipoti dell'autore. Bergamo, per il Lancellotti, 1751 in 8.°.
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