Salta al contegnùo

El marìo cortesan/Atto secondo

Da Wikisource
EPUB   MOBI   PDF   RTF   TXT
Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.

 Edission original:   

Pietro ChiariEl marìo cortesan, Bologna, nella Stamperia di S. Tommaso d'Aquino, 1789

 Fonte:

Indice:El marìo cortesan.djvu

← Atto primo Edission e fonte ▼ Atto terzo  →
[p. 16 modifica]
ATTO SECONDO.


SCENA PRIMA.
Zanetto, e Tonina.

Zan. LAsseme far a mi; son omo de giudizio.
Ton. Se tutto nol lo dopera, quà nasce un precipizio
          Perchè el so onor me preme, mi ho scoverto el quadro
          Ma condannando el furto, l'ha da salvar el ladro.
          Grama mi, grami tutti, se so mugger lo sà,
          Che sti bei pettoloni mi sola abbia contà.
          In pe che staga in pase la serva, e la patrona,
          Nu gh'averemo in casa el Diavolo, e so nona.
Zan. No dubitè, andė pur... Sento che la se move.
Ton. Nol se scorda de niente, che aspetterò le niove. 1
Zan Questa za l'aspettavo, e la vol esser bella.
Ton. Sior paron, me scordava un'altra bagatella.
          La vol della Lustrissima, e a chi non vol sto abuso,
          La manazza sta fregola, de' bei schiaffi in tel muso.
          Che la staga anca ella al stil vecchio de casa:
          Nol se scorda.
Zan. Ho capìo.
Tun. Da bravo, Sior, ma 'l tasa, 2
Zan. Se no ghe fusse altro, rider mi poderave;
          Ma però no me perdo.
Ton. Ghoi ditto della chiave?
Zan. Che chiave?
Ton. Del Teatro, dove la va ogni sera.
          Altro che sie zecchini, relogio, e tabacchiera.
          La dise so zerman; ma lu solo nol xè:
          No so niente: pastizzi de quei fatti al Caffe:
          Tanto de so sorelle, Sior no, non s'è mai ditto.
          El se recorda.
Zan. Sì.
Ton. Da bravo, Sior; ma zitto. 3
Zan. Questa parla per zelo, l'è assae che la cognosso,
          No bisogna scoverzerla.

[p. 17 modifica]

Ton. Ghallo el biglietto addosso?
Zan. Quello che m'ha dà Giacomo? L'è quà no mel scordava.
Ton. El fazza, caro ello, che 'l muso la se lava.
          La ghe n'ha su tre dei. Non so come che 'l fazza:
          Mi toccaria più tosto quel dal butiro in piazza. par.
Zan. Valla, o non valla ancora? l'ha m'ha stornio la testa;
          Ma xe quà mia mugger.

SCENA II.
Giulia, e detto.

Giul. CHe stravaganza è questa!
          Mio marito arrivato!
Zan. Son quà, mia cara Siora.
Giul. Quant'è, che giunto siete?
Zan. No sarà gnanca un'ora,
          Ma son restà in mezzà a far dei servizietti;
          Ho duvudo alla presta scriver do, o tre biglietti.
          Insomma semo qua.
Giul. Io n'ho tutta la gioja.
Zan. Steu ben?
Giul. Così, e così.
Zan. Se sguarda, che fe voja.
          Avè fatto altra ciera, più bella assae m'impegno.
Giul. Voi mi burlate.
Zan. Cara... (tolè la man in pegno.)
Giul. Gran finezze da vero, e più che non bisogna.
Zan. Cossa vedio, Fia cara? Ghaveu forsi la rogna.
Giul. Perchè?
Zan. Coi guanti in casa?
Giul. La polizìa lo vuole.
Zan. No ghe mudemo nome, l'è rogna in do parole.
          Vardè, vardè, anca el viso ghe n'ha dei segni certi:
          Tutti quei bollettini xe brestoli coverti.
          Povera mia mugger! chi mai v'ha rovinà?
          Qua ghe vol una purga, e purga come và.
          Goo d'aver un secreto, che l'ha dei anni tanti:
          Do settimane al più, no ghe più nei, nè guanti.
Giul. Voi scherzate, io m'immagino, perchè alle pari mie
          Sapete che vengono queste galanterie.
Zan. S'intende, cara Fia: vorave mo saver,

[p. 18 modifica]

          Perchè non posso goderme gnanca con mia mugger? 4
          Ma dov'è la mia scatola? l'averò persa: oh bravo!
          A tior tabacco adesso. (Se non la va, burlavo.)
Giul. Eccone quà, servitevi.
Zan. Che bella tabacchiera!
          D'oro! e come la pesa! fattura d'Inghilterra.
Giul. Regallo di mia Madre, Meschina! anzi che mora
          S'è di me ricordata.
Zan. E quel reloggio ancora?
Giul. Anch'esso.
Zan. Favorime, che ghe daga un'occhiada:
          Sta roba per la posta la ve sarà arrivada. 5
Giul. La portò un mio parente, che quà è venuto a spasso.
Zan. Zerman, barba, nevodo? coss'ello magro, o grasso?
Giul. Cugino per appunto. Uomo di condizione,
          Ricco, e buono tre volte.
Zan. Come li vol le Done.
          De sto vostro parente me ne consolo assai:
          Voggio anche mi conoscerlo. Vienlo a trovarve mai?
Giul. Viene quasi ogni giorno.
Zan. Ma quà pensar bisogna:
          Gho do sorelle in casa, che ve pol far vergogna.
          Le xe Donne alla bona, com'era i so fradei,
          Elle no porta guanti, elle no porta nei.
          No le gha de ste visite; ma voggio co le ghè,
          Che le se metta anch'elle in cerchio, e in andriè.
          Sto zerman, cara fia, per elle el xe un intrigo,
          Diseghe, che nol vegna, se mi no ghe lo digo.
Giul. Ce lo direte voi.
Zan. Cerco una, che ghe possa.
Giul. N'avrei troppa vergogna.
Zan. Za no vegnì più rossa.
Giul. (Qual cosa egli ha saputo, e di veleno io gelo.)
          Marito mio scherziamo?
Zan. E chi v'ha storto un pelo?
Giul. L'oriolo?
Zan. Lassemelo: ne voggio uno compagno.
Giul. La tabacchiera almeno?

[p. 19 modifica]

Zan. L'è quà, no ve la magno.
Giul. Intanto io resto senza.
Zan. La gh'averè doman.
Giul. Voi non parlate a caso.
Zan. Parlemo del zerman.
          Disè, che nome ghallo?
Giul. Ottavio egli si chiama.
Zan. Se 'l servente xe ottavo, nona sarà la dama.
Giul. Che servente? chi'l dice? Siamo parenti insieme.
Zan. Zitto, zitto, burlava: qua, cara Fia, agiuteme.
Giul. A che fare?
Zan. A cavarme quest'abito da viazo.
Giul. Eh! chi è di là? Tonina.
Zan. No ghe tetè de mazo.
          Feme vu sto servizio.
Giul. Io non son quà per questo;
          Moglie sono, non serva.
Zan. No lo gho mai savesto.
          Ste cose mia sorella le fa colle so man.
Giul. Ella è tutta marito.
Zan. E vu tutta zerman.
Giul. Oh! marito son stanca, che il ballo non è corto.
Zan. Zitto, zitto, burlava, che mia sorella ha torto
          Ella non gha bon gusto, la xe stravagantissima;
          So che da poco in quà la vol della Lustrissima.
          Ello vero, Fia cara?
Giul. Se si capisse il bene,
          Lo dovrebbe pretendere, perchè a lei pur conviene.
Zan. Pian pian, no decidemo, Sti titoli usurparli
          In casa mia no s'usa, ma basta meritarli.
          Se mia sorella è matta d'aver tutto sto ardir,
          Sibben l'è maridada, mi me farò sentir.
          M'è sta supposto ancora, che la s'è messa in aria
          D'aver palchetto all'opera, e certo la zavaria.
          M'è sta da qualche spianzo, che tiolti de scondon
          L'ha sie zecchini in prestio, che l'ha trovà el minchion,
          Che in gondola sta matta el dì la se sbabazza;
          E in maschera ogni sera a spassizar la piazza.
          Ella vero, Fia cara? vu l'averè sentì:
          Se l'è vero, Bettina la gha da far con mì:

[p. 20 modifica]

Giul. A che gioco giochiamo, marito mio carissimo?
          Voi parlate in enigma, ma intendo anch'io benissimo,
          La sorella accusando, che in ciò non v'interessa,
          Voi, Signor, pretendete di condannar me stessa.
          Sono cose alterate: c'è da pensarci sù:
          Tutte lingue cattive.
Zan. E chi parla con vù?
          Se mia mugger da niovo tegnisse sto sistema,
          Credela, siora Giulia, che mi averìa sta flema?
          Salla, che ne gho filo de dir quello, che occor,
          Nè son marìo bon stomego; ma son omo d'onor.
          No, siora Giulia cara, no gho niente con ella,
          Col zerman gho qualcossa; ma l'è una bagatella.
          De quel che avè da dirghe za vu se persuasa:
          L'ha da parlar con mi, se'l vol vegnir in casa.
Giul. Io non so inciviltà.
Zan. Dirghelo con creanza.
Giul. E cosa gli ho da dire?
Zan. Me son spiegà abbastanza.
Giul. Chi sa quando lo vedo?
Zan. El pol tardar pochetto.
          El vol da vu in persona risposta a sto biglietto.
          Quasi me lo scordavo, se nol mettevi in ballo,
          Perdonè, se l'ho averto, perchè l'ho averto in fallo.
          Andè la, siora Giulia, andè a risponder subito,
          Cusì vol la creanza, vu ghe n'avè, no dubito.
          Ma nella prima riga per tiorme a mi sto imbrojo,
          Con civiltà scriveghe, che in casa no lo vojo. parte.
Giul. Ecco chi m'ha tradita! Questo biglietto è stato:
          Va, cerca quel buon uomo a chi l'ha consegnato.
          Della gente di casa ebbi sospetto in questo;
          Ma il biglietto fu il primo, essi avran detto il resto.
          Son in un bell'impegno: ma no, non m'imbarazzo:
          Il caro mio marito, se vil mi crede, è pazzo. parte.

SCENA III.
Zanetto, ed Ottavio.

Zan. A Pian, Sior, dove valla?
Ott. Vado pe' fatti miei. 6
Zan. Chi cercala in sta casa?
Ott. Vada: non cerco lei.

[p. 21 modifica]

Zan. Che mi vaga, Patron? Questo mo l'è un bel quadro:
          D'andar via tocca a ella.
Ott. Io poi non sono un ladro.
Zan. Gnanca mi un servitor.
Ott. Padrone mio illustrissimo,
Zan. La me lustra le scarpe.
Ott. Servitor suo umilissimo.
Zan. Fallo sti complimenti con tutte le persone?
Ott. (È un francone, che ispirita: m'ha messo in soggezione.
Zan. Se pol saver insomma cossa la cerca quà?
Ott. Signore... se permette... aspetti, e vederà. 7
Zan. Adasio, Sior, adasio. Se va da mia mugger,
          Se ghe va su' mii occhi, ne mi l'ho da saver?
Ott. Ah di Madama Giulia marito siete voi?
          Scusate... mi consolo; ma ci vedrem dappoi. 8
Zan. Oh vedemose adesso 9, ch'esser mi voggio el primo.
Ott. Quà: v'abbraccio, vi bacio. V'amo, v'onoro, e stimo;
          Ma Madama m'aspetta.
Zan. Pian, che la xe impedia.
Ott. Eh, già ci siamo intesi.
Zan. Bravi!
Ott. È cugina mia.
Zan. La fusse anca so nona, da ella no se và:
          Quante volte ho da dirghelo?
Ott. (Quasi tremar mi fa.)
          Dite: siete geloso?
Zan. No l'ho gnanca in pensier.
Ott. Voi non mi conoscete.
Zan. Cognosso mia mugger.
          L'è una Donna de garbo, la xe una Donna onesta,
          Me ne posso fidar, scometteria la testa.
          Se la gha qualche visita, se l'ha qualche regallo,
          Che mal ghe xe per questo?
Ott. Gran Donna! senza fallo.
Zan. Ma la xe po una Donna, che no sa più che tanto.
          A certe ore strambetta.
Ott. Sì, sì, strambetta alquanto.
Zan. El mondo dise.

[p. 22 modifica]

Ott. Certo.
Zan. Distinguer uno...
Ott. Un solo.
Zan. Vorria.
Ott. Ben.
Zan. Ma non deve.
Ott. No certo.
Zan. Ohe pandolo!
          El se comoda a tutto.
Ott. Resto a caval del fosso.
Zan. Sempre de sì, e de nò?
Ott. Così fallar non posso.
Zan. L'indovina dasseno per aver manco imbrojo;
          (E per far che 'l la tegna giusto cusì lo vojo.)
          Donca, come disevo, la m'ha capìo, sior sì;
          Mia mugger xe impedia, che l'ha da far per mì.
          De conoscerlo intanto averò avù l'onor.
          Se qualcossa ghe occorre, la gha quà un servitor.
          Vorlo sentarse?
Ott. È bene.
Zan. Nol me par gnanca stracco:
          Spassizemo.
Ott. Anzi meglio.
Zan. Gh'allo del bon tabacco?
Ott. Del rapè perfettissimo.
Zan. Oibò! sutto, e patìo.
Ott. Volevo dirlo.
Zan. El senta, che 'l par giusto del mio. 10
Ott. Vel diede mia cugina?
Zan. Zermana! no se falla.
Ott. È lo stesso.
Zan. Sicuro; e po questa no falla. 11
Ott. (È un marito alla mano, si può parlar sincero.)
          Bagatelle da donna: e pur non mi par vero.
          Se n'è forse privata?
Zan. Vorave mo saver:
          No posso mi la scatola doprar de mia mugger?
          La m'ha dà anca el relogio.

[p. 23 modifica]

Ott. Anch'esso? come mai?
Zan. Oh la me vol del ben, ma ben, ma ben assai.
Ott. Ma se di veder l'ore avesse ella desio?
Zan. Sto senza mi alle volte, che poi son so marìo!
Ott. Eh sì sì, dite bene.
Zan. Za no la va de sotto.
          Sta robba la gho in prestio, per darghela debotto.
          Anzi se'l vol che femo la burla, come và;
          La tegna ello sta robba, che lu ghe la darà.
          La perdona l'ardir. 12
Ott. Lo faccio volentieri.
          (Oibò, non è geloso. Qui non ci son misteri.)
Zan. Me par che mia mugger za poco m'abbia ditto,
          D'aver con ello un debito.
Ott. Eh! bagatelle: zitto.
Zan. Sie zecchini me par; e mi quà ghe li conto.
Ott. Via, che siamo parenti.
Zan. Ella me fa un affronto.
Ott. Non li prendo: c'è tempo.
Zan. Voggio pagarla ancuo;
          Semo parenti è vero, ma gh'abbia tutti el suo.
          Così, salla, con tutti in casa mia se tratta.
Ott. Via per non disgustarvi li prenderò.
Zan. (L'è fatta.)
          Gh'ho qualche d'affaretto, che destrigar me preme.
Ott. Servitevi ch'io resto.
Zan. Oibò, andaremo insieme. 13
Ott. Se non rendo a Madama la roba sua, mi sgrida.
Zan. No ghe miga sta pressa. La resta pur servida. 14
Ott. Che la saluti almeno: chi serve in ciò non fala. 15
Zan. Tocca a mi de servirlo in fondo della scala.
Ott. Tanto siete ostinato!
Zan. Someggio a mia mugger.
Ott. Via, fatemi la strada.
Zan. Oh! mai; so el mio dover. 16

[p. 24 modifica]

Ott. Quando è così, ubbidisco; (ma tornerò ben tosto.) par.
Zan. Se'l torna più, da senno lo metto al menarosto. par.

SCENA IV.
Bettina e Lucietta.

Luc. AVeu sentìo, Bettina!
Bett. Quel mio fradel, che muso!
Luc. Tutto anca mi son stada a spionar da un buso
Bett. Credeu che el torna più, se l'ha capì quel tomo?
Luc. Per ello me despiase. El par anca un bon omo.
Bett. Sì, per esser foresto, el gha un bon natural:
          Mettello a lesso, o a rosto, ello sta al ben, e al mal.
          L'è omo, che ha dei bezzi, l'è po civil, che basta;
          E xe un peccà da senno, che quella matta el guasta.
          Tutta la colpa è soa, e co la fa la brava
          El trema che 'l se spirita, ma ella ghe ne cava.
Luc. Cossa me contè mai? Quell'omo grando, e grosso
          Trema de mia Cugnada.
Bett. L'è grando, ma l'è flosso.
          Quanti de sti marii vorria per tiorli sù?
          E bon uno de questi sarave anca per vù.
          Cossa diseu, Lucietta? a mi nol me par brutto.
          Vù quel Sior lo tioressi?
Luc. Oh! mi tiogo de tutto.
          Ma penso, se l'amiga sarà mai persuasa
          De veder sto spettacolo sotto i so occhi in casa?
Bett. La gha altro in testa adesso: come se fa a giustarla.
          Con un marìo de petto, che quando el fa nol parla?
          Sentirè ben ancuo far el diavolo, e pezo.
          Che zighi che sussuri!
Luc. Mi no metto de mezo.
Bett. Gnanca mi ve assicuro. Chi ha fatto el mal sel goda.
          Che l'impara sta Siora a vivere alla moda.
          Anzi ho pensà, sorella, che andemo via a disnar,
          Per cavarse dal fresco.
Luc. E dove s'ha da andar?
Bett. Da siora Amia.
Luc. Magari!
Bett. Basta pensar al più,
          Che venga mio marìo.

[p. 25 modifica]

Luc. E no senza de lù?
Bett. Oh! no lo lasso solo. Caspita la ghe preme.
          Mia Cognada xe un diavolo.
Luc. Cossa hai da far insieme?
Bett. Oibò: solo nol lasso, ho vista la magagna:
          L'è giusto quà.
Luc. Lasseghelo: l'è brutto: no i vel magna.

SCENA V.
Bortolo e dette.

Bett. SIor Bortolo, andaressimo, se vu ve contentè,
          Da sior'Amia a disnar.
Bort. E chi ve tien? andè.
Bett. Za vegnirè anca vù.
Bort. Mi no, che son in occa.
Bett. Mi sola vedè ben...
Bort. Magneu colla mia bocca?
Bett. Via vegnì, caro vu.
Luc. Caro ello, el vegna via.
Bett. Nu sole no sta ben.
Bort. Nissun ve mena via.
Luc. Certo, che 'l so bel muso dà el becco intele stelle!
Bort. Sentì, se mi son brutto, vu altre no se Belle.
Bett. Senza de vu no vago.
Bort. Cossa voleu, Sioretta?
          El marìo come un sbrindolo taccado alla carpetta?
Bett. Vojo farve conoscer, che mi un gran ben ve vojo:
          E vu a mi niente affatto. 17
Bort. Via deme un soldo d'ojo.
Bett. So ben mi, perchè a casa solo restar volè.
Bort. L'è quà un altro soldetto, se vu me lo disè.
Bett. La Cugnada ve preme...
Luc. Seguro.
Bort. Anca vu, Fia?
Luc. Seguro anca... mi pianzo... per farghe compagnia.
Bort. Così. Brave. A do remi.
Bett. Gh'avè trovà del lecco...
          L'è smaltada, e la tacca.
Bort. Finilla, che son secco.
          Savè, che de ste smorfie son stà sempre nemigo;

[p. 26 modifica]

          Che cento mila lagreme mi no le conto un figo
          De mia mugger me fido, perchè la butta sodo:
          Fideve mo anca vu, che za vojo a mio modo.
          Nei fatti vostri, Siora, vedè no me n'impazzo:
          E v'ho da render conto de tutto quel che fazzo!
Bett. Co se vol ben, sior sì: ma quando se vol star
          Col Toni su do scagni...
Bort. Eh, matta, andè a filar.
          Per mi l'è passà el tempo, nè a Donne più me tacco:
          Stimo più d'una cottola sta presa de tabacco.
          Gho mia mugger, me basta; e se volè che 'l diga,
          Anca ella qualche volta dasseno la me intriga.
          Mugger in casa, e in letto; mugger a tola, e dopo,
          Mugger anca per strada, dasseno, che l'è tropo.
          V'amo, niente ve manca, d'averve me consolo:
          Ma qualche mezz'oretta gho gusto de star solo.
Bett. Per la mugger, sior sì, per la cugnada, nò.
Luc. Ghe la carne, e la zonta.
Bort. Se matte tutte dò.
          Non penso a mia cugnada, se no quanto me piase:
          El bon ordine in casa, è che sia tutti in pase.
          Una zornada critica la xe per ella ancuo.
          Anca mi voio esserghe, perchè abbia tutti el suo.
          In grazia del cugnà gho tutta sta premura;
          Ma se resto con ella, cossa gh'aveu paura? parte.
Luc. Mi andarave Bettina, sibben nol me vien drìo.
Bett. Eh no savè, sorella, cossa che sia marìo.
Luc. Se mezz'oretta el manca, gh'è dubbio de crepar?
Bett. Co vu sarè mugger, mel saverè contar. parte.
Luc. Figureve che spasimi! alla più desperada
          Co vojo veder omeni, vago al balcon de strada. par.

SCENA VI.
Giulia, Tonina.

Ton. NO la me fazza strepiti, che no so niente affatto:
          No son una pettegola, e chi lo dise è matto
          De tutti i so raziri cossa savevio mì?
          Se li avessi savesti, no l'anderia cusì.
          Ma za, chi ghe tien terzo? l'amigo, la visina:
          E se i vien a saverlo, chi l'ha contà? Tonina.
          Magari la se fosse fidada de mi sola.

[p. 27 modifica]

Giul. Non ho fatto alcun male, e questo mi consola.
Ton. E chi dise in contrario? L'impegno mi me tiogo,
          E metto per defenderla anca le man sul fogo.
          Che mal ghe pol mai esser che l'abbia un so parente?
          Per mi no ghe ne trovo, che l'abbia anca un servente,
          Ste cosse indiferenti se deve perdonar:
          El mal no sta nel farle, sta nel saverle far.
Giul. Tu non parli di core, ma sol mi tieni a bada.
Ton. Mi burlarla, Lustrissima? Son ben desfortunada.
          A quei che la tradisse se gha tutta la fede:
          Mi son quà per defenderla, e a mi no se me crede.
          Vorrave pur mostrarghe el cor, ma se no posso,
          La comanda, la prova..
Giul. Taci, ch' ho il foco adosso.
          Son convinta, che basta da questo mio periglio,
          Che tutte voi m'odiate, perchè non vi somiglio.
          Ma senti, se da voi sedotto è mio marito,
          Voi me la pagherete, ch'io me la lego al dito.
          E tu prima di tutte da me tante ne avrai,
          Che restaratti il segno.
Ton. Hoi guadagnà mo assai?
          Andè là, fe' del ben a certe teste strambe:
          Se ghe vegno più avanti, me casca pur le gambe.
          Tiogo le parte soe fin contro del Patron;
          E in premio se manazza niente altro, che un baston?
          Per ben de so zerman quà da scondon mi vegno;
          E in premio se menazza, che i vol lassarme el segno?
          Gh'aveva studià el modo de farlo quà tornar;
          Ma no, che 'l vada pur a farse anca squartar.
          Grazie delle finezze, che parecchiar la sà.
          Farò la recevuta, se so marìo vorrà.
Giul. Dove vai? senti un poco.
Tan. L'aspetta, che sia in calle.
Giul. Non ti fo nulla adesso.
Ton. Me preme le mie spalle.
Giul. Se fai, che mio Cugino sia ben veduto in casa,
          Ti do quel che desideri.
Ton. Chiappa sto fior, e nasa.
Giul. Tel prometto.
Ton. Ello questo el dente, che ghe diol?

[p. 28 modifica]

Giul. Sì questo: ma è difficile.
Ton. E cossa mai ghe vol?
          Poco fa gho pur ditto, che basta saver far;
          E ghe lo insegno adesso se la vorrà imparar.
          L'è zerman, l'è parente; ma tutti alfin vol dir:
          Ella xe maridada, e no fa buon sentir.
          Se la fosse una putta, la cossa va da rè.
          Digo mo mi; sta putta in casa la ghe xè.
          Cossa ghe costa a dir; se so marìo la tien,
          Che nol vien quà per ella, che per la putta el vien.
          So marìo no xe un matto, l'ha sta sorella attorno;
          El sa che presto, o tardi l'ha da liogarla un zorno,
          Lusingà da ste nozze, che nol sognava appena;
          Certo che al sior Ottavio mai nol farà una scena,
          Ella resta sculada, lu fa bona figura:
          El zerman vien per casa; la va fin che la dura.
          E po chi pol saver quello che 'l Ciel destina?
          Salla quante gran volte burlando s'indovina!
Giul. Questo non sarà mai. Noi non ci amiamo insieme,
          M'è testimonio il Cielo, ma l'onor suo mi preme.
          Vo', che sposi una Dama, non quella seccatura,
          E farà quanto io voglio, perchè ha di me paura.
          Senza di ciò mi piace il tuo consiglio assai;
          Ma che a tal patto insegua, non lo sperar giammai.
Ton. Ghe bisogno de quello? là sa, come la và:
          Quante cosse se disse, che po no le se fa?
          Se propone ste nozze; prima che le sia pronte
          Non manca mai pretesti, perchè le vaga a monte.
          Intanto el sior Ottavio el pol vegnir per casa:
          Ella far come prima, e so marìo che 'l tasa.
Giul. A tal patto sì bene: ma d'uopo è ch'io rifletta,
          Se Ottavio vorrà fingere d'amar quella fraschetta.
Ton. Diavolo, ghe vol tanto? Mi vedo, che ogni Dona
          Ghe n'ha cinque, che spasema, e sie che la minchiona.
          E ghe insegnerò mi.
Giul. Nol sa, s'io nol permetto;
          E non posso parlargli.
Ton. Do righe in un biglietto.
Giul. E chi glielo darà?

[p. 29 modifica]

Ton. Ghel darò mi, col vedo.
Giul. Vedrai, che di me trema.
Ton. (L'è Donna, che fa fredo.)
Giul. Ma, Tonina, ricordati che una finzione è questa.
Ton. Che serve? s'intendemo. Acqua, ma no tempesta.
Giul. Scrivo dunque ad Ottavio di far quel, che proponi. 18
Ton. Che i se lassa magnar, licenza ai macaroni. 19




Fine dell'Atto Secondo.



Note
  1. Va fino alla porta, e poi torna con fretta.
  2. Parte come sopra.
  3. Come sopra.
  4. Si cerca in saccoccia.
  5. Nel prenderlo mette la scattola in saccoccia, e tiene l'oriuolo in mano.
  6. Sempre con riverenza.
  7. Con una riverenza s'incamina all'appartamento di Giulia.
  8. Vuol entrare.
  9. Trattenendolo.
  10. Mette fuori la scatola della moglie.
  11. Accenna la tabacchiera.
  12. Contraffacendo le sue riverenze.
  13. Fa lo stesso.
  14. Spingendolo verso la porta con inchini.
  15. Andando verso la camera di Giulia.
  16. Con cerimonie caricate.
  17. Mostra di piangere.
  18. Entra in camera.
  19. Va dietro lui.
Traesto fora da Wikipèdia - L'ençiclopedia łìbara e cołaboradiva in łéngua Vèneta "https://vec.wikisource.org/w/index.php?title=El_marìo_cortesan/Atto_secondo&oldid=77070"