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Saggio del dialetto vicentino/Vocabolario

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A

A per io. A vado, a stago, cioè io vo, io sto. Lo stesso vezzo osservarono altri Vocabolaristi, per esempio Toselli nel Bolognese, Cherubini nel Mantovano.

Agnello. Distribuir l'agnello dicesi a Costozza, villa antichissima presso Vicenza, a proposito di un uso che ivi esiste il giorno di Pasqua. I pastori che conducono le pecore in quel Comune col diritto di Pissinadego hanno il debito di dare cento e cinquanta libre di carne di quest'animale a benefizio del popolo. Una simile costumanza esiste a Bormio sul lago d'Iseo. (Vedi Rosa, Documenti storici.)

Agno, fiume di Valdagno. Questa voce presiede alle aque in molti luoghi d'Italia. È nota l'opinione degli Etruscisti, che tengono fosse essa il primo nome dell'Arno. Presso Genova scorre il Bisagno, e l’Agno è pure nel Territorio Italiano-Svizzero di Lugano. Pausania (mi si dice) parla di un Agno, le cui esalazioni erano mefitiche. Zozagna in Trevigiano significa luogo umido, senza sasso. (Vedi Avogadro, Considerazioni sulle prime notizie di Trevigi, 1840.) Tornando al nostro fiume, dirò che questo nome di Agno lo porta alla sua sorgente, ma lo muta poi scendendo, due volte dicendosi Guà, e finalmente in piana campagna Fiume nuovo. Non è raro trovare tre nomi ad un'aqua, seguendo il suo corso. Secondo le mie prevenzioni, direi che tre genti od almeno tre diverse età lo nominarono. La più antica è quella che, ritiratasi alla montagna, usa una voce, il cui significato è più difficile a spiegarsi; la seconda lo dice Guà, forse da Guado; la terza Fiume nuovo, e per la sua chiarezza merita essere detta moderna. (Vedi Angogno e Maragnole.)

Ago. Il Rosa nei Documenti storici m'insegna che Ago significa in Celtico abitazione. Nella composizione delle voci che portano questa nel Vicentino, essa trovasi più frequentemente locata in fine, che non in principio. Asiago, Ignago, Banignago, Montegnago, Brago, Cagnago; ed altrimenti Agostinate, Agognara.

Albera, pioppa. Nota bene, non è già questo sostantivo il feminino di Albero, ma il significato del colore delle foglie di questa pianta al suo rovescio. Questa voce corre cosi anche nel Bresciano, e Rosa la trovò all'anno 1200. Io però la farei risalire alla compagnia delle voci primitive con Alba ed Alpi.

Almeriga. Così chiamasi una porta del Duomo di Vicenza, perchè ornata a spese di Paolo Almerigo nel 1573. È di fronte alla porta dei battizzi.

Alò. Accorciamento di Allodio, e significava una volta luogo in ragione di perfetta proprietà. Perciò chiamavasi S. Maria in Alò, tempo già fu, quella chiesa che oggi dicesi S. Maria di Nale; e così pure odesi tuttora Cadalò, Pradalò (vedi queste voci).

Alonte. Questa voce, di paese Vicentino sul tenere di Lonigo, non so che significhi; ma è notabile per l'anno 753 av. Cr., in cui la trovò il Maccà. Sui monti di Alonte vi sono sepolcri scavati nel sasso, prova d'antichità rimotissima.

Alpiero (in Latino Alperium), villa distrutta dopo il 1262 e prima del 1398, presso Camisano. Innesto questa voce puramente geografica in questo Saggio generale delle voci Vicentine non pel suo significato, che mi è ignoto, ma per fissare la sua antichità, e quella di molte sue sorelle che principiano da Al. — Alperio è il nome del castello che munì il Console Catullo contro i Cimbri, la cui località, opportunissima all'uopo, [p. 14 modifica]sussiste tuttora fra noi, nè credo punto ch'ella si debba cercare in Pastello sul Veronese.

Alturio, voce antica del Testamento Proto, vale Ajuto.

Amizizia, la compagnia degli amici. Andar a zena con l'amizizia vale andare in compagnia gioconda di conosciuti. Manca al Boerio.

Anconetta. Piccola ancona, ossia piccolo quadro, secondo i nostri vecchi artisti. Il popolo poi per essa voce intese anche la cornice, ed eziandio l'altare, ed in ispecialità quelle cappelline poste sulle vie, e sopratutto nei quadrivj, intorno alle quali di spesso si trova radunato un paesello, e perciò è nome di alcuno di essi. Per esempio, l'Anconetta n'è uno presso Vicenza. Pochi Dizionarj registrano questa voce. Il Bresciano l'ha nel nostro senso.

Angonara, termine delle cucitrici, vale agonaja di filo.

Angogno, nome antico del nostro torrente Timonchio, il quale scorre di quà da Schio, ed ivi presso. La Gogna è un'altra aqua che sgorga pure presso Schio, ma al di là, cioè tra essa città e l'Alpe; per cui Schio è in mezzo alla Gogna ed all'Angogno. L'Abb. Cadorin stampò che Angogno è voce Euganea, non so con quali prove. (Vedi il suo Elogio di Osvaldo Varettonierrata corrige originale. Venez. 1808.)

Antana. Ballatojo sopra più delle case. Non sono persuaso che sia un modo di pronunziare Altana, poichè così dicono a Venezia questa parte dell'edifizio, quasichè prendesse il nome dall'altezza sua. Osservisi che An è affisso spesso di contraposto, e che Tana è il luogo più basso dell'abitare.

Antani. Pali secchi che si adoperano a sorreggere le viti od altro. Usasi e trovasi nelle Poesie di Menon, Begotto e Magagnò.

Antipato da altar dicevano anticamente gli artisti nostri a quello che oggi diciamo Parapetto. (Vedi Magrini, Storia della Cattedrale di Vicenza, all'anno 1534, pag. 64.)

Anza, serpe. Coluber viridis flavus del Latreille. (Vedi Franco, Illustri Marosticensi, pag. 95.)

Ara. Voce notissima in agricoltura per Aja; ma non può avere questo significato quel luogo ch'è così denominato (o da qualcheduno de' suoi derivati; Aretta, Aresella, ec.), e che trovasi fuori e presso a quasi tutti i nostri paesi. Io inclino a credere che questo nome sia rimasto al luogo delle antiche are, cioè a quello ove i nostri padri porgevano preci publiche alla Divinità prima ancora della istituzione del tempio. Non è mia del tutto quest'opinione. Gorello in una Cronica publicata dal Muratori dice parlando di Arezzo:

     Il vero nome mio fu sempre Arizio
     Per le molte are ch'eran nel mio centro,
     Dove agli Dei si facea sacrifizio.

Mur. XXVII. pag. 553.


A Vicenza abbiamo Araceli; ma per tacere di questa voce, della quale si dànno altre etimologie, dirò che tra Vicenza e Berga, al luogo di Carpagnon, eravi un luogo denominato Ad aras (vedi Rogito 1504, 11 Ottobre, Notajo Lodovico dalle Falci). L'illustre Abb. Cavedoni nota a pag. 238 del suo libro sui marmi Modenesi, che molte Iscrizioni antiche per are intendono dire sepolcri; ed io aggiungo a conforto di questa erudizione, che al luogo suddetto furono trovati sepolcri Romani.

Arona. Modo di pronunziare Anitra, uccello dai Veneti detta Anera.

Arsiero. Paese appiè dell'Alpi, nominato nel 975 (vedi Maccà, Tom. XI. pag. 5). Presso questo luogo havvi il confine col Tirolo. Ho fatto osservazione che questo nome è di spesso ai confini dei Territorj. Eccone alcuni esempj:

Arsiero, Arsiè, Vallarsa, Arsana, Arlesicaerrata corrige originale (togli la ridondanza del le) marcano i confini del Vicentino.
Arsia, fiume tra l'Italia e l'Istria.
Arsia, selva fra gli Etruschi ed i Romani.
Arsago divide il Bergamasco dal Lodigiano. [p. 15 modifica]
Arsego divide il Padovano dal Trivigiano.
Arsoli divide la Sabina dal Lazio.

E perchè in questi studj, ancor di troppo novizj, può giovare il dir tutto ciò che ci pare, potendo questo tentonare aprire alle volte un varco alla luce, soggiungerò che Arasse significa divisore. Così lessi nella Storia del Mar Nero, Tom. I. pag. 59, di Formaleoni.

Una frase Etrusca, pervenutaci con la sua traduzione, è Arse Verse, e dicesi significare guardia al foco; ond'io in altri studj miei congiungendo questa notizia alle suddette osservazioni, m'imaginai che la voce Arsa sui confini significasse guardia di essi. Ch'io mi sia ingannato è possibile; ma una erudizione ch'io traggo dalla Storia di Concordia del Zambaldi, se non conferma il mio tradurre, mostra ch'io erro alla cieca sì, ma intorno al vero. Casarsa è un luogo di Concordia, sito nella contrada di Versute. Ambo queste voci di Casarsa e di Versute ricordanci l'Arse Verse. Or progrediamo. La Versa è un ruscello che passa presso Casarsa. Cosa mirabile! questa Versa scendendo cambia nome, e chiamasi Lemene, corruzione di Liminis. Questa combinazione mostra che l'un popolo succedutosi all'altro nel dominio di quell'aqua, conservò il significato dei nomi, voltandoli solo nella lingua. Versa, tradotto nel latino Liminis, mi persuade che in Etrusco significasse pur essa limitare, confine. Di quest'uso di voltare i nomi abbiamo esempio nel Vicentino. Un ruscello fu detto Xante dai popoli meridionali, e Grabo dai settentrionali, ed ambo vollero dir fossa. Se la traduzione procedesse così a mio modo, si confermerebbe che nella voce Arsa vi è la guardia, l'agente divisorio; ma Verse, che vorrebbe dir foco, giusta l'antica tradizione, secondo l'esempio di Concordia significherebbe confine. Tra foco e confine non vi è nè simpatía, nè affinità; quì però approfitto di una opinione degli amici di questi studi, i quali credono che nei giochi dei fanciulli si conservi un gergo arcaico di voci e di significati. Questi involontarj antiquarj, quando si divertono a mosca cieca, circoscrivono il luogo del loro divertimento; e se la mosca è per oltrepassarlo, l'avvertono, gridandole non fine, ma fogo. Chi mai sa dire quanto io vaneggi?

Artanti per altrettanti trovasi anche nel Boerio, ed è voce vivissima. Aggiungo ch'essa è antica, e leggesi nel Testamento Proto.

Arte. Vale i vestiti, qualunque si sieno, della persona; il che non è avvertito dal Boerio, che pur registra questa voce. Arte a Vicenza si usa del tutto nel senso del francese hardes.

Arvegnù, applicato al sapore, dicesi quando una preparazione di cucina dà saggio di non essere più fresca. Stantío.

Asiare. Celebre a Vicenza è l'Iscrizione scolpita in caratteri gotici nel secolo XV. sulla porta di S. Lorenzo presso un leone a cui fu rotta la zampa, e così mutilato libera un angolo di piedistallo, sul quale potrebbe in conseguenza assidersi una persona. Ecco l'Iscrizione:

Se Bozzo in San Lorenzo volse stare,
La zatta del Lion fece asiare.

Io qui direi, seguendo il suono della voce più naturale, che Bozzo fece asciare, ossia batter via, la zampa del lione, per potersi assidere sul piedistallo. Nelle Poesie Pavane di Menon, Begotto e Magagnò questa voce bene si traduce per preparare (vedi Parte IV. pag. 10). Non male si appongono quelli che credono essa significare tirare indietro. I nostri contadini comandano al bove di assiare, cioè di rinculare; e così a Venezia siare è opporre il remo all'aqua per far restare o ritirare la barca. — A quale avvenimento che meritò una Iscrizione in luogo sì solenne, in tempo avaro d'Iscrizioni, alluda la nostra, di cui avvertii la strana voce, è ignoto a tutti.

Asio. A so conzo e a so asio, dice il Testamento Proto, certo per agio.

Astego. L'eufonía di questa voce mostra d'avere appartenuto ad una lingua dominatrice del paese che si esten[p. 16 modifica]de dalle vette dei Sette-Comuni ai lidi dell'Adriatico. Con essa a Vicenza s'intende significare il fiume che bagna il Territorio sotto Bassano. Con altra voce quasi simile, Astese, a Venezia s'intende nominare il più grosso dei Cancer. — Astaco era città dell'Asia minore; Astaces un fiume del Ponto. Si osservi ch'essa è una delle più antiche voci nostre, di cui ci resti documento. Il Dal Pozzo nella Storia dei Sette-Comuni la trovò all'anno 976. Il Maccà la rinvenne in carta del 753 (Tom. XII. pag. 44 e 45) scritta Astago, come usò scriverla l'anonimo Ravennate, che visse nel secolo VII. Si può dargli antichità ancora maggiore seguendo gli etimologisti del sistema Celtico. Mar, essi dicono, significa sopra. Il castello di Marostica, che fu certo edificato sopra l'Astico, di poco anche oggidì allontanatosi da esso, c'insegna che fino da quel tempo immemorabile nominavasi Astico od Ostica.

B

Bacchigion (Bacchiglione), fiume principale del Vicentino oggidì, ma non è propriamente il conosciuto dagli antichi per Medoacus minor. Quello era formato dalle aque perenni dell'Astico. Coll'andare del tempo queste si fusero verso Novoledo in un fiumicello che i Tedeschi aveano detto Bach (ruscello); ed il Medoacus, nome Etrusco, od altro che si fosse, andò perduto. Con questo moderno il Dal Pozzo, nella Storia dei Sette-Comuni, pag. 216, dice non averlo trovato più alto nominato del 1074. La tramestazione di queste aque produsse eziandio diversità terrestri, per cui se esse invasero un lido da una parte, altro lido lasciarono scoperto dall'altra, il quale si nominò appunto Novoledo, ossia novo lito con la pronunzia di quei tempi; e questo nome di Novoledo risale al 753, per cui si conosce a un di presso l'età in cui il Bacchiglione divenne fiume grosso.

Baga. Istrumento di musica, fatto con otre e piva. L'usano i montanari, e spesso si vede tra quelli che fanno ballar l'orso. In questo senso manca in tutti i Dizionarj da me consultati.

Bagnolo. Villa nominata fino dall'an. 753. È presso Lonigo, ed abbonda di sorgenti. Egli è perciò che noto l'asserzione di Toselli, che la deriva da Bauerrata corrige originale, sorgente, e da Oll, tutto (vedi pag. 32).

Baracha. Il Boerio, solo nelle Giunte, registra questa voce nel senso di gozzoviglia, sotto il quale è intesa fra noi. Andiamo a fare una baracha vale andare in compagnia a godersela. Dice Llorente (Tom. I. pag. 156 della Storia dell'Inquisizione di Spagna): Gli Ebrei con questa voce intendono ogni orazione di grazie a Dio. Celebrato il Sabat, si mettono a tavola. Il padre di famiglia prende un bicchiere, e dopo orato, bevutone un sorso, lo passa ai commensali, che fanno lo stesso. Baharen vale benedire.

Barban. Voce antiquata, come la dice Boerio, ma non disusata in qualche villa del nostro contado. Significa Zio, come il suo abbreviato Barba in tutto il Veneto ed altrove. Una carta di Pistoją la riferisce all'anno 767 (vedi Toselli).

Barche. Luogo interno della città, ove, non sono passati molti secoli, le barche di Venezia giungevano. Oggidì il fiume Bacchiglione, elevandosi od impoverendosi di aque, non permette ad esse di giungere sì alto. La tradizione dei nomi ha tenuto conto di un punto inferiore, pur oggi abbandonato come questo dalla navigazione per le cause medesime. (Vedi la voce Burci.)

Bardevelo. Quella parte delle serrature che i Veneziani dicono salterello, i Toscani saliscendi. Per metafora intendesi la parte inferiore della bocca dei ciarlieri. In questo senso, che per noi è figurato, l'hanno al proprio i Piemontesi (vedi Ponza, Dizionario).

Barela. Noto questa voce, registrata pure dal Boerio, per la diversa definizione che importa fra noi. Piccolo carro fatto a guisa delle antiche bighe, tirato spesso da due buoi, atto a caricare e scaricare la terra di trasporto, per la [p. 17 modifica]comodità che offre la sua forma, aperta del tutto al di dietro.

Baretina. Pietra di Lapio poco consistente, che levasi alla superficie del monte. Era in uso nel secolo XVI. (vedi Magrini, Storia della Cattedrale di Vicenza, pag. 66). Così detta probabilmente per il suo colore, che traeva a quello che oggi dicesi cannellino. I nostri vecchi abbondavano nel distinguere con questa voce molte cose, fra le altre un panno-lano.

Bargnif. Furbo, barattiere, cavalliere d'industria. In Piemonte Bargnif significa diavolo.

Basavejo. Pungiglione delle api e d'altri insetti.

Bàsero. Legno o pietra che serve di base e fermaglio alle botti.

Basilica. Nome del Palazzo della Ragione, ossia di Giustizia. In questo senso trovasi nelle antiche Iscrizioni di Padova e di Velleja.

Baston. Malatía del filugello quando non fa la muta; poco malefica, onde il proverbio: Baston no s,ciaraerrata corrige originale pezzon.

Battizzi. La porta dei battizzi è quella laterale del Duomo di Vicenza, dirimpetto alla porta Almeriga. Durante il Dominio Veneto il solo Duomo poteva battezzare, e nell'atrio di questa porta si faceva all'occasione solenne apparecchio di argenteria.

Bela. Balia. Il Ponte delle Bele, così detto perchè le balie lavavano sotto di esso i panni del vicino luogo dei trovatelli. A Vicenza questa voce resta nel suddetto nome di luogo, ma il significato più non corre, ed il cittadino non lo comprende. Nel contado però vale moltissimo col suo verbo Belire (prendere a balia).

Belverde. Qualificativo di un uccello favoloso, la cui storia diverte i fanciulli. L'oselin Belverde, se crediamo alle nonne, che tutto han saputo da lui, è un gran chiacchierone, che interrompe le più gioconde avventure. Egli sgruppa tutte le malizie dei fanciulli con rivelarne gli effetti, o prevederne i tentativi.

Benna. Specie di gerlo che s'accomoda sulle spalle senza imbracciarlo, o tenerlo con le mani. Gli alpigiani della Val dei Conti ne fanno grande uso per trasportare terra o letame. Festo narra che presso i Galli era un carro; e Rosa per tale lo definisce sul lago d'Iseo. Molti luoghi del Territorio nostro chiamansi Benne, Bennette, forse perchè la terra fruttifera vi fu in essi portata con le benne, non so se gerli o carri. Il Dizionario Piemontese lo registra con un'n e con due: nel primo caso vale casipola; nel secondo, prima aratura di primavera. Noi Vicentini, che ci accordiamo con molte parole tecniche del Piemonte, non sappiamo quale rifiutare o quale adottare di queste tre origini delle nostre località dette Benne.

Berga. Nome di una città divisa da Vicenza dal fiume Retrone, forse edificata e nominata dagli stessi popoli che nominarono il Bacchiglione. — Non dirò che questa voce ed i suoi derivati sieno sparsi a denominare luoghi dell'Italia e quasi di tutto il Mondo, nè le diverse opinioni del suo significato; noterò solo che a Vicenza abbiamo molte denominazioni che vengono da essa, come Berici, appellativo di due catene di colline; Bergome, Bergozze, luoghi, contrade, ec.

Bianco. Molti dei nostri marmi così diconsi dal colore; il più noto è quello di Piovene, e il Biancon di Caltrano.

Bilora. Donna di poca diligenza e un po' scostumatella. Detto classico, venuto dalle cavalle ardenti, che hanno d'uopo di doppio freno.

Biseranda. Givoco fanciullesco, che si fa passando due fila attortigliate in largo pel corpo di una castagna, e poi tirandole finchè restringendosi da sè stesse e divincolandosi, la castagna molina all'uso del trapano.

Bisinello (vedi Visinello).

Bissorbola. Cecilia anguis fragilis.

per Bue trovasi in Boerio, ma non il proverbio agricolo: Bò moro, o merda o oro; cioè validissimo od invalidissimo.

Boccalotti. Tutti i mestieri in ter[p. 18 modifica]ra cotta si radunavano nelle fraglie di questo nome, che avea per impresa un boccale. Il loro ridotto era a San Pietro, nella cui parete esterna anche oggidì vedesi una bella pittura che li rappresenta.

Bogna, contrazione di Bisogna. Voce oggigiorno del contadino. Bogna che tutti vivamo l'ha sempre in bocca.

Botte. Oltre a significare il vaso che tiene il vino, ha quello di vòlto sotterraneo per dare sfogo alle aque. In questo significato dicesi anche tombino; ma nè l'uno nè l'altro fu registrato dal Boerio. La espressione è antica, e l'abbiamo all'anno 1264. Unam bottem in hora Longariae. — Essere in una botte di ferro vale essere al sicuro; è una esaggerazione dei corazzieri, che passò in proverbio. Ebbi cura particolare di tener nota delle espressioni militari che durano nella lingua, per dimostrare come fosse un giorno belligera questa mia patria.

Bozzetta. Voce che va perdendosi, in senso di misura di grano. Lodovico Povegliano 1577: Molendinarius pro quoque stario debet unam bozzettam. In qualche molino pedemontano odesi ancora.

Bragagné. Maneggiar con destrezza, ed anche squadernare (vedi Poesie di Menon, Begotto e Magagnò, pag. 4 e 26). Oggidì va perdendosi questa voce, che pure s'ode ancora nel senso di uomo imbrogliato.

Bragolo. Animale bovino, neonato, troppo grosso, che macellato si tiene fra le carni inferiori (vedi Proclama Municipale 1849).

Brazzadei, plurale di Brazzadello, specie di pane o focaccia, che si fa in forma di anello, come il buzzolà. Bracce era una specie di faroerrata corrige originale appo i Galli, il quale alcuni sono d'opinione che fosse l'Hordeum distycum, ossia la nostra Orzuola, o Scandela, o forse la Scandola di Plinio. Pontedera, botanico ed archeologo Vicentino, nel Tomo I. pagina 30, Opere postume, è di opinione che quel Bracce sia padre dei nostri Brazzadei. L'editore della Biblioteca Italiana, Num. XXII. pagina 94, lo contradice asserendo che Brazzadello altro non è che la traduzione di Braccioletto; ma è d'avvertirsi che in Vicenza si dice Brazzaletto all'anello del braccio, e che perciò Brazzadello è parola da quella distinta. Si noti in aggiunta, che molte cose mangiative hanno la desinenza in ei; per esempio, Grattadei, Figadei, Murei de luganega; e i Veneziani Pan semolei. Forse che in quell'ei s'asconde la voce esus?

Breganze. Nome di paese che sa del Celtico, come molti de' suoi vicini, Maragnole, Salcedo, Drigo, Fara, ec., in mezzo ai quali sorge improviso Mason, ossia Mansio, posta Romana. Declinasi Bregantiae Bregantiarum. È osservabile che l'Astico divide questi nomi Celtici da un'altra follata di Latini od Etruschi che sono al di là verso Vicenza: Lupia dall'Etrusco fossa; Povolaro, ossia popularium, Vigardolo, ossia piccolo vico; Doville, ec.

Brendola. È nome Celtico di villaggio, che si declina Brendulae Brendularum; indizio ch'era Pago, ossia Capo-luogo di molti paesi. È curioso osservare che come Mason, voce Romana, sorge fra molti paesi Celtici (vedi Breganze), questo Celtico sorge fra molti Romani: Altavilla, Montebello, Lonigo, Creazzo, ec., gli stanno d'intorno.

Brighe. Pigliavasi in buon senso nel secolo XV., onde il Testamento Proto dice: Tra li homeni che sostien le brighe e le fation del Comun de Salzeo.

Brombielo. Scarafaggio di color cannellino, che vola assai. Apparisce in primavera, ed è ghiotto dei germogli delle viti. In alcuni anni portò calamità al prodotto del vino, onde i contadini sono solleciti nel perseguitarlo a suo tempo. La sua apparizione è così dolorosa, che più lapidi scritte la segnalarono quà e là nel Territorio. Quando il Timacchio passava per Villaversa si osservava che il Brombiolo restava al di là di esso torrente. Forse è lo stesso che il descritto da Boerio; ma la sua storia appo noi è diversa. [p. 19 modifica]

Bronzo o Brondo. Ola di bronzo ad uso di cucinare le carni. Proverbio: Pensa e ripensa, in fondo l'allegrezza sta nel brondo. Vale a dire: la contentezza, la pace sta in quelle famiglie che hanno da mangiare. Questa voce non è quasi più intesa specialmente in città, ove questo arnese fu soppiantato in cucina dal rame stagnato, dal ferro fuso, ec. Ciò nulla ostante gli acconciatori di simili vasi di metallo diverso si fanno conoscere gridando per le strade tre parole ignote, o quasi, oggidì: Conza lavisi e brondi. Ne parla il Boerio con diversa pronuncia, e tace il proverbio.

Brosema. Rugiada congelata. I Veneziani la dicono Brosa. — Tre broseme fa una piova; tre piove fa una brentana.

Bretone. Nome di un luogo suburbano. È conghiettura appoggiata a buoni indizj, che il dio Brotonte, notissimo in Aquileja, fosse adorato fra noi.

Bruna. Corrotto. Zendal de bruna nel Testamento Proto vale abito di corrotto. Trovansi sparsi nel Territorio dei luoghi detti Campobrun e Canteinbrun, e sono nomi che indicano che quei siti producevano quanto era d'uopo a pagare qualche pio funebre suffragio.

Brusar la peste. Dicesi a quel falò che fanno ardere i fanciulli il giorno della festa di san Rocco, in memoria delle suppellettili che si abbruciavano dei morti al tempo della pestilenza. Il choléra ha rinovato in sul serio a' nostri tempi una costumanza, la quale non serviva più che di gioco.

Brusato. Noto questa voce, che ricorda il nostro brusà per l'anno antico, in cui sussisteva la pronunsia dell's pel c: Anno 1264. Unus campus terrae aratoriae in castello Brusato. (Maccà, Tomo VIII. pag. 130. 136.)

Burci (La stradella dei) ha perduto il suo nome prima di quella delle barche, benchè dinoti un luogo della stazione delle navi in Vicenza dopo che il fiume non soffrì di alzarle più fino alla suddetta contrada (vedi Barche). Fu chiusa la via dei Burci al principio di questo secolo. Esse presentemente si fermano al porto.

Butar. Il Boerio non registra un omo butà là, cioè fatto alla carlona. In antico valeva rovesciare. — In una carta dell'anno 1341 trovo: butar el bonoo stato di un paese.

Buso per zero, o sia centinajo od anche decina, è una espressione tutta propria dei mercati di animali, portataci dai popoli pastori dei Sette-Comuni, che hanno una loro particolare foggia di conteggiare con questa cifra, che, secondo il valore, trinciano d'una o più linee, e così costituiscono il cerchio di uno o più busi.

Buzzarossa. Interjezione di meraviglia, dice Boerio, che ne ignora l'etimologia, Vicentina del tutto, ossia dei Sette-Comuni. Putzen Rossen; via, bestia.

C

Cadalò, ossia casa di Allodio (vedi Alò). Cadalò presso noi è luogo di Longare. Muratori lo trovò usato per nome d'uomo all'anno 800 (vedi Dissertazione quinta).

Cagno. Termine contadinesco di ammirazione, che vale cagione. Vale anche duro, difficile. Le noci cagne sono quelle, il cui guscio è conglutinato al mandorlo.

Calamano. Specie di pomo che si cuoce, e forse viene da Roma. I fruttajuoli gridano: Calamani Romani.

Calcanta. Voce perdutasi, ed era epiteto di via. A Vicenza vedesi ricordata nel Testamento Proto. I Summarioni la pongono in Magrè.

Calcara. Significa il luogo in cui si torrefanno i sassi per ridurli in calce. Molti luoghi del Vicentino si chiamano da essa, e così in Italia, come avverte il Toselli. Fra i nostri io noterò Calcarola, perchè si trova all'anno 1190, come dice il Macca, Tom. V. pag. 331.

Caliverna. Fitta nebbia che oscura l'aria. Manca al Boerio. Il Piemontese ha Galaverna.

Camaleonti. Nome di una società che si radunava in luogo opportuno, co[p. 20 modifica]me ad un caffè, surta nel secolo XVIII. Ivi non si beveva, nè si mangiava, come lo indica la storia favolosa di quell'animale. Se qualche forestiere ingannato lo prendeva per un caffè omnibus, ed ordinava, veniva servito dai caffè vicini, e nel dispensarlo dal pagare imparava a non ricadere in errore. Un Inglese scrisse perciò un Articolo nell'Edimburgh Reviw, intitolato l'Urbanità dei Vicentini. Durò un secolo.

Canopo. Nome degli operaj che lavoravano nelle miniere di Torrebelvicino fino dal secolo XVI., oggi chiuse.

Cantile. Così chiamasi il rampollo del castagno quando è giunto all'età di dodici anni.

Capa. Bica di frumento in paglia, che si forma sul campo appena tagliato, e si compone di manipoli che si dicono faggie. Tredici di esse fanno una capa, e diciasette una crosetta.

Careze. Erbe carici.

Cargaro una montagna, dicesi dai pastori il coprirla delle loro mandre, e pascolarla. L'abuso che fanno di questa espressione per dare importanza al loro gregge non parmi aver altro modo corrispondente in valore nel dialetto Veneto, se non quello dei Veneziani che dicevano il Doge calare in S. Marco quando da' suoi appartamenti si portava in quella chiesa. Il verbo discendere non avrebbe espresso la dignità di quel personaggio; come il verbo coprire non è sufficiente fra i pastori a far comprendere la pingue e molta loro famiglia dei pascolanti la montagna, se non la magnificano con questa voce cargare.

Casso. Una delle divisioni del fienile; onde chi vende il fieno all'ingrosso lo vende a cassi.

Castron. Dicesi ad un margine di ferita molto evidente. Forse non è metafora di castron, che i Veneziani usano per rimendatura mal fatta, ma ci ricorda che l'arte di cucire le ferite dicesi Gastrorafia.

Cavaletta. Locusta. Non posso tacere una ipotesi sull'antichità di questa voce. Gio. Maria Lupi nel suo Epithaphium Severae martyris (Panormi 1734) ci riferisce un tegolo cristiano, su cui sta scritto Locustus, e sotto l'imagine di un cavallo, la quale è probabilmente il nome figurato del defunto. È cosa usitatissima dagli antichi porre scolpite sui sepolcri le idee di cose che rispondano al nome del sepolto. Si direbbe che le armi parlanti dei moderni traggono origine di là.

Cavalire. Modo del volgo nostro di pronunciare Cavaliere, ossia Filugello. Da questa pronunzia ne nasce un gioco di parole, sciocco in apparenza, ma di profondo senso a chi lo considera nell'interesse del poveretto che lo pronunzia: Se i va ben, i ze cava-lire; se i va mal, i ze cava-cori. — Altra espressione: Inverno dei cavaliri è quella burrasca che per solito precede l'estate in Maggio o. Giugno.

Cavezagna. Riporto questa importantissima voce agricola, registrata da tutti i Dizionarj da me veduti, e tradotta da tutti diversamente e definita. A me pare che debba spiegarsi cornice o margine che circonda i campi, e li divide or dal fosso, or da un altro appezzamento di terra, e serve loro di strada o scolo; per cui dico che la voce ciglione della Crusca, aquajo del Milanese, proda del volgo Fiorentino, latora del Davanzati, sono tutti nomi improprj, perchè incompleti; e che se le deve solo quello di cavezagna, perchè cavo significa che essa è in capo ai campi, e serve loro di passaggio; ed agna è voce antichissima che appartiene alle aque, e spiega il secondo ufficio della cavezagna.

Cavrara. Specie d'uva che nel 1709 non morì pel freddo con le altre, per cui dicesi che da quell'anno venne la costumanza, oggidì perdutasi, di obbligare il fittajuolo ad allevare un terzo della campagna ad uva cavrara.

Cesura. Piccolo poderetto che si apparta fra i grandi.

Che. Vale nemmeno. No ghe gera anema che piccola; cioè non vi era nessuno. [p. 21 modifica]

Chive. Quà. Oggi voce rustica, antitesi di live là.

Ciò. Appellativo di amico o d'inferiore. Modo basso per oe, ei. Vien egli dal Veneto to' per togli? Non parmi, od almeno sarebbe strano che i Vicentini convertissero quella voce, ovvia anche fra essi, in una nuova, pronunziandola poi con quel suono di lettera a cui hanno ripugnanza. Piacemi meglio crederla contrazione di S,ciao, saluto, che è pure contrazione di Schiavo. Il Ciò, come il Sciao, si dà a persona molto amica o molto inferiore; e se fosse vera l'etimología ch'io spaccio, sarebbe in relazione l'uso d'oggi con quello da cui essa ebbe origine, salvo la diversità dei tempi.

Ciocchetta. Significa ago lungo, balenante, di materia spesso argentea, che gli orefici di Vicenza facevano ad uso delle donne (negli ultimi tempi per le sole contadine); nel qual ago infilzavano gelsomini, e se lo ponevano in capo od in petto. Lo trovai in uso fino dal 1170. Gli orefici ne pongono in mostra ancora, ed in qualche rimota villa non è disusato, ove unitamente alle spadine e alle rocchette (ossieno canocchiette), aghi tutti a figura emblematica della pace, della guerra, delle stagioni, che faceano della peta (pettinatura contadin.) un poema.

Ciuppese. Notabile trasformazione di Santa Maria Etiopessa, luogo presso Vivaro, da non invidiare quelle di Venezia: S. Stae per Santo Eustachio; Ss. Marcola per Santi Ermagora e Fortunato. Questo Ciuppese è luogo paludoso. È fama che nei tempi Romani vi fosse vivajo di fiere; ma io credo di pesci. Corre un modo di dire per proverbiare chi narra cose spiacevoli: Caro vu andè a Ciuppese a pescar rane col finfolo (ossia fischietto).

Clamaxon pagà. Saldo di un pagherò. Vedi Testamento Proto: Ogni debito che pervenisse a mi ghe fazzo clamaxon pagà. E in altro luogo: Ho bella carta e bona de clamaxon pagà.

Coa. Molți luoghi secondarj del Territorio portano questo nome, od i suoi derivati. Per lo più è la figura topografica che determina il nome, cagionata ad un terreno dall'intreccio con esso di strade o canali, o da divisioni co' vicini proprietarj, od anche dal sistema della rotazione agraria. Nei Sette-Comuni però questo nome lo imprime alle volte il terribile fenomeno detto la Coa ai luoghi da esso devastati. Così è detto ivi un vento che formasi a guisa di sifone e a cono rovescio. Questo turbine percorre devastando quei boschi, lasciando con la devastazione traccie del suo passaggio, e di più dando un colore di arsiccio bianco ai vegetabili che investe e dimena. Le campane avvisano il popolo che si salvi, quando si vede o si prevede la coa.

Coego. Cotica. L'ha il Boerio, ma non il proverbio: Quando Marzo no incoega, Mazo no sega.

Colombina. Pietra da lavoro, che trovasi nel Vicentino sul tenere di Gambugliano (vedi Maccà, Tom. IX).

Como. Modo antico di pronunziare Come. Trovasi dipinto nel quadro dell'Apparizione della Beata Vergine al Monte Berico, del secolo XV.

Comedo. È il Quomodo dei Latini, che i contadini lontani dalla città dicono ancora.

Consedè. Ossia come si deve. Espressione che si ode a Schio. Un omo consedè è un uomo abile all'ufficio suo. Un abito, una cerimonia consedè, ec., risponde a capello al francese comme il faut.

Consolare. L'ufficio del Console, ossia Giudice criminale. La conservazione di quest'Ufficiale nella Costituzione della città di Vicenza era uno dei più importanti privilegi concessi dai Veneziani al tempo della dedizione di quella al loro dominio. Competeva al Console l'esame dei morti improvisamente o per cause violenti, ed in questo caso non si potevano muovere i cadaveri prima dell'arrivo del Console sul luogo ov'erano caduti. Da questa regola di ordine ne naque la più strana anfibología del nostro dialetto. Il Console si faceva aspet[p. 22 modifica]tare, e perciò i cadaveri al suo arrivo putivano. Quando alcuno ha mal odore, il volgo dice: El spuzza che el consola; cioè: pute come il cadavere che aspetta il Console. Ma siccome lo pronunzia con l'o stretto, mentre dovrebbe pronunziarlo con l'o largo, confonde questo verbo con l'altro Consolare, allegrare.

Contraltare. Alzar altare contro altare vale movere rivalità, opposizione di pari forza; espressione che dev'essere nataerrata corrige originale ai tempi dello scisma.

Copano. Nome che si dà agli orfani dell'Ospitale della Misericordia e di S. Valentino, forse da un abito marinaresco che sul principio si adottò per vestirli.

Covalo. Caverna.

Corniole. Lumaca nella sua conchiglia.

Corpo. Andar al corpo vale andar al funerale ed al banchetto, che anche oggidì i contadini usano, come in antico, far seguire alla tumulazione del parente.

Costo per Passivo. Testamento Proto: Sia messo al costo del convento.

Cremese. Colore col quale vestivasi il capo degli Inquisitori di Stato a Venezia; magistrato pronto a cogliere i delinquenti. Per antonomasia il volgo lo diceva il Cremese; e dire ad uno che sta per fare un'azione cattiva: Occio, che anco i fa el Cremese, è quanto avvertirlo che la punizione lo coglierà tosto.

Crepa. Teschio. Beverne una crepa è termine basso, che vale berne una scodella. Certo qui si ricorda il tempo in cui bevevasi nel cranio dei vinti.

Croda. Sasso di monte dirupato.

Crote. Il rospo grande, detto in buon Italiano Botta. La nostra voce, che si ode a Schio principalmente, simiglia al crapaud dei Francesi.

Cunetta. Nella macchina che si suole nei tempi lieti trascinare per Vicenza il giorno del Corpus Domini, ed è detta la Rua, havvi nel mezzo una ruota che gira, fatta con mirabile artificio di raggi, che sono conche movibili. In ognuna siede un fanciullo, il quale gira con la ruota senza mai capovolgersi. Questa cunetta, ossia questa ruota così fatta, fu introdotta nella Rua quando essa si strascinò l'anno 1581 per festeggiare Maria d'Austria, che passava per Vicenza (vedi Lettere descrittive del Pigafetta).

D

D. Lettera usata per z (vedi in principio le Passioni del dialetto Veneto in Vicenza). Il volgo gentile d'oggidì alle volte raddolcisce questa lettera coll’affine T. Per esempio, dice Trissino, mentre il contadino pronuncia Dresseno. Le lapidi antiche stanno con quest'ultimo, e scrivono Drepsinates, nominando quelli di quel paese.

. Dado e Dadi. Indeclinabile.

Dagandoghe per Dandogli. Voce scritta nel Testamento Proto 1412, e vive nel contadino grosso. Non odesi a Venezia; pure Boerio la registra, nelle Giunte.

Daspò per Dopo.

Degore. Aque così dette dai loro condotti. Lodovico Povegliano, an. 1576: Aquarum ducti, sive degore villarum. Voce che trovasi spesso ripetuta a Vicenza e ad Este.

Denanze. Davanti. Testamento Proto: La morte ze sempre denanzo ai occierrata corrige originale.

Deputà. I Presidi al Municipio. Erano così detti ad utilia, ed avevano il Capo dei Deputà.

Do per zo, ossia giù.

Doja. Doglia. I malevoli od invidiosi amanti sogliono alle volte deridere o vituperare i loro rivali od i loro delusi col condurre una traccia d'erba dalla casa della fanciulla a quella dell'insultato. Questo dicesi far la doja.

Doman. Voce antiquata, che vale Tramontana. Dice il Testamento Proto: La qual casa è in borgo Berga appresso li eredi di Perdon Repeta da doman, e da mezzodì appresso Bartolomeo de' Squarzi.

Dossanti. Villaggio dei Sette-Comuni, composto delle Parochie di S. Caterina e S. Antonio, così nominato fino dal 1340 (vedi Macca, Tom. XIV. pagina 42. 172). [p. 23 modifica]

Dove. Doghe, ossieno le assicelle che fanno parete alla botte.

Dugali. Così come Degore, denominazione di canaletti di aque. Sul lago d'Iseo usasi pure questa voce. Gabriele Rosa vi riconosce il francese Doche e il greco ΔΟΧΕ. E perchè no il Dantesco Doccia?

E

Ele (vedi Erle).

Eltarle. Voce di luoghi ove sono pietre eminenti, sporgenti. Se ne trovano al Treto, e via via per quelle montagne dei Sette-Comuni. Il Dal Pozzo opina che significhino gli antichi altari di quei popoli.

Era. Aja, luogo di battere il grano. Molti luoghi hanno questa denominazione fra i montanari. Anche a Milano, dice Sonzogno, S. Giovanni in Era ha questa origine.

Erede. Suol dirsi ai figli. Chi questa voce ascolta crede voglia significare che sono gli eredi di casa loro, i futuri padroni, ed è voce usitatissima anche fra il volgo. Il Florilegio Comasco ha provato con molti esempi che vale figli. — Capra con erede o senza erede suol dirsi fra quei popoli per quest'animale con o senza il capretto. Plinio (Lib. XVI. 37) lo applica ai rampolli delle piante. Alui caese densius innumero haeredes prosunt.

Eretenio. Nome del Teatro moderno a Vicenza, perchè posto in riva all'Ereteno, ossia al fiume Retrone, che si vuole avesse in antico quel nome.

Erle ed Ele. Terminazione solita dei cognomi ne' Sette-Comuni quando s'ingentiliscono. Eberle, Monzerle, Cantele, Stengele.

F

Face. Contrazione di Faggetto, nome di molti luoghi nei monti.

Famejo. Nel Vicentino dicesi nel solo caso di nominare il servo del boattiere.

Fatto. Proverbio: Carne de matto guarisce de fatto. Vuol dire l'uomo allegro, poco curante di sua salute, il quale è per lo più vigoroso, guarisce subito i mali suoi, ipso facto. Qualcuno usa dire: guarisce de patto.

Fara. Vocabolo Lombardo, che significa podere appartenente ad una famiglia che con servi ed animali se lo coltiva. Molte sono le Fare nel Vicentino, ed una è nominata fino dal 1148.

Farfujon. Imbrattamestieri. Lo ha il Piemontese, non il Boerio.

Fefo. Voce agricola. Il ramo che parte dal tronco dell'albero.

Fia per Figlia dicesi a Vicenza, come a Venezia; ma mancherei al mio pregiudizio Etrusco, se non avvertissi aver trovato in tal senso questa medesima voce in un sepolcro di quella nazione il Lanzi, Tom. I. pag. 133, edizione di Firenze 1824.

Fievera per Febre.

Figarolo. Nome che nel 1116 avea la contrada di Longare, che oggi dicesi la Commenda (vedi Pagliarino, pag. 159). Questa voce, che il Toscano tradurrebbe Ficajuolo, mostra l'antichità del nostro uso di usare il g e l'r, ov'esso il c e l'j.

Figazzolo, ossia Fegatello, dicesi solo degli uccelli. Questo diminutivo è unico nella sua specie oggidì, perciocchè è perduto l'altro di Vigazzolo, che denominava anticamente i piccoli vici del Territorio. Se Vico è Etrusco, dovrebbe esserlo anche Vigazzolo, e per conseguenza si conoscerebbe la nazionalità di Figazzolo.

Fiora. Nome che si dà alla messa delle frutta della ficaja; onde prima e seconda fiora, cioè primo e secondo frutto suo.

Fir. Per essere modo antico, perdutosi probabilmente con l'influenza Nordica della lingua Teutonica, che per li monti via giungeva fino a Malo. Fir rappresenta il verbo ausiliare Machen. Il Testamento Prote l'ha di spesso: Et debbia l'altar fir messo in la ditta cappella. (Vedi Po far mi.)

Fongara. Nome di un marmo assai bello, brecciato, che trovasi presso la [p. 24 modifica]villa di questo nome. Nominato fino dall'anno 1339.

Formigon. Al proprio e' significa grande formica, come nel Veneto; ma al figurato vale uomo astuto, pronto a prevalersi e ad insinuarsi nella dabbenaggine altrui. Forse il Phormio di Terenzio.

Fornaro. Fornajo. — Una battuda da fornaro intendesi a Vicenza una forte picchiata alla porta. Questo detto deriva dall'uso in cui erano una volta le famiglie di Vicenza d'impastarsi il pane in casa, e poi farselo cuocere dal vicino fabricatore di pane. Questi, quando era caldo il forno all'ora posta, correva sollecito di porta in porta ad avvertirne li clienti suoi, e, per farsi senza più conoscere, picchiava in quel modo straordinariamente forte, che è divenuto proverbiale.

Fraza. Gragnuola minuta. Nel Bresciano vale neve congelata. Il Boerio nelle ultimissime aggiunte fece un bell'Articolo su di essa, dicendola Frasa.

Fruscare. L'atto del bue che dà di corno.

Furo. Corruzione antica di Foro, che ha monumento in molte città Venete. Pontefuro a Vicenza, Calfura a Padova, Borgofuro ad Este. Questa voce per gli Archeologi è più preziosa d'una lapide.

G

G. Precedendo i ed e, spesso si volge in z. Usurpò il posto dell'h in molte voci, fra le altre nei verbali di Havere; onde dicesi go e ga per ho ed ha. Così avvenne anche altrove, e quel paese che oggi dicesi Gavello gli antichi dicevano Havellum.

Gajoffa. Scarsella. — Mettere in gajoffa, atto d'ingordo. L'ha il Mantovano, non il Boerio nemmeno nelle Giunte in questo senso.

Galdimento e Ingaldimento. Significa aggiunta; regalía che si dà sopra il pattuito principale, nel soddisfare alcuno. Per lo più i padroni dei fondi sono quelli che fanno l'ingaldimento ai loro dipendenti in ordine agricolo. Forse le collinette che sorgono basse, isolate, nella nostra pianura tra Vicenza e Padova, sono dette di Montegalda per essere un soprapiù della vallata tra le montagne vicine. L'ha il Boerio nelle Giunte con altro significato.

Gambinare. Termine di agricoltura. Si dice quando per abbassare un campo non si vuole trasportare la terra fruttifera di tutta la sua superficie. Allora si aprono tante fosse parallele lungo il luogo condannato quanto è largo, e di quelle sole si asporta la terra, riempiendole poi cogli argini di esse laterali, a cui si agguagliano.

Gambo. Vaso di fiori. E così il Toselli.

Garba. Farghe bever la garba ad uno dicesi il dispetto che si fa ad un tale che gode di un trionfo o vi aspira, e del rivale non può vendicarsi. Boerio non conobbe la forza della espressione, e ne ignorò l'origine. Plinio dice che quelli che riportavano vittoria in Campidoglio erano costretti a bere l'assenzio.

Garganica. Sorta d'uva.

Garzignoli. Qualificativo di pera che si trovano in S. Giovanni Ilarione.

Gata. Andar in gata, malatía del filugello. Tisichezza, consunzione. Ve ne ha di due sorta. La rossa non è senza speranza di guarigione.

Gatapelosa. Ruga che si sviluppa in Maggio.

Gavassare. Procurare che il cespo s'ingrossi.

Gavasso. Cespo ben nutrito e folto.

Gavegnà. Arnese agricolo, ossia cesta assai larga di vimini intrecciati, con grande apertura al fondo e alla bocca, fatta per inchiudervi foglie, o stipule, o fieno.

Gaveta. Cordicella di canape grossa come lo spago, ma superiore in solidità.

Gazo. Nome di paese, che si sa in antico aver significato bosco. Trovasi nominato all'anno 975 unitamente a molti suoi derivati: Gazola, Gazolo, ec.

Glexia. Voce antiquatissima, che pur giunse fin quasi ai nostri tempi. Ne[p. 25 modifica]gli Atti della Società Pontoniana, stampati nel 1819, si vede in una Iscrizione dell'anno 494. Il Testamento Proto l'adopera, anno 1412; e nelle Poesie rustiche del secolo scorso ella è pure posta in bocca ai contadini.

Gnaro. Nido.

Gonti. Uno dei più strani verbali di avere. Vale ho io. Usasi in composizione di frase interrogativa: Lo gonti mi? Cosa gonti fatto? (Vedi Onti).

Gora. Sorta di seta di cattiva qualità.

Granga. Legna di granga si dice quella che si raccoglie dai viticci dopo la potatura. Forse ha qualche parentela col grange dei Francesi.

Grise e lore. È una espressione che significa male faccende. L'origine sua mi è assai oscura. El ghe n'à fatto e ditto de grise e lore vale aver fatto e detto le strane e perfide cose. Osservo che se griser in Francese vale ubbriacarsi, e lora in Veneziano dicesi alla peveraerrata corrige originale. Ambe queste voci dunque appartengono al vino, e forse unite significano azioni da ubbriaco. L'espressione manca nel Boerio.

Grolo. Dicesi ad uomo o bestia lunga, secca, vecchia, malconcia. Si applica al suolo in molti luoghi, sempre di aspetto infecondo. Ha molti derivati: Grolon, Grolario, ec. L'ha il Boerio soltanto in feminino, e non l'applica a cose inanimate.

Grondolaressa. Grondaja. I Veneti dicono gronda.

Groto. L'ha il Boerio come un sinonimo di Pellicano, e più non si spiega. Sembra che questa significhi spennacchiato. La favola dice che il pellicano si nudava il petto per nutrire i figli. I nostri pollaj hanno una varietà del gallo che porta poche penne, e le poche cincinnate. Questo dicesi Grotto, e trae il nome dalla razza.

Groppa. Danno i tagliapietra di Costozza questo nome ad un nucleo che trovano alle volte nel macigno quando lo spiccano dal monte. Rotta questa groppa, si spande un fetido odore per la caverna. Si dice che sia una conchiglia impietritasi.

Grumo. Oltre al significato di mucchio e cumulo, accennato dal Boerio, ha nel Vicentino quello di una data misura di legne accatastate, minore della pertica. Trovasi fra noi e altrove; p. e. a Bologna, ove l'accennò il Toselli per nome di paese, e così il suo derivato Grumello. Molti Vocabolaristi sospesero i loro pensieri sopra questa voce, e G. Rosa (Documenti storici, pag. 52) la dice voce di origine sconosciuta ed antica. E ben disse, imperciocchè si trovò in senso di località scolpita fra le Iscrizioni della Via Appia, che sterraronsi nel 1852. (Vedi Annali dell'Istituto Archeologico, p. 311.)

Guarnello. Gonnella. Voce contadinesca, ma usitatissima. Andar a guarnello è quando lo sposo non conduce la moglie a casa sua, ma va con essa.

Guasto. Voce che le donnicciuole hanno spesso sul labro senza sapere l'orribile cosa che con essa esprimono. El cria come un guasto dicono dei loro fanciulli, se un nonnulla piangono. Guasto presso i nostri antenati valeva guastato dalle torture, e con l'ajuto delle suddette ciarliere la tradizione ci ha conservata la memoria delle angoscie de' rei. Guasto dicesi anche un luogo ove la casa di un condannato fu agguagliata al suolo.

I

Illuminare. È parola de' calderaj, e significa gettar nel fuoco i caldieri rovesci per farli lucidi.

Imbriare. Manca questo verbo al Boerio. Oggi vale imbrigliare. Certo in antico valeva porre in ischiavitù. — Anno 1263 statuimus, quod teneantur sacramento facere fieri solutionem pro Communi Vincentiae illis personis, qui fuere capti et imbriati per illos de Valdagno et Malado tempore guerrae Valdagni et Maladi. (Vedi Macca, Tom. XIII. p. 78.)

Imbolognà. Defraudato. Nella Provincia Bresciana bolognà vale bastonato (vedi Merchiori). [p. 26 modifica]

Imbolsamare. È lo spalmare che fanno le tessitrici sulla loro trama. Gabriele Rosa ne' suoi Documenti storici spiega alla voce Biosma: Crusca con cui si mantiene scorrevole la navicella nell'ordito della tela.

Impaverare. Termine del lanificio, e significa: cucire una bulla di sorgo nell'orlo dei panni che hanno ad essere coloriti, od altro, ma non ancora stirati.

Impento per Dipinto usasi ancora dal grosso volgo, ed anche il gentile cittadino dice la cà impenta quella casa fuori di Porta-Padovana, che fu dai Veneti fiscata al ribelle Leonardo Trissino, e data al Conte di Pittigliano, oggi Balbi. Il Testamento Proto dice che gli scudi sieno impenti all'arma mea.

Inazamò. Già mò. Pur adesso.

Infatire. Dicesi di cosa apparentemente sana, ma che pel tempo o l'umidità è marcita. Questa voce ha molta analogía col suono e col senso del verbo fatisco.

Intacco. Parola dei tagliapietra di Costozza, usata per esprimere quella specie di lavoro che fanno essi nel macigno quando vogliono spiccarne un masso grande regolare, per farne statua o colonna, ec. Non è lavorare d'intacco il picchiare nel sasso per farne scheggie.

Isola. Voce che usasi a Sant'Orso per esprimere quella specie di slitta con cui si trascina giù dai monti il fieno. — Isola insetto, ossia Luciola.

L

Lagrimaro. Luogo paludoso presso Novoledo, ove i cacciatori vanno oggidì in traccia di uccelli aquatici. È poco tempo passato da che questa situazione ha preso nome e carattere, cioè da quando fu invasa dalle straripazioni del Timonchio.

Laguja. Aquila. Voce antiquata. Trovasi nel Testamento Proto. Lagujaro è nome di paese che sussiste, e che in Latino dicesi Aquilarium.

Lasta. Lastra di pietra. Trovasi nel Testamento Proto. Molti luoghi montuosi hanno questo nome.

Lelia. Nome della fonte principale di Recoaro, così detta da un Lelio Pio vene che la scoperse.

Levro. Coperto. Dicesi in significato cattivo. Levro di pidocchi, di rogna, ec., probabilmente è una reliquia del senso che faceva il vedere uno coperto di lepra.

Liana. Quel listello di pietra che copre le mura. I Padovani la dicono Tolina.

Ligoro. Lucertolone, Ramarro.

Live. Là. Voce rustica. Antitesi di Chive.

Lola. Ciarpa, Frasca. Applicata a terreno è epiteto di sterilità. Ha derivati Lolo, Lolara, ec.

Luzzo. Tutte le tradizioni ci riferiscono che questa voce, dinotante un'importante località archeologica in Vicenza, proviene da Lucus, bosco. Questo bosco separava, al luogo ove dicesi Luzzo, Vicenza da Berga, ossia era, come usavasi, in mezzo a questa città formata da quelle due edificazioni, il Lucus in urbe fuit medius tutissimus umbra. — Il vezzo dei Vicentini di voltare il c in z produsse questa trasformazione di pronunzia, la quale non è priva d'esempi in altre parti d'Italia. In un Diploma di Carlo Magno si legge: Gajum nostrum, quod in Lucciaria conjacet. — Lucciaria era luogo così detto perchè in mezzo ai boschi, ed oggi dicesi Luzzara. (Vedi Frizzi, Storia di Ferrara, pag. 28.) — Luzzo, pesce, trovasi in Boerio, ma non il proverbio che indica il tempo in cui è buono a mangiarsi. Luzzo in pelizza, tenche in camisa; cioè quello in inverno, queste in estate.

M

Maestà. Termine dei falegnami. La cornice di una porta.

Malgaragno. Melo granato.

Maon. L'appoggio della scranna.

Marcado. Voce antiquata per Contratto. (Vedi Magrini, Storia della [p. 27 modifica]Cattedrale di Vicenza, pag. 38: In questo marcado non si parla di soffitto.

Martella. Tira para martella. Non trovo nel Boerio questo modo di dire, comune a tutto il Veneto, col quale si esprime la disputa affrettata di due che non s'intendono. Viene dall'arte della scherma.

Maso. Nei tempi di mezzo il Maso era un podere di 20 campi. La Rivista Europea dice che i Tirolesi Italiani chiamano Masi le case (vedi all'anno 1845 pag. 226). Aggiungo che questa voce passa l'Alpi, ed a Schio, cioè ai piè di esse, Maso dicesi, allo incirca nel primo senso, ad alcuni poderetti che conservano questa voce antica. A Schio pure odesi Maso per Maggio, ma così pronunziato in un caso solo, per quanto io so, cioè in quello di età del suino; negli altri casi Maggio pronunziasi Mazo. L'animale di un maso o di due vale d'uno o di due anni.

Maxo e Mado. Modi di pronunciare Maggio ed i suoi derivati. Piantar el mazo è quell'uso che ancor serbasi in alcune ville di piantare un ramo od antano il giorno primo di Maggio per onore di una via o d'una casa, o del ritorno dei fiori (vedi Maso).

Mazzante. Quello tra i carnefici del porco, che l'uccide.

Mea per mia trovasi nelle vecchie scritture vernacole. Il Testamento Proto ha: impento all'arma mea. Mea per zia, l'amia dei Veneziani. — Mea gualiva dicesi la morte, agguagliatrice di tutte le sorti. Trovasi questa frase nelle Poesie di Menon, Begotto e Magagnò.

Molon de butiro dicesi ad una forma di pane di burro.

Menaizzo. Condotticcio.

Merdarolo. Così denominarono i Vicentini il luogo ove sconfissero i Padovani nel 1311. Questo fu l'ultimo dardo che scagliò per Vicenza l'ira municipale, detta del medio-evo. La vincitrice Vicenza fu da poi serva degli Scaligeri, che ajutata l'aveano all'impresa; e così ella pose in istoria la favola del cavallo, che per vincere il cervo chiese soccorso all'uomo; ma questi, dopo averlo favorito, non iscese più dalla groppa sua.

Metterzo in senso di partorire manca al Boerio. È proprio la traduzione di mettre-bas dei Francesi.

Mo in senso di minaccia manca al Boerio. Fare il mo mo ad uno vale intimorirlo.

Mocche. Vezzi, smorfie della persona fuori del suo stato normale e tranquillo. Far le mocche all'aspetto di una medicina è quel ribrezzo che si dimostra in faccia nel prenderla. Far le mocche si dice degli amanti che si vezzeggiano. Fanno le mocche i fanciulli quando si divertono scorrazzando fra loro. Non l'ha il Boerio, bensì il Cherubini e il Ponza.

Mondigolo, La castagna.

Monsù. Storpiatura di Monsieur, con la qual voce il popolo intende un Francese. Al tempo del Regno d'Italia i Tribunali si erano famigliarizzati con essa, ed il Giudice non dimandava altre spiegazioni a chi deponeva un Monsù aver fatto o detto. Era nel popolo usitatissimo l'appellare un Francese: La diga, sior Monsù.

Montisolo. Voce venutaci dai Sette-Comuni, e vale la parte inferiore della bocca. Dal Pozzo, pag. 361, la deriva da Mount, bocca, e seul, colonna; cioè sostegno della bocca.

Moraro. Gelso. I Veneziani dicono Morer. — Le radise del moraro vol sentir le campane a sonar; cioè quest'albero non ama essere profondamente piantato, e prospera vicino alle case.

Morte picchinina chiamasi il deliquio piacevole.

Moscolo. Trottolo cavo, che turbinando ronza come una mosca. Gioco dei fanciulli.

Muscheria. Contrada di Vicenza, nominata dai conciapelli che vi abitavano, detti una volta muschieri. Musc nel dialetto Comasco dicesi al pelo grigio degli animali. (Vedi Florilegio Comasco Politecnico, N.º 38.) [p. 28 modifica]

N

Nale. Contrazione di Natale. — Santa Maria di Nale è luogo che un dì si diceva Santa Maria in Alò. — Cantar Nale dicesi a quella canzone che usano i contadini al chiaror di Luna sciogliere le notti che sono prossime al Natale di Nostro Signore.

Nanto. Voce antichissima, ed il cui significato si riconosce ai confronti che furono instituiti fra i luoghi ch'essa distingue. Questi luoghi sono tutti umidi, o lo furono, e trovansi nel Vicentino ed altrove. Egli è un parente del verbo Natare, nella cui conjugazione si trova l'omonimo. Nanto, Nonto, Cappanunte sono luoghi aquitrinosi del Vicentino. Nonto è nominato fino dal 1068.

Naro. Voce che distingue un monte presso Schio fra quelli ove sono metalli preziosi un dì ricercati, oggi abbandonați perchè esauriti. Si vuole una corruzione della voce Oro.

Nevesola. Diminutivo di Neve. Proverbio: El dì della Zeriola, se piove o nevesola, dell'inverno semo fola; se nuvolo o seren, quaranta dì ghe n'en.

Nodaro. Notajo. Proverbio: Nota nota, Nodaro, che la buzzera va in caro. Dicesi di quelli che si provedono senza pagare, e fanno porre a libro. Parmi voglia significare che questo fallo economico viene presto a trista maturità.

Nomè: In questo istante, Or ora.

Nona per Punto celeste del mezzogiorno. Il Testamento Proto dice: Rompere el muro de verso Nona. Manca al Boerio in questo senso.

O

Occioaverto. Nome di un'opera avanzata della fortezza di Longare, che vegliava alla custodia della rosta che divergeva il Bacchiglione da Padova. Voce del secolo XIII.

Olimpico e Olimpica. Nome di un Teatro e di un'Academia che sono tra i principali onori della storia moderna di Vicenza. Voce del secolo XVI.

Onta. Un'onta e una ponta è registrato dal Boerio in significato di bene e male avvicendato; ma non nella sua origine al proprio, in cui è da considerarsi quale monumento storico degli antichi supplizj. Il carnefice ungeva prima il corpo che offendeva, ad oggetto di prepararnelo. Quando vigeva il Codice Napoleone abbiamo veduto alcun che di simile nella pena del marchio.

Onti. Lo stesso che Gonti, verbale di Avere. L'omissione del g, che rappresenta l'h, mostra la poca necessità di queste lettere a formar l'intrinseco della parola, e ci conferma nell'idea ch'essa fosse anche negli antichi linguaggi, da cui il presente deriva, in solo ufficio di aspirazione. L'onti mi? L'ho io?

Oppio. Acero. È registrato dal Boerio, ma non dice ch'essa è voce vernacola del Settentrione Italiano, riconosciuta per tale dagli scrittori più antichi di Roma. Varrone, Lib. I. Cap. VIII.: Mediolanenses ut faciunt in arboribus, quos vocant Opulus (vedi Muratori, Dissertazione XXIV).

Orbigolo. Foruncolo che viene per male nell'occhio. Usasi oggidì, ed è antico. Manca al Boerio. Paolo Gualdo Vicentino in una lettera al Pignoria 1609 indica il morbo che lo affliggeva con questa voce. Questa fu stampata nel 1835 per nozze Loredan-Bragadin, pag. 53.

Orsare. Ardire. Voce contadinesca, ma molto in uso. No me orso; Guai se el se orsa; Orsete mò. Forse ebbe origine da Ordior. Nelle Giunte Boerio la registra, ma in senso affatto diverso.

Osella, femina d'Uccello, non usasi che in un solo caso, cioè per indicare quella colomba che, simbolo dello Spirito Santo, si faceva a Schio volare verso la chiesa, e dicevasi la santa Osella. In diminutivo non è raro udir nominare l'oselletta per femina di uccelletto.

P

Panaro. Tagliere.

Pandere. Manifestare.

Panigaja. Così chiamasi ancora a [p. 29 modifica]Vicenza il publico tubatore. Questo nome è restato invece del proprio a molte famiglie che hanno esercitato un tale ufficio. Questa parola venne da Milano nel breve spazio della dominazione Viscontea. In quella città eravi una famiglia Panigarola, alla quale i Duchi aveano concesso il diritto di registrare tutti gli Editti e Decreti, ed il loro ufficio dicevasi dei Panigaroli.

Pao. Pollo d'India, detto anche Dindio. Dura a Vicenza la tradizione, che quest'uccello vi fosse portato da Galvan, servitore del celebre Antonio Pigafetta attore, e storico del primo Viaggio intorno al mondo. Nulla mi è dato di aggiungere in prova di questa novella, che in quel celebre libro non ha impresso orma alcuna. Mi ricordo aver veduto a Venezia una farmacía Galvani coll'impresa di quest'uccello.

Paetta. La femina del Pao.

Parar via. Guarire, cioè cacciare il morbo.

Parcagna. Mascella.

Parmenire. Smaltire. Dicesi in senso traslato: te la farò parmenir; cioè me la pagherai. Non lo trovo in altri Dizionarj.

Passipaga. Voce forense, intesa prima della caduta della Republica Veneta. I Nobili rurali.

Patata del Bacchiglione. — È forse l'Eliotropium tuberosum, detto Topinambur. Dicesi Patata da pochi anni in poi, mentre prima diceasi Tartufola, benchè non simigli nè a questo, nè a quel pomo di terra (vedi Marzari, Piante spontanee, che la traduce Dyospirus Lotus). Anche questa si dice venuta a Vicenza col cel. viaggiatore Pigafetta, ed io la registro per non perdere occasione che giovi a ricordare quella gloria nostra.

Pedana. Orlo o cima dei panni-lani e di altri tessuti.

Pedemonte. Nome che si dà a tutta quella regione a' piè dell'Alpi attorno Piovene.

Pele. Andar a tor la pele dicesi tra i villici alla visita che fa la madre di una sposa otto giorni dopo che fu congiunta. Qual tradizione o quale superstizione sotto questa espressione si nasconda, mi è ignoto.

Pendola. Cuneo.

Pensionatico o Pissinadego. Nome dell'antichissimo diritto che hanno gli uomini dei Sette-Comuni di pascolare i nostri prati. Muratori lo deriva dal latino Pensio, pensione. Forse l'ager scriptuarius dei Romani. Nei codici antichi è per lo più scritto Pisenadego, e così pare che venga da Bissen naghen, che in Tedesco significa pascolare i prati (vedi Prospetto dei Privilegi dei Sette-Comuni).

Peperise. Sorta d'uva, forse così detta da Pipernum, d'onde venne.

Perdon. Voce antica per Santuario, ove si trova remissione delle peccata. Il Testamento Proto ordina che sieno visitati tutti i perdon de Roma.

Peron. Uccello del Vicentino, nominato da Fazio degli Uberti nel Dittamondo; ma gli Ornitologhi non più riconoscono qual ch'egli si sia (vedi Biblioteca Italiana, n.° XVI. pag. 284). Questa voce rimane ad una località di Torre bel vicino.

Petizza. Moneta Veneta ad uso di Dalmazia, che non si trova in Boerio. Il nostro volgo diede lo stesso nome ad uno spezzato di tallero coll'effigie ora dell'Imperatore Leopoldo I., ora di Giuseppe I. Ausburpurgici, anch'esso fuori di corso.

Pezzon. Graticcio dai cavalieri. In questo senso manca al Boerio.

Piagno. Termine dei falegnami. La tavola dell'abete, segata fuori dell'albero, quella che costituisce il centro della pianta, o l'è vicino.

Piarda. — Secondo il Boerio, è un termine che distingue un tal qual filone delle aque del Po. A Vicenza per essa intendesi una sponda di fiume coltivata, od anche un ritaglio fra le muraglie della città e la circonvallazione. — Osserva G. Rosa, che ΠIAPOΣ in greco significa fertilità, e la spiega in questo senso sul [p. 30 modifica]lago d'Iseo. Nel Testamento Proto abbiamo il suo diminutivo Piardella.

Piazza. Aver della piazza è proprietà d'uomo accorto, e pigliasi in buon senso. Vale conoscere il cuore umano. Manca al Boerio.

Piè. Gambo per lo più di sverza o di lattuca, ma dicesi d'ogni erba.

Pieto. Dicesi l'insieme delle poppe delle bestie.

Pigno. Musco che copre il prato poco umido, ed impedisce ad altra erba di spuntarvi.

Piffero. Ad imitazione dei Veneti aveano anche i Vicentini questo servo del Comune, suonatore dello strumento da cui prese il nome. Questi dovea con tre compagni comparire nelle publiche processioni vestito di una toga pezzata cogli stemmi della Nobiltà Vicentina, e suonare dinanzi al Corpo dei Deputati ad utilia. Dal buono stato in cui viveva questo ufficiale, abbondante di mancie e di ozj, vuolsi che a Vicenza sia venuto il proverbio: Star da piffero; Mangiar, bere, dormire da piffero. — Gli eruditi non consentono questa etimología a tale espressione, perchè il proverbio corre anche in quelle città in cui Pifferi non sono. Essi dicono che gli antichi diceano star da dapiffero, cioè come quell'ufficiale addetto alle case dei Grandi, il cui incarico era di proveder loro la mensa, e che appunto per questo provedea prima sè stesso. Ciò nullaostante l'espressione è da registrarsi come Vicentina, per l'intenzione che hanno i Vicentini nel pronunziarla, imperciocchè le parole valgono quello che vuole significare chi le dice.

Pila. Nome di una località Vicentina. Molti nomi dell'Etruria Centrale si trovano ripetuti nell' Etruria Padana. Questo fra gli altri è l'Uno. — Pila era città Etrusca. — Pila è pure il nome di un cumulo di pietre lungo dodici piedi, largo sette, alto tre.

Pissaroto. Spinello. Il Paroco di Recoaro diceva, parlando a' suoi popolaui il linguaggio che intendono, un giorno in chiesa, che stessero buoni e diveti, altrimenti Domine Iddio inaridirebbe quel Pissaroto che loro apportava infiniti denari sul luogo.

Piti. Pulcini. Il Boerio non lo registra, benchè noti Pita per Dindia. Viceversa questa ultima voce a Vicenza non corre.

Pitona. Atto sconcio, che si fa ponendo una mano a metà dell'altro braccio, e dimenandolo, come fa della sua coda la bestia che i Veneziani chiamano Pitona, e noi Paetta.

Pizzegoto. Il becchino.

Pò far mi. Non è registrato dal Boerio. Quel non è contrazione di potere, nè di poi, ma bensì di popolo, che, al dire di Festo, si trova persino nei Carmi Saliarj. — , nome dell'Università di Padova. Havvi chi la dice corruzione di , sincope di Popolo a Padova, che così nominava in antico il luogo de' suoi comizj. — Far per Essere (vedi Fir). Quì dice: el popolo son mi. È il non plus ultra della prepotenza. L'è vegnù col pò far mi. Luigi XIV. non disse nulla di nuovo quando disse: La France c'est moi.

Pola. Spillo d'aqua. In questo senso manca al Boerio.

Polinare. Così chiamano i contadini S. Apollinare; e perchè il nome consuona, il dì della sua festa, ch'è in Luglio, nettano il pollajo dai pidocchi-pollini.

Polio. Netto; ma peto polio dicesi ad uno di nettezza affettata.

Pontalto. Nome di luogo presso Vicenza, notabile solo per l'antichità sua, che fa prova della pronuncia Italiana all'anno 990, perchè si trova in una scrittura di quest'anno, ch' era nel monastero dei santi Felice e Fortunato.

Pontara. Via saliente.

Posta. Un mio de posta, un millio corto. Voce satirica.

Preda. Come i Milanesi oggi dicono, dicevasi a Vicenza nel 1534 per Pietra.

Predicare. Quell'atto che fanno i filugelli col capo e mezzo il corpo levato, quando dopo essere maturi vanno a tentone cercando appoggio alla loro bava. [p. 31 modifica]

Pretiportoni. Parola satirica, perdutasi con le perdutesi costumanze. Erano quei Preti che, come il Levita della Scrittura, si aggiungevano a qualche famiglia, ed erano utili allo stato spirituale di essa, alla educazione dei figli, all'amministrazione economica. Le famiglie capaci di condurli erano ricche, abitatrici di palazzi dalle grandi porte, e perciò Preti che entravano nei portoni.

Proa. Pezzo di terra isolato, per lo più prativo, sulla china di monte o di argine.

Q

Quariselle. Voce antica, che di spesso si trova nelle Storie del Teatro Olimpico, e nelle scritture degli Architetti del secolo XVI. Significa piedestallo. — (Vedi Magrini, Vita del Palladio, pag. 85.)

Quiabita. Il diavolo no vol sentir la quiabita, cioè l'orazione degli esorcisti. Qui habitat in adjutorium Altissimi; e dicesi di chi non vuol sentire la verità, che gli fa torto. In questo senso manca al Boerio.

R

Rabottare. Termine dei muratori, che vale agguagliare la muraglia. — In Piemonte è dei falegnami, e vale piallare.

Rabotti. Quei piccoli pezzi di sasso o di terra cotta, con cui si agguagliano le muraglie fatte di pietra negli interstizj fra sasso e sasso.

Ragiare. Termine di Mascalcía. — Operazione chirurgica, che si fa sulle bestie per preservarle o guarirle da contagio, od altro. Vedi Benedetto Galliccio nel suo libro intorno alla preservazione de' buoi, pag. 48, ove dice: I setoni, i couterj, le altre artificiali ferite..... che i volgari chiamano ragiare. — Boerio riporta questa voce con altro senso, analogo sì, ma del tutto diverso.

Ranarola. Nome di una biscia. — Chersidro, o Coluber natrix.

Recao. Tornar da recao vale tornar da capo.

Reciotto. Parola ch'esprime cosa crudele, passata nell'uso quasi per lepidezza. I Veneti, avvezzi alla guerra co' barbari, contavano com'essi i morti per le orecchie che loro tagliavano. Perciò reciotto è sinonimo di saggio, di spicchio; e dicesi un reciotto d'uva, ed anche di vino, per un piccolo boccale di esso. L'ha il Boerio, ma non l'etimología.

Reggenza. Nome della Rappresentanza dei Sette-Comuni al tempo Veneto, che consisteva in due Deputati per ogni Comune. La sua autorità era puramente esecutiva.

Regia. Così dicevasi la porta maggiore del Duomo di Vicenza. (Vedi Magrini, Storia della Cattedrale di Vicenza, pag. 29; e cita il Barbarano, Storia Ecclesiastica di Vicenza, all'anno 1353.) Fu notato più volte nei nostri antichi Vescovi affettazione del titolo reale.

Rego. Compasso. Fra il detto e il fatto vi è un gran rego.

Reme. Quelle colonne di legno che s'intercalano nei muri a secco, sponde ai torrenti.

Rengo. Voce venutaci da Milano, ove l'Arrengo era la Corte di giustizia. Dicesi fra noi, come in Piemonte, sonar rengo quando i botti della campana di torre avvisa il popolo che il patibolo lavora.

Requesta. Durello della pollería.

Risardola. Lucertola.

Rompin. Quegli che rompeva la lana nelle officine di Schio. Dopo l'introduzione delle macchine ha cessato questo mestiere; e bene gli è stato, perchè si osservava nelle famiglie di chi lo trattava imperversare le rachitide.

Rovejana. Dicesi ad un misto di cose disparate, intricate.

Rovejolo. Insetto che si attortiglia nelle tenere foglie della vite, e rompe picciuolo che sostiene l'embrione dell'uva.

Roverso. Luogo di perfetta tramontana.

Rozzo. Dicesi ad un vimine in cui sono infilzati alcuni oggetti, come p. e. [p. 32 modifica]uccelli. A Breganze la Madonna del Rozzo è la Madonna di Settembre, perchè le alpigiane scendono quel giorno a quella villa, e ne riportano a casa un rozzo di grappoli d' uva. — Dicesi un rozzo di case un piccolo gruppo di esse. — Sul lago d'Iseo Ros è uno stormo di uccelli ed una follata di pecore (vedi G. Rosa, Documenti storici, pag. 12).

Rua. In origine sembrami indicasse altezza acuminata. Una posizione alta e montuosa nel Vicentino, ed una nel Padovano, così si chiamano. Oggidì per Rua il popolo infimo intende ruota; ma significa poi per tutti quella macchina che in forma d'aguglia si usa strascinare il dì del Corpus Domini nei tempi lieti per la città di Vicenza. Si reputa che la sua instituzione risalga a tempi immemorabili. Dai memorabili in poi essa contenne sempre nel vano della sua base una ruota, e da questa si vuole che traesse il nome. Ma è da sapersi che soleano accompagnarla altre macchinette eguali, dette ruele, e queste non aveano ruote, per cui rimane intatta la prima presunzione sulla sua etimología.

Ruele (vedi Rua).

Ruetta. Nome di una contrada, perchè in essa si trovava il pertugio a ruota, che introduceva i bastardelli nel loro ospizio.

Rumare. Poppare. L'usano i contadini, probabilmente non ancor dimentichi della Dea Romulia. Quanto più ascosa tra i villaggi rimotissimi, tanto più è solenne monumento questa voce dell'arcaismo dei nostri dialetti.

S

Salbanello. È un folletto veduto dai nostri cocchieri sotto la forma di un fanciullo vestito di rosso, che vuole imbizzarrire nella stalla. Dicesi anche a quel bagliore che si fa guizzare nell'ombra traviando con uno specchio il raggio del Sole. È probabile che per un qualche gioco di luce consimile molte località abbiano acquistato questo nome. — Salbanare, Salbanelle, per lo più valli strette, profonde, sono quasi fenditure tra i monti.

Salbego. Selvatico.

Salgaro. Salice. Voce del Testamento Proto, viva pur oggi.

Sambuelo. Salsicciotto di carne la più trista.

Sassino. Assassino. Sessi, sassi, sassini, dicesi essere il caratteristico di Sandrigo, ameno villaggio sul margine dell'Astico. Il volgo con questa cacofonía descrive la costituzione politica, geologica, morale di quel paese. La famiglia dei Conti Sessi di Reggio, che avea ottenuto in feudo quel luogo dagli Scaligeri, vi aveva tanto attecchito, che fra poveri e ricchi ogni quattro famiglie del paese una era della sua stirpe. L'Astico colle sue frequenti alluvioni vi aveva e vi ha riempito i campi di ghiaja, e le cattive leggi dei secoli XVII. e XVIII. avevano dato l'impunità d'ivi abitare a diversi malfattori, che in quel gremito ricapito di vie transitorie vi facevano troppo bene i loro affari.

Sbarra. Usasi in più luoghi del Vicentino far la sbarra, ossia segnare un filo d'erbe e di fiori a traverso la via che deve servire alla sposa che va a marito fuori del luogo natío. Questa gentile testimonianza di dolore non era così dolcemente attestata nei Sette-Comuni prima del cadere della Republica Veneta. — Ivi s'impediva alle spose daddovero l'uscire dal paese se non pagavano un tre per cento della loro dote a beneficio delle donzelle che restavano. Si provarono invano quei popoli nel 1815 di ricuperare anchè questo diritto.

Sbeccare. Vociare; ma dicesi propriamente delle voci sottili donnesche o fanciullesche. Manca al Boerio.

Sborazzare. Correre a diporto e sfogarsi.

Sbrefelà. Nelle Poesie di Menon, Begotto e Magagno, pag. 153, vale stracciato. Oggi si usa a significare chi porta un margine lungo il viso, appunto quello che i Francesi chiamano balafré.

Sbroncolare. È proprio levare i [p. 33 modifica]germogli che tolgono la rotondità del ramo dell'albero.

Scaolare. Separare il grano, la castagna, la noce ec. dalla loppa, riccio, guscio, ec.

Scaolo. Quell'embrione di castagna che trovasi nel riccio, presso alla castagna.

Scaranto. Comunemente vale piccolo torrente. Nei Sette-Comuni dicesi a luogo sterile. A Venezia è un tufo arenario della Laguna. Trovasi all'anno 1262 (vedi Maccà, Tom. V. pag. 11).

Scarcozzo. La buccia del gambero.

Scavezzà. Termine di agricoltura. Parte del campo, il cui solco è più corto degli altri.

S,ciantizo. Scintilla, Lampo.

S,ciave. Epiteto d'uva fino dal 1308. (Vedi Maccà, Tom. XII. pag. 204; e Testamento Proto: uve nostrane e s,ciaveerrata corrige originale.)

S,ciope. Termine dei bacofili. Dicesi a quel bozzolo appena incominciato, e non terminato per morte del filugello.

Scoegarde. Nome di molti luoghi, così detti dallo scoticare. Trovasi all'anno 1383 (vedi Maccà, Tom. XII. p. 306).

Scuderolo. Piccolo scudo, probabilmente quello che gli araldici chiamano il sopra tutto. Voce perdutasi con le perdutesi costumanze. — Il Testamento Proto dice: cum dei scuderoli all'arma mea in lo mezzo dei scudi.Scudi pinti, s'intende cogli stemmi di chi li portava.

Segar. Falciare l'erba. Questa voce non deriva da Sega, ch'è quello strumento dentato dei falegnami, tagliapietra, od altre arti; ma da Sica, strumento corto e curvo, ch'è proprio la nostra falce, posta per recidere l'erba in cima ad un lungo bastone, e per mietere le biade ad uno corto. In questo secondo caso chiamasi Sesola, ossia Sicula, piccola sica. Un nostro paese, che si stende appena giù dai Berici, e presentaci una pianura opportunissima alla coltivazione delle biade, chiamasi Secula. Il c e l's negli antichi caratteri Greci e Latini producono suono avvicendato, e così si crede in Etrusco; onde si conclude che questi nomi subissero tali passioni anche nella nostra pronuncia.

Seghette. Quei muricciuoli che servono di riparo ai passaggieri sui ponti o sui precipizj.

Semanacao. Siamo da capo.

Sgarigio. Il mandorlo della noce.

Sgenzale. Zanzara.

Sguicamento. Pianto flebile. Questa volta i Vicentini all'n della nobilissima voce nicchiare non si contentarono di farle precedere un g, ma eziandio un's.

Sgrosenda. Scheggia acuta minuta.

Sieve, per Siepe, non è termine disusato a Vicenza, come dice il Boerio essere a Venezia. Un sieve, al mascolino, chiamasi la siepe di vimini o sterpi secchi. Proverbio: Un sieve dura tre anni, un can dura tre sievi, un cavallo dura tre cani, ed un omo dura tre cavalli.

Sigolare. Zufolare.

Sila. Oggi intendesi un luogo piano, coltivato senz'alberi. Tutto al contrario lo intendevano gli antichi. Dionigi di Alicarnasso, publicato dal Mai, p. 159, dichiara che in fine del quinto secolo di Roma i Bruzj spontaneamente cedettero ai Romani la metà di quel territorio montuoso che diceasi e tuttavia si dice la Sila, di dove si traea molto legname per la marinería, e molta resina (vedi Biblioteca Italiana, n.º VI. pag-220).

Sioria, cioè Signoria. Voce che serve di saluto. Tempo già fu, era saluto dei contadini verso dei signori; oggidì i signori lo ritorcono ad essi. Ad un contadino per saluto confidenziale se gli dice Sioria; cioè: Addio, o voi che solete dire per saluto Sioria. È questa la fortuna delle parole.

Sita per Saetta, fulmine. Voce oggidì triviale, è vero, come la dice il Boerio, a Venezia, e a Vicenza contadinesca affatto; ma conviene aggiungere, per la sua storia, un dì nobilissima. Maestro Antonio da Ferrara la usò nella sua Canzone in morte del Petrarca: Il qual non teme la sita di Giove.

Siton. Insetto di corpo assai lungo, [p. 34 modifica]fornito di quattro ale, gran volatore, detto Libellula.

Snio. Epiteto di pelo morbido e liscio.

Soggio. Scoglio.

Soja. Lametta di ferro, che serve ai tagliapietra per incastrare il cuneo nelle fenditure.

Solerio. Voce antiquata, e di significato perdutosi da molto tempo, ma che ciò nullaostante, come osso arido, insepolto, rimane in molte parti d'Italia per nome di contrada, o per aggiunto di edifizio. Molte sono le spiegazioni che se ne dànno; ma nessuna mi garba, se non quella che proviene dalla Legge 2. del Digesto, pag. 17, da cui si scorge che si diceano luoghi e famiglie in Solerio quelli o quelle che stavano su di un terreno ceduto ad esse dal publico, per cui a questo pagavano un tributo. Questa, e non quella del solajo sopra la chiesa, come crede il Sonzogno, è l'origine di S. Ambrogio in Solario di Milano, e questa era la ragione del sopranome in Solario delle nostre famiglie Arnaldi, Gorghi, Squarzj (non dal Sole pinto sulle case, come fu detto), le quali abitavano in Berga presso al Romano Teatro, probabilmente sul terreno ove fu il palazzo imperiale, il cui suolo fu ad esse ceduto dal publico.

Spantazar. Lo sconciarsi che fa nel cadere una forma di che che sia, costruita di cosa tenera.

Spaveggiar. Sfarfallare. Lo dice il contadino, con bella figura, al ramo che getta foglie novelle in primavera. Dicesi anche di chi esce di casa lindo, bello, vestito di nuovo.

Speri. Impanate di tela alle finestre (vedi Magrini, Storia della Cattedrale di Vicenza, anno 1538, pag. 78).

Sperluzzaro. Albero di alto fusto, che dà un frutto rosso, di pasta nespolina. Crathaegus vitifolia. Manca al Marzari. È più antico del 1620.

Spiazo. Spazio. Termine che si usa per significare un luogo raso, ampio, piano, che per lo più succede ad uno stretto.

Spovolare. Divulgare un segreto.

Spruggia. Fessura di monte.

Steola. Stipula.

Straseggio. Viottolo. Usasi ed è antico. Si trova in un Documento del 1565, riportato dal Bertotti nel suo Forestiero istruito, pag. 81.

Strigia. Fila lunga e sottile di cose succedentisi così come cordelle di carta, di rame, catena di cose o d'uomini. I fanciulli usano di prendersi in molti per mano, e correndo cantano in coro: Strigia strigia lunga, barba barba lunga, magna pan e latte, peta zò le culatte. E così dicendo si accosciano tutti insieme.

Superstite. L'architetto Comunale. Voce del secolo XVI., perdutasi.

Stubiare. Agitare il fieno dopo tagliato, perchè si secchi.

Susia. Epiteto della lanaerrata corrige originale dopo tondata, e prima che preparata.

T

Tamazo. Dicesi l'atto del cadere dal sovraposto così sul sottoposto a combaciarlo. Voce usitatissima ed antica. Tamazolo trovasi all'anno 1296.

Tanfurlon. Andare a tanfurlon è andare all'inferno, od in malora. Qual lingua si parli qui non so indovinarlo. — Il Furlo è un passo malagevole dell'Apennino.

Tartufola (vedi Patata).

Tartufolaria. Pietra di Monteviale, che il Maccà, Tom. IX. pag. 163, pretende che sia l'antica Gagate.

Tavarnelle. Contrada di Altavilla, ove si dice il nome venuto dalle molte osteríe, che fino dai tempi Romani ivi erano Tabernule. Marin Sannuto all'anno 1483 nota che pur vi erano queste osteríe al tempo suo. Tale denominazione trovasi in molte parti d'Italia. (Vedi Schiassi, Museo di Bologna, pag. 15, che la nota sul Bolognese; e Gab. Rosa sul lago d'Iseo (nei Documenti storici.)

Terrabianca. Argilla del Treto, che si usa in molte fabbriche per confezionare le terraglie, o per purgare i panni-lani.

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