Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano/Scritti del secolo XVII
1832
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Edission original: |
Bartolommeo Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, compilata ed illustrata da Bartolommeo Gamba, giuntevi alcune odi di Orazio tradotte da Pietro Bussolin, Venezia, dalla tipografia di Alvisopoli, 1832 |
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Ha nome infelice ne' fasti dell'amena letteratura il Secolo decimosettimo, ma non dovrebbe averlo a segno da meritarsi disprezzo senz'eccezioni. Quel vaniloquio fucato e ampolloso che dominò spezialmente nelle scritture uscite dall'Italia settentrionale, non iscorgesi in tutt'i componimenti, e ciò potrebbesi di leggieri conoscere se attesa l'arditezza e la erroneità delle massime non giudicassi di tralasciar d'inserire qui due Canzoni sull'Interdetto fulminato contra i Veneziani da Papa Paolo V. Una di queste Canzoni sta manoscritta in un vol. di Miscellanee della Marciana segn. 359. in 4.to, e l'altra è impressa nel libro: Controversia Memorabilis inter Paulum V. Pontificem Max. et Venetos etc. In Villa Sanvincentina apud Paullum Marcellinum sumptibus Caldorianae Societatis, Anno 1607, in 8vo. Quel clamoroso Interdetto ha tenuto in esercizio tante penne e in prosa e in verso, da potersi fare raccolta di non pochi volumi. Quando seguì la pace del Papa co' Veneziani, nel 1606, s'impresse sino in lìngua rustica vicentina un lungo componimento col titolo seguente: Scalpuoria de d. Lucio Marchesini, in sta lengua chiamò Cecon di Paravia da Monteselo, fata per la Pase stabilìa fra el Santo Padre e el nostro Paron Dose de Vegniesia, In Vicenza e in Pava, per Lenzo di Pasquiti (1606) in 4.to.
Di poesie vivaci, e che debbono alla naturalezza ed al ritmo il loro principal pregio, come sono quelle del cieco veneziano Paolo Briti, riporterò qualche saggio. Quelle Canzoni che si troveranno registrate, dette Sboraure di un Anonimo, que' Componimenti poetici di un Gnesio Basapopi, di un Basnatio Sorsi, di un Domenico Balbi, di un Bartolomeo Bocchini, del Gran Pescadore di Dorsoduro, e qualche Dramma, accrescono, è vero, la suppellettile delle volgari scritture veneziane, e sono buone miniere da cui trar fuori originali frasi non osservate e non registrate ne' nostri Vocabolarj; ma ad eccezione di sì utile scopo non varranno esse forse mai più a conciliarsi un leggitore sofferente.
Fu straordinario il prurito di scrivere Satire in questo Secolo, ed un Menzini, un Adimari, un Salvator Rosa debbono spezialmente a questo genere di poesia la loro rinomanza. Anche i Veneziani andarono allora contenti di averle nel loro vernacolo, e noi vedremo ricordati un Giovanni Querini, un Giovanni Agostino Businello, un Dario Varotari, un Padre Cacia ec., i quali sferzarono le costumanze dissolute de' loro tempi senza scrupoleggiar nella frase; ma eziandio queste Satire, confinate nel linguaggio della sola plebe, assai scarso plauso ottener possono presso i Lettori de' tempi successivi. L'opera di vera e grande importanza nel presente Secolo xvii dettata nel nostro idioma, è la Carta del navegar pitoresco di Marco Boschini, ne' cui Canti didascalici ottime massime pittoriche si racchiudono con facil vena insinuate al lettore da un poeta ch'era ad un tempo artista perito. Non senza plauso è stato accolto il Tasso stravestìo da barcariol di Tomaso Mondini, lavoro per cui io sarei assai men indulgente del dottissimo Pier Antonio Serassi che lo giudicò grazioso e piacevole; e piuttosto mi mostrerei proclive a preferirgli la Venezia in cuna co le Novizze liberae di Ersace Beldati, sembrandomi questo poema non isprovveduto di bizzarrie originali, di buone sentenze e di comparazioni felici.
i. Querini, Giovanni qu. Vicenzo. Rime Varie.
Quantunque io non mi sia proposto di citare Opere MSS. tuttavia essendo stato il Querini un fertile scrittore di poesie in Dialetto veneziano, ed un Codice della Marciana (Classe ix Cod. clxxiii) molte contenendone che meriterebbero di vedere la pubblica luce, piacemi di riportare qui per Saggio una Canzone da lui diretta ad un Zorzi de Zorzi ne' primi anni del Secolo XVII.
Daspuò che 'l rasonar tropo avalìo
T'ha parso un puoco rio, dirò coverto,
Benchè credo per certo esser inteso.
Tal no se vol fidar del fato mio,
5Che averà i puti drio; chè un cao sempr'erto
E sempre descoverto ha puoco peso.
Quel che stà teso teso, ha el nuodo in cima;
Chi vol star sempre a prima e andar col Zonto
Perde i so' soldi apunto. Se sta rima
10Par fata senza lima
Atendi al senso e faghene bon conto.
Legno che sia ben onto amorza el fuogo;
El miel chiama le mosche, e i mati i puti;
Chi vol star sora tuti
15Spesso se truova in tel più basso liogo.
Par che parla da ziogo, e digo el vero.
Andar dal pomo al pero, e senza nose
Voler tute le vose, ha del ventoso.
Dove posso me lozo, e sì no spero
20O 'l monte de san Piero, o l'esser Dose,
Chè m'ho fato la crose e dormo zoso.
No stago pò pensoso, chè so chiaro
Che chi no g'ha danaro in ogni caso
Vien menà per el naso, e un mal reparo
25Xe a dir: Mio pare avaro
Ha tre chiave sul scrigno. Ve le baso
Cento veste de raso; e in ste contrae
Trenta case de stazio, e a le verdure
Quatro mile chiesure,
30Ve par cogionarìe da dir de istae?
Un pien de veritae, pien de schietezza
Sente gran alegrezza e gran contento,
Ma chi xe pien de vento ha le gran dogie;
Chi spende povertà per gran richezza,
35Pazzìa per saviezza, ha el nuodo drento
E de fuora el depento, e se ha le sogie.
Chi seguita le fogie e lassa el fruto
Spesso riman al suto, e chi se sgionfa
Resta de spade a ronfa. El fin fa el tuto.
40Mi no so che costruto
Abia un che no g'ha pan, dir ch'el trionfa.
Una vessiga sgionfa fa gran schiopo
Con quel vento, e daspuò resta gnente;
Cussì fa quela zente
45Che per cogionarìe se tien da tropo.
Tal vol desfar el gropo ch'el lo intriga;
E tal fuze la briga che lo trova;
Tal cerca roba niova e la tiol marza.
Per tuto ghe xe intopo, e chi sta in riga
50Ha la fortuna amiga, e se renuova
Co la zafata a pruova e co la squarza;
Ma chi la brava e squarza e no g'ha el muodo,
Navega per el vuodo, e sul più belo
Denota el so cervelo che no ha del sodo.
55Fica pur ben un chiodo
Avanti che ti buti zo el martelo,
E mostrame un modelo, e case e campi,
Chè altramente no credo, e ogni parola
Che ti rasoni svola
60Senza fermarse, come el vento e i lampi.
No so perchè ti scampi; e povereto
Ti è pur senza un marcheto! Che pazzìa
Xe sta fantasia de far el grando?
Se Dio vol che te inciampi in tre Zaneti
65O quatro schieti schieti, i te faria
Andar per quela via che andete Orlando.
Tiente un puoco a stagando co la testa,
Tuo' via spesso la cresta, e varda basso,
Nè te tor spasso de chi ha trista vesta;
70Questa xe la via, questa
De fuzir da ogni burla e da ogni arlasso,
Ma l'andar a compasso e schivar tuti
Che no sia monsignori, e vardar alto,
Farìa in tre zoti un salto
75Sta to grandezza far la festa ai puti.
Atendi ben ai fruti, e lassa el resto,
E intendi bel el testo: Chi se infrasca
Zogiosi no g'ha in tasca altro che fumo.
Semo adesso reduti a un certo sesto
80Dove che presto presto l'omo casca
Quando l'ha de la frasca; e me presumo
De dir rason a grumo, e de insegnarte,
Senza durar trop'arte, a la carlona
E da bona persona, alfin salvarte;
85Ch'el scriver tante carte
Co' tante bizarìe no me consona.
Te digo a la fè bona, e come amigo,
Per pura caritae, lassa da banda
Sta vanità sì granda,
90Altramente te vedo in gran intrigo.
Sapi, che al tempo antigo, e al tempo d'oro
Inanzi el bucintoro, inanzi i frati,
Inanzi dei scarlati e cremesini,
No ghe gera Re Rigo, e Duca Moro,
95Papa, nè concistoro, nè prelati,
Nè monsignori, abati, nè chietini,
Ma spiriti divini, a chi acque e giande
Gera dolce vertudi, senza arzenti,
Nè sofitai i depenti, o case grande
100Dove se spende e spande;
Ogni omo gera aliegro, e no mancava
Quelo che bisognava a viver sani.
Pur che l'omo sia sano, el puoco basta,
Ma el mato, che contrasta
105Co la natura, ha i so' disegni vani.
2. Inzegneri, Anzolo, Versi alla Veneziana. Vicenza, per il Bresciano, 1613. In 12.mo.
Alle Rime dell'Inzegneri succedono quelle di M. V. (Maffeo Venier) che sono in molto maggior numero, e che per vero dire formano la più pregevole parte di questo libro.
Qualche Componimento in Dialetto veneziano dell'Inzegneri erasi anteriormente pubblicato tra le Rime nella corretta lingua italiana scritte dall'Autore, ed impresse in Bergamo, per Comin Ventura, 1604, in 4. Una piccola Scelta poi delle Rime dell'Inzegneri sta nel Vol. 2.do della Collezione de' Poeti Antichi in Dialetto veneziano. Ven., 1817, in 16.mo.
Il Quadrio registrò un'edizione di Vicenza, per Angelo Salvadori, 1617, in 12. soggiugnendo che nell'anno 1619 lo stesso Salvadori stampò un'Aggiunta col titolo: Aggiunta ai versi alla Veneziana di bellissime Poesie raccolte per il Signor Remigio Romano. A me non riuscì di poter esaminare quest'edizioni, ma mi venne alle mani una Raccolta di brevi poesie assai pregevole, fatta dallo stesso Remigio Romano, in cui si trova qualche Canzonetta in veneziano. E' intitolata: Raccolta di bellissime Canzonette musicali e moderne di Autori gravissimi nella Poesia e nella Musica: In Vicenza, per Angelo Salvadori, 1618–26, in 12.mo. È in quattro Parti divisa co' loro separati frontispicj, ed ha inoltre una quinta Parte, intitolata Residuo alla Parte Quarta. Elegante edizione che porta una sola numerazione. Hanno tutte le cinque parti in totale faccie 593 numerate.
3. Andreini, Giambatista, La Venetiana, Comedia di Sier Cocalin dei Cocalini da Torzelo, Academico vizilante dito el Dormioto. Venezia, Alessandro Polo, 1619. In 8.vo.
È dedicata al pittore Domenico Feti. Nell'anno medesimo si ristampò in Venezia, Feliciano Raimondi, 1619, in 8. con dedicazione dello stampatore a Francesco Arrighi, del dì 10 dicembre 1619. La Famiglia de' Cocalini sì quando la Commedia si pubblicò che posteriormente viveva in Venezia fra le popolari, spezialmente nella contrada di S. Nicolò, come apparirà dalle Iscrizioni che ci darà illustrate il ch. Cicogna.
Sulla fede dell'Allacci e del Mazzuchelli ho registrato questa Commedia come opera di Giambatista Andreini figliuolo della celebre comica Isabella Andreini, e comico egli stesso. Nell'intreccio e nelle espressioni è tutta oscena e ripiena di que' modi di dire e di quelle arguzie che non può conoscere se non chi vive fra i lupanari e la feccia più dispregevole e abbietta. Il Dialetto veneziano v'è però sempre vivo ed esatto, il che mi fa dubitare che non appartenga essa veramente a Giambatista Andreini, scrittore in tante altre sue opere morigerato, e fiorentino di nascita. Sarebbe più probabile che appartenesse a Francesco Andreini marito d'Isabella, autore di altre Commedie da lui composte ed in Venezia impresse.
4. Sboraure de cuor de Polifonio Fifa. Due Canzoni, senz'alcuna data. In 4to.
Furono certamente impresse in Venezia verso il 1620 queste due lunghe Canzoni, che si trovano riunite con altri componimenti in prosa, a' quali davano argomento ora le guerre degli Uscocchi, ora le trame contro i Veneziani del Duca di Ossuna. Queste non sono già le sole Poesie vernacole pubblicatesi in quelle tumultuose circostanze, mentre di altri volgari poeti se ne leggono in un volume di Miscellanee esistente nella Marciana (Num. 480 in 4.to). Piace all'Anonimo Autore delle due Sboraure surriferite trattar in versi quistioni storiche, e redarguendo, per es. chi s'opponeva ne' suoi scritti alla vantata originaria libertà de' Veneziani, così si esprime:
Imparè, sior Istorico cogion,
Che'l vostro Teodorico re Gotese
No xe mai stà paron de ste contrae;
Anzi da le so' Letere l'apar
Ch'el li chiamava Tribuni del mar.
Varde se se' un solene arcibufon:
Perchè Giustinian
No halo compreso in le leze el Venezian?
Le xe pur fate, e a quel tempo destese
Che comenzava Venezia a fiorir;
Anzi (se se' lezista) studiè,
Che le leze medeme no comprende
In le leze Venezia, ma la chiama
Isola che da sì sola depende.
Ch'el sia la veritae
Vedeu ch'el so' Governo mò s'apoza
Al so proprio Statuto? ec. ec.
5. Briti, Paolo, Canzoni e Rime varie. Stampe volanti del Secolo xvii. In 4.to, e in 8.vo.
Era Paolo Briti comunemente chiamato il Cieco da Venezia. Molte sue Canzoni popolari si trovano separatamente impresse da varj stampatori veneziani, nè poche sono quelle che si conservano nella Marciana, pubblicate fra gli anni 1620 a 1625. Il Quadrio nelle Aggiunte premesse all'Indice Universale della Storia e Ragione di ogni poesia (Car. 43) ci ha lasciata di questo autore la seguente memoria: „Paolo Briti da Venezia un numero non piccolo di Canzoni in lingua veneziana compose, che impresse furono in Venezia dal Righettini, e poi in Trevigi, cominciando dal 1620 in circa, e negli anni di poi. Costui fu fatto prigione circa il 1641 per non so quale sua inimicizia, ma fu poi liberato”. Una Canzonetta, che può intitolarsi l'Abbandono, io scelgo a prova della sua facilità di comporre con leggiadro ritmo musicale:
Son resolto, son resolto, Signora,
Za che fe, za che fè sì la granda,
De tirarme da banda.
Per fin che in borsa gh'è sta del danaro
Mi ho fato el corivo, el polaco, el bizaro;
Ma adesso che manca l'arzento
Del tempo mal speso a me costo me pento
A me costo me pento.
Podessè, podessè domandarme
Da che vien, da che vien ste parole,
Con el dir, le xe fole.
Mi no ve burlo, ma digo da seno,
Sapiè ch'ogni cossa col tempo vien meno,
Anca mi gera rico e potente
Ma adesso per vu no me trovo più gnente
No me trovo più gnente.
In quel primo, in quel primo mio fumo
Mi stimava, stimava i zechini
Co' se fa i bagatini,
Mi, boni polastri, galine e caponi,
Lamprede, branzini, variòli, sturioni;
Ma adesso son tanto graṁeto
Che stago tre dì che no magno un paneto
Che no magno un paņeto.
E chi è causa, chi è causa, Signora,
Se le care, le care dolcezze
De le vostre belezze,
Con ati, con gesti, con scherzi vezzosi,
Con mile lusinghe, con sguardi amorosi
Me incitava a servirve ad ogn'ora?
Ma adesso m'acorzo che son in malora.
Che son in malora.
Preparève, preparève a trovarve
Dei morosi, morosi più cari
Ch'abia roba e danari,
Perfin c'ho podesto portarla cimada,
Portar el zanclieto, manopola e spada,
Son stà forte per tuti i cantoni;
Adesso no ho bezzi, son re dei minchioni
Son re dei minchioni.
Mi no posso, no posso durarghe
A una spesa, a una spesa si grossa,
Trovè pur un che possa.
Vu sempre a la tola volè bon vedèlo,
Bon lesso, bon rosto, bon vin moscadèlo,
La me borsa no pol far ste spese,
Mi bisogna che vaga in altro paese
In altro paese.
Me n'ho acorto, n'ho acorto gier sera
Che me davi, me davi del grosso
Perchè più mi no posso.
Co'l cesto no porta dei boni boconi
Gh'è storti mustazzi, gh'è bruti grugnoni.
No, no, no voi far più sta vita
Xe passado el martel, la me pena è finita
La me pena è finita.
I danari, i danari xe spesi,
No gh'è più, no gh'è più vestimenti,
No gh'è più adornamenti.
Mo vaga per quando portava ormeşini,
Capoti de raso, veludi ben fini!
Mi adesso son senza ducati
Che paro per strada el gastaldo dei mati.
El gastaldo dei mati.
Debitor, debitor son a tuti;
El dolor, el dolor, la mia dogia
Xe d'andar in Carcogia.
Se vago per piazza camino con tema,
Sto cuor fuor del corpo me salta me trema,
Tal ch'è megio che sona de arpa
Che fazzá el fagoto, che bata la scarpa
Che bata la scarpa.
Dève pur, deve pur dei solazzi
Co l'andar, co landar in barcheta,
Col sonar de spineta;
E a forza de gusti, de soni e de canti
Cerchè de tirar in la rede i amanti,
Che për mi no gh'è canti nè soni,
Son costreto a scampar dai balconi
A scampar dai balconi.
E se dôna, se dôna del mondo
A sto passo, a sto passo me tira
Che per ela sospira,
Voi tior sentenza de perder un ochio,
Una man, una spala, una gamba, un zenochio;
Son scotà, son scotà da sto fuogo,
Chi vol andar soto ghe lasso el mio liogo
Ghe lasso el mio liogo.
E con questo, con questo, Signora,
Col cantar, col cantar mi ve lasso,
Caminando de passo.
Dève bon tempo coi vostri corivi,
Pèlèghe la borsa per fin che i xe vivi,
Che per mi no val più le graziete
Renonzio a ogni cosa; è fenì le gazete
È fenì le gazete.
6. Businello, Gio. Francesco, Rime e Satire.
Di questo cittadino veneziano, che fiorì verso la metà del secolo decimosettimo, e che il P. Angelico Aprosio nella sua Bibl. Aprosiana chiama Avvocato eloquentissimo, s'hanno a stampa Opere drammatiche, e Rime; e nelle Raccolte che si pubblicavano a' suoi tempi stanno inserite anche Poesie scritte nel veneziano Dialetto, delle quali stanno notizie minute nell'articolo Businello o Busenello inserito dal Mazzuchelli nella sua grand'opera degli Scrittori d'Italia. Ebbe spezialmente fama per Capitoli e Satire dettate nel nostro dialetto; ma queste senz'alcun danno delle buone lettere rimasero quasi tutte inedite, e'l Mazzuchelli suddetto indica le Famiglie presso cui tuttavia si trovavano manoscritte.
Il Becelli nella sua dotta Opera Della Novella Poesia ec. (Verona, 1732, in 4., car. 265) notò quanto segue: „In lingua veneziana altresì sono famose le Poesie del Businello, e tutto giorno si odono Canzonette in cotal lingua cantate, alcune delle quali hanno vaghezze e grazie singolari; nè alla nostra veronese lingua è mancato il suo poeta, qual fu Lorenzo Attinuzzi” Di questo Attinuzzi registrò appunto il Quadrio la edizione seguente: Bizzarrie poetiche; Verona, Domenico Rossi, 1704, in 12.mo.
7. Angelico, Gabriele, Vicentino, Rime.
Il Mazzuchelli all'Art. Angelico, Michelagnolo, scrisse che restano di lui Rime burlesche in lingua toscana antica, e in istile pedantesco, e altresì in lingua veneziana, il che però non è confermato dal p. Calvi ne' suoi Scrittori Vicentini ec., il quale osservò, che due Autori vicentini vi furono collo stesso nome di Michelagnolo Angelico, al più vecchio de' quali soltanto attribuì qualche poesia pubblicata in lingua rustica. Esso p. Calvi registra poi Gabriele Angelico, il quale fiorì verso il 1640, e di cui non pochi Componimenti a stampa riporta, ma tutti in lingua rustica vicentina composti.
8. Basapopi, Gnesio, (Giulio Cesare Bona), Operette varie.
Ebbe questo Giulio Cesare Bona, frate de' Conventuali in Venezia, gran prurito di verseggiare, e in sua gioventù spezialmente scarabocchiava poesie a furia ora in vernacolo, ora nella italiana lingua comune. Di quelle scritte in veneziano ho trovato un catalogo dallo Stampatore aggiunto al fine delle Quartine intitolate le Glorie dei bezzi, impresse in Venezia l'anno 1660. Colla scorta di esso, con le notizie già raccolte dall'accuratissimo Mazzuchelli, e con l'esame di qualche libro venutomi alle mani, ho potuto compilare l'indice seguente:
— Le Glorie dei bezzi, ovvero il Trionfo dell'oro. Parte I. Venezia, Zamboni, 1660, in 12. — La forza del danaro, Parte II. Ivi, 1660. In 12.mo.
— I Malani de l'Homo. Parte 1, Venezia, 1660, in 12. — Le Miserie del mondo. Parte II. Ivi, 1660, in 12.mo. — Le infelicità e malore della vita humana. Parte III. Ivi, 1660. In 12.mo.
Di questi Libri v'ha una ristampa di Venezia, 1665, in 12.mo. e delle sole Miserie del Mondo conosco anche un'edizione di Venezia, Zamboni, 1673, in 12.mo.
— Il Malinconico imbizzarito, con due Capitoli. Ven., pel Batti, 1660. In 12.mo.
— La Cheba (Gabbia) dei Mați divisa in più rami. Ven., Zamboni, 1660, in 12.mo. Si aggiugne: Umori bisbetichi, ovvero della Cheba dei Mati nuova Scorsa. Ivi, 1660. In 12.mo.
Della sola Cheba de' Mati ho vedute una ristampa di Venezia, Lovisa, s. anno, in 12.mo.
— I Contramalani, con le Delizie e Grandezze del Mondo, Trattenimenti dodici. Parte I. Venezia, Zamboni, 1663, in 12.mo. Parte II. Venezia, e Bassano, Remondini, s. anno. In 12.mo.
In quest'Opera l'Autore si smascherò, e mise nel frontispizio il suo vero nome Giulio Cesare Bona. È da lui dedicata a Pietro Luccini celebre musico di San Marco.
— Le Stringhe sferrate, Rime giocose. Ven., Alessandro Zatta, 1664. In 12.mo.
— Le Disgrazie dell'Autore dei Malani, Capricci giocosi, con una Disperata di testa, donate e dedicate a quelli che non hanno fortuna. Ven., Zatta, 1665. In 12.mo.
Queste due ultime Opere sono da me riferite sulla sola fede del Mazzuchelli.
9. Boschini, Marco, La Carta del Navegar pitoresco. In Venezia, per il Baba, 1660. In 4.to. con figure.
Stanno anteposte a questo Libro alcune Poesie di varj Autori in lode del Boschini, per la maggior parte scritte in Dialetto veneziano. L'opera è divisa in otto Libri, che l'autore denomina Venti, e distesa tutta in quartine in forma di dialogo. È divenuta autorevole fra gli amatori della Pittura; e a buon dritto poichè era il Boschini ottimo giudice dell'arte sua. E già dà egli un saggio del suo fino discernimento sin dalla Lettera di dedicazione del Libro ad un Arciduca d'Austria, in cui, serbando l'allegoria della Nave pel suo navegar pittoresco, fa di essa Nave Armiragio el peritissimo Tizian; Palma vèchio so Consegier e Assistente; Zorzon Parcenevole; el Schiavon Timonier fiero e teribile; Tintoreto Capo dei Bombardieri come el più robusto e'l più bravo; el Bassan che tien in man el batifuogo per impizzar le michie e'l feral; Paulo Veronese Soracargo perchè sa tegnir i conti giusti; Carleto so fio Scrivanelo per el so belissimo caratere; Ziloti e Salviati tende a le vele; Alessandro Varotari Alfier; Lunardo Corona, l'Aliense e Vesentini Sotocapi dei Bombardieri; Palma zovene Masser e Conservador de le munizion e vituarie; Zan Contarini, Santo Peranda, ed altri, Trombete de gloria. Come Marineri vechi egli registra Zan Belin, Zentile Belin, el Carpazio, el Bordon.
Altre Opere scrisse il Boschini, nelle quali però fece uso della comune lingua grammaticale, ad eccezione delle seguenti:
— Funeral de la Pitura veneziana per el passazo da la terena a la celeste vita del Serenissimo de Modana Alfonso el Quarto, a Madama Laura Duchessa de Modana regnante, parto d'un tormentoso afeto ec. In Venezia, per Francesco Valvasense, 1663. In foglio.
— La Regata, unico cimento maritimo a l'uso venezian, rapresentà el presente Ano sul Canal de Venexia in honor de l'ilustrissima ecelenza del sig. Cavalier Don Sebastian Cortizzos de l'Ordene de Calatrava del Consegio d'Axienda de S. M. Catolica. In Venezia, Giacomo Zatoni, 1670. In 4.to. gr.
Sta questo molto raro Opuscolo nella copiosissima Raccolta di Opuscoli posseduta dal Nob. Co. Benedetto Valmarana.
10. Sorsi, Basnatio, Descrittione piacevole della Guerra de' Pugni tra Nicoloti e Castellani. Venezia, Gio. Antonio Zamboni, 1663. In 12.mo.
È da supporsi finto questo nome di Basnatio Sorsi. Egli narra in rima, distribuite in quaderni e le guerre de' Pugni che si facevano al suo tempo in Venezia. Terminata la poesia narrativa, vi susseguita una Lettera scritta da Gio. Antonio Zinardo all'Autore in data di Padova, adi 12 novembre 1652, in cui è sfidato a dire sinceramente se questa guerra di divertimento riesca piacevole, o piuttosto sia dannosa, odiosa, esposta a mille scandalose operazioni. Risponde l'Autore in un Capitolo a questa dimanda, e così comincia:
Tra i spassi procurai da chi ha morbin
Col fomento de bona inclinazion,
Dirò con giusta e con certa rason
Quelo dei Pugni esser el più meschin ec.
11. Balbi, Domenico, il Castigamatti, ovvero Quaderni morali in lingua venetiana. In Venezia, Stefano Curti, 1668. In 12.mo.
Havvi una ristampa di Venezia, Steffano Curti, 1683, in 12.mo con dedicazione di Bastian Menegati editore a Nicolò da Ponte Capitan Grande della Repubblica. Altra pure di Venezia, 1695, in 12. viene registrata dal Mazzuchelli.
— Il Lippa, ovvero el Pantalon burlao, Commedia. Terza edizione. Venezia, Lovisa, 1673. In 12.mo.
Conosco anche una quarta impressione senza nota di anno, in 12.mo. Si aggiugne nel frontispizio, che la Commedia è honestissima, piena di sottili invenzioni e tanto per rappresentarla, quanto anco per semplicemente leggerla: tutta ridicolosa, con alcune composizioni accademiche in prosa et in rima ad essa concernenti. Queste composizioni poetiche stanno inserite nell'Atto terzo ed ultimo della Commedia, in cui parlano i loro dialetti, oltre al Pantalone in veneziano, il Dottore in bolognese, e 'l servo Bagattino in bergamasco.
— Il Ligamati, cioè Raccolte morali in lingua veneziana estese in quaderni. Venezia, Stefano Curti, 1575. In 12.mo.
Nella dedicazione dell'Autore a Pier Angelo Zeno egli si raccomanda perchè tenga in protezione quest'Operetta, come ha fatto dell'altra il Castigamatti.
Oltre a' due Componimenti poetici qui riportati, il Mazzuchelli negli Scrittori d'Italia ci dà notizie di altre Opere di questo scrittore, e sono:
— Lo sfortunato paziente, Operetta morale. Ven. Curti, 1667. In 12.mo.
È scritta in prosa, ed ha frammischiate Ariette musicali.
— Il primo Zane disgraziato, Commedia. Ven. Didini, 1677. In 12.mo.
— Il secondo Zane, detto Bagattino, Commedia. Ven. Didini, 1678, in 12; e ivi, Lovisa, 1696. In 12.mo.
— Il Cacciatore, Tragicommedia. Venezia, Didini, 1680, in 12.mo; e ivi, Lovisa, senz'anno. In 12.mo.
Sono scritte in prosa tanto le due Commẹdie quanto la Tragicommedia.
12. Varotari, Dario, Il Cembalo d'Erato, Centuria di Sonetti in lingua venetiana. Venezia, Zamboni, 1664. In 12.mo.
Questo Canzoniere, i cui cento Sonetti sono per la maggior parte in lode di un'amica dell'Autore, di nome Lisetta, è susseguitato dalla traduzione in quarta rima, e nella lingua italiana, delle due prime Satire di Giovenale, dopo le quali è un senario di Sonetti pure nella italiana lingua grammaticale.
Sì in questa, che nella susseguente Opera, l'Autore si nasconde sotto il nome di Ardio Rivarota, altre volte Oratio Varardi, l'uno e l'altro anagramami di Dario Varotari. Scrive nel Proemio che „queste sue frasi di scrivere presero il loro cominciamento sin dall'anno 1635, mentre era nello Studio di Padova su'l primo e più bel verde degli anni suoi... e che ha a suo bell'agio composto senza neppur anche aver sudata una camicia, e quando solamente l'occasione di qualche veglia lo ricercava”.
— Il Vespajo stuzzicato, Satire Venetiane. Venezia, Zamboni, 1671. In 8.vo.
Havvi anche una ristampa di Venezia, Lovisa, 1699, in 12:
Sono 12 Satire, dopo le quali stanno due Indici, 1. La Dilucidazione di alcune voci non intese in ogni luogo; 2. I Modi figurati e delle Frasi Veneziane. Tutte queste Satire hanno uno scopo morale, e sono distese con vena facile, e con grande copia di frasi proprie del dialetto vernacolo. La Satira undecima sulle Importunità degli Amanti comincia:
Taco, Amanti, con vu la garbinela,
La lanza impugno, e sbasso la visiera;
Donca aspetème pur, che de cariera
Vegno adesso a investirve. Ecome in sela.
L'ultima Satira sulla Condizione degli Ammogliati così finisce:
Concludo in fin, che chi pol viver solo
Gode el mondo a so' modo, evive in pase,
E magna e va a dormir quando ghe piase,
E puol poltronizar sotto i niziuoli.
13. Bocchini, Bartolommeo, detto Zan Muzzina, Raccolta di tutte le Opere. Modona, Solíani, 1663, e ivi, 1683. In 12.mo.
Di questo scrittore bolognese, che fiorì verso il 1650, e che per le sue buffonerie era detto il Zan Muzzina, stanno nel presente volume poesie non già scritte nel linguaggio de' Bergamaschi come asserì il Quadrio e ricopiò il Fantuzzi negli Scrittori Bolognesi, ma nel vero dialetto veneziano, alterato quando a quando dalla maniera propria di parlare de' Zanni, ch'erano i mimi a suo tempo i più motteggevoli sulle scene. I componimenti poetici hanno i seguenti titoli: Il Trionfo di Scapino — Miscuglio delle rime Zannesche — la Corona macaronica — la Piva dissonante. Quest'ultimo componimento è il solo scritto nella comune lingua italiana.
Perchè si conosca meglio il dialetto dall'Autore usato, ecco una Canzonetta satirica che sta nẹl Trionfo di Scapino a car. 39.
No posso far de manco,
Zà che m'avè stordìo
Con quel tetarme tuto el dì da drio,
De no chiapar intanto
La pena e'l calamar per darve vanto.
Dirò a la bela prima
De le vostre fatezze
Per megio destrigarve le belezze;
E con la Musa lesta
Darò principio a bisegarve in testa.
Vu se', per quanto sento,
Filosofo, Organista,
Musico, Balarin, bravo Contista,
Poeta in prosa e in rima,
Bel furfanton e ziogador de scrima.
Gran cosa, che un par vostro
No possa mai dir vero!
E tegna dur frapando un ano intiero
Senza trovar la zufa
D'un che ve rompa el muso e ve scabufa!
Vu chiamè pur a ogn'ora
Con ste vostre frapade
Diese megiar lontan le bastonade;
Ch'altro no v'assegura,
Che la fortuna che dei pazzi ha cura.
In quanto a mi, no posso
Con vu più star a segno,
Chè in vostro paragon sembro de legno.
E perdo anca in presenza
El cervel, la dotrina e la pazienza.
Vu fè, da bel inzegno,
Bel om, bel piè, bel viso,
E ceder no volè gnanca a Narciso;
Anzi, che in pè del fonte
Sora d'un cantar ve spechiè la fronte.
No stè donca più a dirme
Che se' nassuo d'un Grande,
Vu che un brazzo mostrè da sbater giande;
Tanto al bifolco inclina
La vostra stela iniqua e malandrina!
Barbier da tre quatrini,
Vilan pien de falope,
Andè a tosar pagiari, a rader fiope,
E se'l rasor ve scapa
Esercitè la man fra vanga e zapa.
14. Perazzo Domenici, Gio. Benedetto, Canto Primo del Goffredo in lingua venetiana. Ven. Combi, 1678. In 12.mo.
Il titolo è come segue: Il Goffredo overo Gerusalemme liberata del Signor Torquato Tasso con diligenza e fedeltà traportata dal toscano in lingua venetiana da G. B. P. D. V. senza data. Sta in fine al Vol. Terzo d'una Raccolta di versi latini e italiani sotto il titolo Discolores Apollinis Flosculi, e Promiscui Apollinis Flosculi ec. pubblicati dal Perazzi in Venezia negli anni 1665-1678, vol. 3 in 12.
Non conobbe questo Saggio di versione il diligentissimo ab. Serassi, e deesene la notizia al ch. Cicogna, che lo ricorda nella Necrologia da lui pubblicata di Ruggiero Mondini. È dedicato esso primo Canto a Lazaro Mocenigo Cav. e Proc. di S. Marco, dopo il quale seguono otto Madrigali e dieci Sonetti del Perazzi tutti in vernacolo. Lo Stampatore dice nell'Avviso: Tradusse in età giovanile l'autore nell'ore più oziose alcuni Conti del Tasso in lingua materna veneziana. Per mezzo amico (contro al genio dell'Autore) mi è sortito di haver nelle mani il primo Canto; quale, con qualche altro scherzo veneziano, volentieri aggiungo alle altre sue composizioni.
15. Marchesi Vedoa, Paolo, Il Teatro della Perfidia, o sia la Scena Tragica dell'Hebreismo, Poesie in Edilii veneziani ec. Treviso, 1689. In 8.vo.
S'aggiugne nel frontispizio, che in questi Idilii l'Autore intende rappresentare il miserabile inquieto et infelice stato del popolo Hebreo dal principio del mondo sino al presente. Sono cinque Libri, ed il ch. Moschini, ch'è possessore di questa edizione, mi assicurò che assai volte n'ha trovato franco lo stile, e che qualche Discorso, al popolo ebreo sente di forza e di eloquenza.
16. Cacia, Padre, Satire.
Non mi è riuscito trovare notizie di questo scrittore, nè so neppure a che Ordine religioso egli appartenesse. Visse alla fine del secolo decimosettimo, il che si conosce dalle persone che nelle sue Satire si trovano ricordate. Nel Vol. XI della Collezione de' Poeti in Dialetto Veneziano ec. leggesi la sua Satira int. la Ipocrisia. M'è venuta or ora alle mani la Satira medesima, sott'il titolo: L'Ipocresia smascherada in versi, Poesia di Anonimo Autore in lingua veneziana; Ven. Fratelli Casali, 1797, in 8.vo, e quest'è la Satira medesima in molti luoghi mutilata, tuttavia con qualche quadernario che non istà nella edizione più recente. Non è qui prezzo dell'opera l'instituire confronti tra una e l'altra in un Componimento di sua natura triviale. Altri scrittori del poco pregio del p. Cacia, e dello stesso tempo, furono un prete Giambatista Grotto, un Badoer, un Mocenigo ec. le cui rime non so se siensi pubblicate colle stampe.
17. Del gran Pescador di Dorso Duro, Sghiribizzi giocosi e burleschi in lingua venetiana. Parte Prima. Venezia, Giacomo Zini. Senz'anno. In 12.mo.
Riferisco questo Libro, che non m'è riuscito di poter vedere, sulla fede del Quadrio, il quale lo ricorda nella Giunta alla sua Opera della Volgar Poesìa. È anche registrato (col seguente) in fine al Pronostico di questo Autore, intitolato la Tartana degl'Influssi, di cui vedi innanzi.
— la Tartana in Morea, Quaderni piacevoli in lingua venetiana. Venezia, Giacomo Zini, 1687. In 12.mo.
Di questa leggenda poetica non può talora tornare inutile la lettura, descrivendovisi la Morea visitata dall'Autore quando ardeva quella guerra che rese immortale il nome del Morosini Peloponnesiaco. Si conosce da essa lo stato civile e militare di quella contrada, e 'l modo di guerreggiare de' Veneti e degli Ottomani 1. Le antichità di Atene, sussistenti dopo la presa fattane dai Veneziani l'anno 1687, sono ricordate come segue:
In questa, un rico Tempio edificao
Fu a l'incognito Dio, del qual ancora
Una Iscrizion se vede, e ancor s'onora
Sto edifizio de marmoro formao.
Sora molte Colone un bel Palazzo
Se osserva antigo, e su la porta delo
Se leze, che albergava Teseo in quelo:
Memorie da no meter miga a mazzo.
Da Prassitele fati ed intagiai
Su la porta mazor de quel pur anca
Do Cavali se mira, nè ghe manca
Che'l moto a farli vivi. Oh i xe stimai!
L'Areopago, che tanto è stà famoso
Liogo de leterati e de studenti,
Ancora è in pie e sevede, e in quatro acenti
Un moto sora el tien ch'à del curioso:
Dio ve daga el bon viazo a vu che qua
Passè. Dise cussì quela iscrizion;
E in greco idioma altro no gh'è de bon
De quel Studio sì bel che giera là.
Altre infinite antichità se trova;
V'è de Licurgo in queste l'Arsenal,
De Demostene ancora el bel feral
Ch'a far lume però gnente no zova.
Ghè la Tore dei Venti, che in figura
Otogona se vede fabricada,
Andronico Cireste Cha formada,
Un omo de bonissima natura.
Anca el Tempio de Teseo snombolao
No xe ancóra dal tempo tato quanto,
I studi in sta cita florido ha tanto
Che inzegnazzide garbo ha sempre dao. ec.
— la Tartana degl'Influssi. Ven. Zini, 1708. In 16.mo.
Ecco il primo esemplare de' Pronostici che sotto il nome di Schieson ebbero poi tanta voga. Lo stampatore Giacomo Zini nel dedicare questa Tartana a S. E. Giorgio Corner scrive: Nel longo giro d'anni 28 che io ho l'honore di stamparla, questa virtuosa fatica ogni anno ha ricevuto felice ricovero sotto la protezione di personaggio nobile ec. Risaie dunque il primo di questi Almanacchi all'anno 1680, ma inutilmente ho cercato di conoscerle le edizioni, e così pure di scoprire il nome del loro Autore, che sempre s'intitola Gran Pescador di Dorso Duro. Gli Schiesoni moderni hanno tutti adottato, e nelle forme e nella distribuzione delle loro poesie in quartine, l'esemplare di questa Tartana.
18. Beldati, Ersace (Cesare Tebaldi) Venetia in cuna, co le Novizze liberae; Solfe eroicomiche. Trevigi, Gasparo Pianta e Comp. 1701. In 12.mo.
Cesare Tebaldi, vero Autore di questo Poema in ottave, lo divise in sette Canti. È nel primo descritta la discesa del re Alarico in Italia; nel secondo si narrano le stragi di Atila; nel terzo la fondazione di Venezia; nel quarto il ratto delle Pute veneziane fatto da' Triestini; nel quinto sono descritte zuffe e battaglie navali; nel sesto è il ritorno trionfale delle Novizze in Venezia; e nel settimo le pubbliche feste e le ceremonie instituite per eternarne il trionfo. Questo poetico argomento occupò nel secolo scorso Carlo Gozzi, Sebastiano Crotta e Daniele Farsetti, che lo cantarono essi pure in ottave, e si pubblicò il loro lavoro in Venezia, Tip. d'Alvisopoli, 1819, in 8. Il Dialetto adoperato da Cesare Tebaldi è veramente puro, vero, espressivo, oltre di che non va sprovveduto questo poema di sentenze e di comparazioni felici. Bella è la sentenza nel Canto I.
Dei tristi la coscienza è calamita
Che del peto i rimorsi tira fuora.
Bella l'altra nel Canto II.
Chi da l'acqua bogente è stà scotai
I teme de la freda s'i è bagnai.
Bella la seguente comparazione nella stanza 45 del Canto I.
Come toro che 'l can ghe zira întorno
E se buta a la rechia per chiaparlo,
Volta, salta, mugisse, e con el corno
Voria pur investirlo e maltratarlo,
Ma se per sorte el se ghe strenze atorno
Buta la testa via per destacarlo,
Cussì el tiran con Stilicon se taca,
E sbufa a vederse adosso tanta fraca.
Era già scritto questo Poema sin dall'anno 1672, portando in fronte una lettera di lode scritta da Giuseppe Gratia all'Autore il dì 19 dicembre 1672.
19. Caurlini, Pietro, Il Mondo traditor. Venetia, Tramontin, 1689. In 12.mo.
Questo Componimento, che venne anche dal Quadrio registrato, ha il titolo come segue: Il Mondo traditor, con una esortazione a Pute donzele a lasciar le vanità terene, e entrar ne la Religion; Opereta composta da l'Ecelentissimo Misier Pietro Caurlini citadin veneto in lingua veneziana. Se ne fece una ristampa in Venezia, Lovisa, 1717, in 13, ed una in Venezia e in Bassano, Gio. Antonio Remondini, s. an. in 12.mo.
L'Autore protesta nella Prefazione d'avere scritto questo Libro, ch'è tutto in quartine, al scuro in tempo de quindese zorni, dove nol saveva cossa diambarne far. È poeta franco, e si scaglia contro i viziosi d'ogni genere. Udiamolo quando consiglia i padri a non mandare i loro figli ad addottorarsi a Padova (c. 56). L'è una minchionaria mandarli là,
De quele che se fa in sete solèri,
L'è megio farli zafi o gatoleri,
O vero, al manco, farli studiar qua;
Che anca qua ghe ne xe de valorosi
Che la filosofia ghe puol detar,
E in la leze ve i puol amaestrar;
In Venezia no manca virtuosi.
L'è forsi per vederli dotorai?
La xe una pompa che no vol dir gnente,
Importa l'esser doto, esser sapiente,
E poco zova l'esser laureai.
Ghe n'è de dotorai ch'è ignorantazzi,
E gh'è sapienti che no è dotorai;
Questi xe quei che al mondo xe stimai
E queli xe tegnui per......
La vol esser virtù soda e real
Chi vol esser tegnui per valorosi,
El dotorarse no fa virtuosi,
Anzi a le volte causa molto mal. ec.
20. Mondini, Tommaso, El Tasso stravestio da Barcariol venezian, ovvero el Tasso tradoto in lengua veneziana dal Signor Simon Tomadoni. In Venezia, Domenico Lovisa, 1691. In 12.mo.
Il dottor Tommaso Mondini da principio si nascose sotto l'anagramma di Simon Tomadoni; ma, veduto l'applauso con cui fu ricevuta la sua fatica, pubblicolla col proprio nome nelle posteriori edizioni. „Credo, scrive il Serassi (Vita del Tasso c. xxv), che pochi potranno aver veduto la suddetta prima stampa d'una tanto graziosa e piacevole traduzione; poichè essendo stati stampati li primi otto Canti separatamente Canto per Canto in piccioli libretti, sembra quasi impossibile il trovarli tutti, siccome a me è fortunatamente avvenuto”. Lo Stampatore Lovisa, dopo essa prima, si occupò di una più decorosa edizione, che eseguì col testo di rincontro, e con figure intagliate in rame da I. Valegio; e sotto il vero nome del dottore Tommaso Mondini uscì in Venezia, 1693, in 4; edizione di cui poi si fecero materiali ristampe, ivi, 1704, in 4, e ivi 1728, in 4. Delle edizioni posteriori non accade tenere conto, se si eccettui quella non vile di Venezia, Gerolamo Dorignoni, 1771, vol. 2 in 12.
Il primo Canto che pubblicò a parte il Mondini fu quello di Erminia; e piacque non poco a' Gondolieri modulare nel loro metro:
Erminia intantò in fra la scuritae
D'un bosco con gran pressa se la bate;
La xe tanto stremìa, che in veritae
Mi credo che ghe trema le culate, ec.
Ma anche ne' Gondolieri non tarda poi a risvegliarsi quel senso squisito che non sopporta rivoltati in plebeaggini gli sforzi di un quasi divino ingegno; ed eglino predilessero ben presto, e prediligono tuttavia il ripetere:
Intanto Erminia infra l'ombrose piante
D'antica selva dal cavallo è scorta,
Nè più governa il fren la man tremante
E mezza quasi par tra viva e morta ec.
Prima del Mondini, altro Veneziano s'era accinto al medesimo lavoro. V. Perazzo, Gio. Benedetto.
—Pantalone mercante fallito, Comedia nuovamente data in luce dal dottor Simon Tomadoni. Venetia, Lovisa, 1693. In 12.mo.
Il Mondini, che scrisse anche questa Commedia in prosa, volle in essa pure nascondersi sott'il nome di Simon Tomadoni. De' dieci personaggi che vi sono introdotti tre vi parlano la lingua grammaticale, un Dottore il bolognese, e tutti gli altri il vernacolo veneziano.
- Note
- ↑ In quest'anno medesimo si pubblicò; Descrizione della Penisola della Morea ec. e delle Azioni della Repubblica di Venezia sotto il valoroso Capitan Generale Francesco Morosini, e la Vittorie per mare ottenute; Traduzione dall'italiano in tedesco. Norimberga, 1687, in 12.mo.
- Testi in cui xe cità Paolo Briti
- Testi in cui xe cità Domenico Balbi
- Testi in cui xe cità Bartolommeo Bocchini
- Testi in cui xe cità Giovanni Querini
- Testi in cui xe cità Dario Varotari
- Testi in cui xe cità Padre Cacia
- Testi in cui xe cità Tomaso Mondini
- Testi in cui xe cità Anzolo Inzegneri
- Testi in cui xe cità Maffio Venier
- Testi in cui xe cità el testo Poeti antichi del dialetto veneziano
- Testi in cui xe cità Giovan Battista Andreini
- Testi in cui xe cità el testo La Venetiana
- Testi in cui xe cità Giovanni Francesco Busenello
- Testi in cui xe cità Marco Boschini
- Testi in cui xe cità el testo Il vespaio stuzzicato