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El marìo cortesan/Atto terzo

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.

 Edission original:   

Pietro ChiariEl marìo cortesan, Bologna, nella Stamperia di S. Tommaso d'Aquino, 1789

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Indice:El marìo cortesan.djvu

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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Ottavio, e Tonina.

Ton. COssa falla in sta casa? presto, sel gha giudizio,
          La se la batta subito, che nasce un precipizio.
Ott. E perchè? cosa è stato?
Ton. No se pol dar de pezo.
          Per carità via subito, che mi tiorrò de mezo.
Ott. Voi mi fate tremare. Che diavolo mai fù?
Ton. Ordene del Patron, che quà nol vegna più.
Ott. Che? del Signor Zanetto?
Ton. Sior sì; giusto de ello.
Ott. Mi fe tante finezze.
Ton. Oimè! nasce un duello.
Ott. Mi diè pur della roba da dare a mia Cugina?
Ton. Qua se fa sangue, e corro a sconderme in cusina.
Ott. Restate.. Non capisco... Questo mi pare un sogno.
Ton. Gh'allo per tutti i casi adosso el so bisogno?
Ott. Ho la spada, vedete: ma questa, il Ciel mi guardi,
          Non ha mai visto il Sole.
Ton. Che ancuo la 'l veda è tardi.
          Ghe vol altro. El patron de tutto xe capace;
          E lu xe spauroso.
Ott. Io sono un uomo di pace.
          No do noja a nissuno: cosa può aver con mè?
Ton. Bagatelle! nol vol perucche col topè:
          Gramo là! gramo mi!... Che chiasso stamattina!
Ott. Ma son poi galantuomo, e Giulia è mia Cugina.
Ton. Sarà: ma el Sior Zanetto mo nol la vol capir.
          Sallo cossa per ello semo arrivade a dir?
          Che nol vien miga quà mattina, e drio disnar
          Per ella, ma per l'altra, che xe da maridar.
          Se no gera sta scusa l'amiga le buscava,
          E cusì in padoana con lu nol la buttava
          Gh'avemo dà da bever, come l'ho vista bella,
          Che i regali sì fatti andava a so sorella.
          Ha parso che 'l me creda, ma no xe gnanca un'ora:

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          L'ordene de no averzerghe dura per tutti ancora.
Ott. Faceste bene a dirmelo, per esserne avvisate;
          Lo burlerem, sì bene, se vuole esser burlato.
          Posso restare adunque; e s'egli qua mi coglie,
          Cercar di sua sorella in vece di sua moglie.
          Ah! non son ito al punto?
Ton. Ma, caro Sior, pian pian,
          Perchè quà pol la bissa beccar el zarlatan.
          Con nu metter bisogna d'accordo la putella,
          Far una volta almanco prima l'amor con ella.
          No contarghe za tutto, che l'è quel che se vede.
          Ma se pol dirghe bella, che za tutte lo crede.
          Quattro smorfiette a tempo, usar qualche bon tratto:
          La Gaza canta subito, così el servizio è fatto.
Ott. Ma qui c'è da discorrere, e se fidarmi io posso
          La Signora Lucietta mi scalda il sangue addosso.
          Guai, se il sa mia Cugina, nè serve, ch'io lo dica,
          Darmi ella vuol per moglie certa Contessa Ortica.
          Non ha dote, è vecchietta, stramba, non vale un acca.
          È brutta poi che spirita.
Ton. Bona da far triaca.
Ott. Che volete, ch'io faccia? ho un tal temperamento,
          Ch'ho soggezion di tutti; tutto mi fa spavento.
          Un nò no lo so dire, nè il dissi mai finora:
          Circa poi la Contessa, c'è un'altra cosa ancora.
          Mia cugina lo vuole, la dama mi parlò,
          Un sì non l'ho mai detto: ma neppur dissi un nò.
          Ci penserei a dirlo... la condizione è dura...
          Mia cugina è un demonio. Davver io n'ho paura.
Ton. Cosa gh'alla da far? mandarlo scalzo in letto?
          Ma za no serve niente, perchè questo è un scambietto.
          Sappia el Ciel se Lucietta la ghe vorria badar,
          E po, se 'l Sior Zanetto a lu ghe la vol dar.
          Se tratta d'una burla: e se paura el ghà
          Della siora zermana, la so licenza è quà. 1
Ott. Dite vero? Mostrate... 2
Ton. (Che caro maccaron!
          Nol casca a poco a poco, ma 'l va zo a tombolon.
          Lucietta xe avvisada, per farghela co' rizi;

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          E in una strada sola farò do be' servizi.)
Ott. Oh! questa sì la godo! Per aver quì l'accesso
          Farò quanto volete, e più non temo adesso.
          Mia cugina è contenta, che finga amor Lucietta.
          Vado a trovarla subito.
Ton. Pian, caro Sior, l'aspetta,
          La vien giusto a proposito, bell'e vestìa in zendà,
          Per andar da to Amia, dove a disnar la và.
          Lo lasso quà con ella: la xe de bon umor:
          El par un accidente: da bravo a farse onor.
Ott. Ho da darle a drittura scattola, ed orivolo?
Ton. Ohe, patron, cosa credelo? la sia sedia da nolo!
          Putte de sta rason, regali no le tiol;
          Se 'l me li dasse a mi, me proveria col vol.
          Gh'averia la dispensa per farme un po de dota:
          Ma no so dove metterli, che la scarsela è rota. parte.

SCENA II.
Ottavio, e Lucietta.

Ott. OH Signorina bella, che bell'incontro a caso?
Luc. Oh! Patron, prego el Ciel, che ghe conserva el naso.
Ott. Perchè el naso?
Luc. De vista ello sta mal assai.
          E se ghe manca el naso nol pol portar occhiai.
Ott. Cara! Dove si va?
Luc. Dove me par, e piase.
Ott. Cerco quel, che non so.
Luc. Co no se sa, se tase.
Ott. È tutto amore il mio.
Luc. Sto amor mettelo in ojo.
Ott. Siete pur buona, il so.
Luc. Se'l sa, ghe vol un bojo.
Ott. Possibile, Signora, ch'io v'ami a questo grado,
         E voi nol conoscete?
Luc. Dirò: mi no ghe bado.
Ott. Ma voi, cara, vedendomi per casa assai sovente,
         A me pensate mai?
Luc. Nol gho gnanca in la mente.
Ott. Perchè così crudele? perchè quel cor di sasso?
Luc. Perchè mi son magretta, e lu xe troppo grasso.
Ott. Oibò! questo perchè, non ve lo passo buono.

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Luc. Perchè mi son putella, e lu xe el mio sior nono.
Ott. Oibò, nè pur ciò basta per simili rifiuti.
Luc. Perchè lu no me piase; e mi, Sior, piaso a tutti.
Ott. Non credo poi d'avere con voi questa disgrazia.
Luc. A far l'amor dasseno nol gha niente de grazia.
Ott. In cosa la mettete? vedrò d'averla anch'io.
Luc. Cossa soi mi.. nel muso, e in quel che ghe vien drio.
Ott. Se tutto questo avessi, ditelo per mia regola,
          Voi mi vorreste bene?
Luc. Oibo, nanca una fregola.
Ott. Perchè tal stravaganza? bizarra in verità!
Luc. Perchè no vojo chiaccole, mi vojo fatti, e quà.
Ott. Quà?
Luc. Quà.
Ott. Ma.. se potessi.. ora vedrò, ma dubito. 3
Luc. Queste xe tutte chiaccole, mi vojo fatti, e subito.
Ott. Subito: e quà?
Luc. Quà subito.
Ott. Diamogli un' altra occhiata. 4
Luc. Coss'è ste scondariole? Vardè mo se son mata? 5
          Questa sarà una lettera de qualche paroncina,
          E po el vien quà a contarmela. 6
Ott. (Adesso mia Cugina
          Non mel perdona più.)
Luc. Bravo, Sioretto, bravo!
          D'esser el so ziogatolo dasseno no pensavo.
          Coss'è sto vegnir via finzendo de cascar,
          Per darme una impiantada, e farme minchionar?
          Sti musi no la merita. Vardè che bone gnuche!
          Quà su no ghe ze malta, 7 da far sguarde le zuche.
          El me l'ha fatta a mi: corro da mio fradello
          A contarghe sto tiro, e l'ha da far con ello. parte.
Ott. Or sì sono imbrogliato. Scoperto è il nostro arcano;
          Mia Cugina è bestiale; anche Zanetto è strano.
          La Contessa è in parola; Lucietta non vuol ciarle:
          Vorrei contente entrambe, ma come contentarle?

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          Qual diavolo m'ha quì tirato per la chioma!
          Se di sbrigarmi posso, a Roma, Ottavio, a Roma. par.

SCENA III.
Giulia, e Bortolo.

Bort. NO me ste a far mattade: Savè come son fatto.
          Rason dago a chi l'hà.
Giul. Io non so niente affatto.
          Mia Cognata va a pranzo, dove che n'ha desio:
          Fo quel che fa ella stessa, e voglio andar anch'io.
Bort. Se volè andar con ella, mi lo farò capace.
Giul. Con ella non mi comoda, vo' andar dove mi piace.
Bort. Questo è un parlar da matta: quando se vol, se prega:
          Bettina fa cusì.
Giul. A me tutto si nega.
Bort. No l'è vera un strazza; gh'avè quel che ve par,
          Ma quel che no xe lecito, no s'ha da domandar.
Giul. Se vado da un'amica, no vado già al bordello.
Bort. El marìo pol responder, che avè da andar con ello.
Giul. Venga pure, chi 'l tien? In questo a modo suo.
Bort. Un'altra cavallada. Ve par mo 'l zorno ancuo?
Giul. Perchè? vanno anche l'altre.
Bort. Se sa dove le và.
          E po vostro mario adesso l'è arrivà.
          La stracchezza del viazo el gha, gramazzo, addosso;
          E po, Siora, un marì sempre pol dir: no posso.
Giul. Quest' è, che non sopporto.
Bort. E sì, ghe vol pazienza.
Giul. Mio marito è indiscreto.
Bort. E vu poca prudenza.
          In un caso se' ancuo, che avè da ringraziarme;
          E podè giustar tutto, se pur vorrè ascoltarme.
Giul. Dite pure, che ascolto.
Bort. Adesso no se pol.
          Vostro marìo xe quà, sentì cossa che 'l vol;
          Nelle vostre baruffe no vojo entrarghe mi,
          Se no ve parlo in prima.
Giul. E ben fate così.
          Passate alle mie stanze, che ci verrò al più presto.
Bort. Sì ben: prudenza adesso, che ve dirò po 'l resto. 8

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Giul. Mio Cognato è un buon uomo, ne son già persuasa,
          Ma non parlo ad Ottavio, se sto quest'oggi in casa.
          Sentirò che sa dirmi, ma sarà poi lo stesso.

SCENA IV.
Zanetto, e detta.

Zan. COssa ve occor, patrona, che me cerchevi adesso?
Giul. Fuori di cara a pranzo volevo andar anch'io.
Zan. Siora no; stamattina se sta con so marìo.
Giul. Ci van vostre sorelle.
Zan. Elle ghe pol andar.
Giul. E chi son io? una serva?
Zan. Sè matta da ligar:
Giul. Non mi mettete al punto.
Zan. Poder: questo è l'imbrojo.
Giul. Ci vuol qualche ragione.
Zan. Eccola quà: no vojo.
Giul. Non si trattan così le Donne, ch'han del suo.
Zan. Un anno a modo vostro, e a nostro modo ancuo.
Giul. Cosa ho fatto in un anno?
Zan. Nol so: gera lontan.
Giul. Andavo da una Dama.
Zan. Ma insieme col zerman.
Giul. E perchè ci veniva? Tutto saprete un dì:
          Ve lo dirà Lucietta.
Zan. L'ha da parlar con mì.
Giul. Perchè non c'eravate; ei n'era quasi cotto;
          Venia a sfogarsi meco.
Zan. Voltella, che me scotto.
Giul. Dico la verità, nè per sì poco è giusto
          Di trattarmi in tal forma.
Zan. Pian, che ve crepa el busto.
Giul. Non scherziamo, marito, che contro un tal strapazzo
          Io son calda di fuoco.
Zan. E mi freddo de giazzo.
Giul. Vado alfin da un'amica, e ciò neppur si vuole.
Zan. Donne de casa soa, per strada no va sole.
Giul. La Contessa ove vado abita quì dappresso:
          Ci posso andare in maschera.
Zan. Sè in maschera anche adesso.
Giul. Venite voi.

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Zan. No posso.
Giul. Verrà il Cognato.
Zan. Oibò.
Giul. Ci voglio andar.
Zan. Magari.
Giul. Che sì, Signor?
Zan. Che no?
Giul. Troppo duro, e intrattabile.
Zan. Doman sarò più mollo.
Giul. Non voglio che un marito mi metta i piè sul collo.
          O finirla, o a drittura romperla in questo dì.
          Vado a vestirmi. 9
Zan. E mi fazzo cusì. 10
          Se ghe basta mo l'anemo, adesso che la vada:
          Bisogna che la salta zo da un balcon in strada.
          Mi so ben, perchè ancuo la fa tutto sto intrigo:
          Per accordarse insieme la vol trovar l'amigo.
          Quello xe smattonìo: questa nol vederà:
          Da tutti do mi scavo, e so la verità.
          Quanto ben no pol nascer anca da un contrattempo!
          La staga intanto in stropa, che de mollar ghe tempo. par.

SCENA V.
Bettina in zendado, e Lucietta.

Luc. DE andar dalla siora Amia podevi sparagnar,
          Quando po no volevi restarghe anca a disnar.
Bett. Cara sorella, un spasso mi no me posso tior;
          Co no ghe mio marìo, strucar me sento el cor.
          L'è restà a casa solo; che ghe sia mal nol credo,
          Mi no so darme pase, perchè quà su nol vedo.
          Dove zel mai ficcà?
Luc. Vardè, vardè Bettina:
          La porta de Madama serrada de mattina.
Bett. Che la sia andada in letto, perchè no la burlemo?
Luc. Piuttosto for de casa.
Bett. Tasè, che sentiremo. 11
Luc. L'è capace benissimo per questo de star sola,
          De dir che gha mal, nè vegnir gnanca a tola.

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Bett. Sorella... ohimè! torna ad ascoltare.
Luc. Coss'è?
Bett. Sorella, mio marìo. 12
Luc. Dov'ello? no lo vedo.
Bett. L'è lu, che l'ho sentìo.
Luc. Ma dov'ello? seu matta?
Bett. Drento da mia Cugnada.
Luc. Dentro in camera?
Bett. Drento.
Luc. Che no ve siè ingannada.
Bett. Ohime! l'è lu senza altro, cognosso la so vose.
          Cossa falli là insieme?
Luc. I ziogherà alla nose.
Bett. A no so chi me tegna!.. Serradi dentro insieme!..
          Non posso più, Sorella, per carità mazzeme.
Luc. No fazzo sti spropositi. Cascasse el Mondo intiero,
          Se no vedo, e no tocco, per mi no me despero.
          Anche le recchie inganna, e mi nol posso creder.
Bett. Son sicura, ve digo: ma pur vel farò veder.
          Tonina...

SCENA VI.
Tonina, e dette.

Ton. VEgno, Siora da vu. 13
Luc. Cossa voleu ?
Bett. L'ho ditto. 14
          Tonina una verigola; ma presto presto, e zitto. 15
Ton. Cossa vorla sbusar? la roba che la cuse?
Bett. La testa, se ti parli.
Ton. Ste tre xe tutte sbuse. parte.
Luc. Se vedo mo anca questa, rason ve dago a vù,
          E ve zuro da putta, non me marido più.
Bett. Lo vederè senz'altro; per niente non me affligo,
          E quando digo torta, so ben quello che digo.
          Ohimei! che tremo tutta, nè posso respirar!
Ton. Son quà colla verigola, che testa hoi da sbusar?
Bett. Lassè pur far a mi. 16
Ton. Perchè sbusar le porte?
Luc. Ghe drento so marido.

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Ton. Aseo, ma de quel forte.
Bett. 17 Andè mo, Siore, a veder, che par che ve minchiona.
          Ah mario furbazzo! cognada sfazzadona.
Luc. 18 Diavolo! i xe sentai arente, che se vede.
Ton. La fa finta de pianzer: minchioni chi ghe crede.
Bett. Ah cugnada sassina! marìo, marìo furbazzo!
Luc. Ohe l'ha tolto tabacco. 19
Ton. 20 Ohe! la ghe tocca un brazzo.
Luc. Giusto adesso, Bettina, la s'ha puzà al balcon.
Ton. Giusto adesso baruffa, e lu gha dà un spenton.
Bett. No posso più tegnirme; in bocca gho el velen,
          Gho 'l diavolo, anzi gho tutto l'inferno in sen.
          No so quel che me fazza; ma sia quel che se vol;
          Bisogna che me sfoga, perchè troppo me diol.
Ton. E cossa vorla far?
Bett. Adesso el vederè.
          Caenazzo a quella porta de drento no ghe xè.
          Colla chiave de dentro senz'altro i s'ha serrà.
          E ghe n'è un'altra in casa, che so che averzirà.
          Vado a tiorla corrando. 21
Ton. No, Siora, no la fazza.
Luc. No, sorella, tasè.
Bett. No taso, se i me mazza. parte.
Ton. Adesso stemo fresche, per mi me vago a sconder.
Luc. Alfin l'è so marìo: cosa voleu responder?
Ton. Ma, el sior Bortolo è grando, che fa quattro de nù.
Luc. Anch'ello ha da pensarghe. In tre contro de lù.
Ton. Mi ghe netto a drettura el muso a Madamina.
          Però vago a provederme d'un sfrogolo in cusina.
Luc. L'è quà la chiave, e adesso no ne lassè nu sole.
Ton. Andavo quà alla scaffa a tior le mie pistole.
Bett. Pian, che no femo strepito. 22
Ton. Debotto che bel quadro!

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SCENA VII.
Giulia, poi Bortolo, e dette.

Giul. CHe maniera è poi questa? che bel trattar da ladro!
          Ah... siete voi... scusate, credevo mio marito.
Bett. Giusto cusì, Patrona, giusto cusì va dito.
          Sti partidi xe magri, de starghe no me sento:
          Coffa xe sto serrarse con mio marìo là drento?
Giul. Cosa avete paura?
Luc. Via, Siora, che savemo.
Giul. Ve l'ho forse mangiato?
Ton. Sta notte el saveremo.
Bett. Me stupisso de vu, saveu, Siora pettegola?
Luc. Ghe dei busi da veder.
Ton. Stoppa, catrame, e pegola.
Giul. Siete voi spiritate?
Luc. Al muso se conosse.
Giul. Sentite le carogne.
Ton. Anche le rave è rosse.
Bett. 23 La vegna pur, patron, e nol se fazza brutto.
          Sebben serradi i gera là drento, ho visto tutto.
          Cusì colla mugger?
Ton. Tanto ghe piase el gesso?
Luc. El vol quaranta, e un fallo.
Bort. Che schiaffi adesso adesso!
Bett. Schiaffi a vostra mugger per quella sfazzendona?
Luc. Schiaffi a vostra cugnada?
Ton. Dei schiaffi anca a sta dona?
Bett. Oibò. 24
Luc. Sior nò.
Ton. Megari!
Bort. Voleu taser, pettegole?
Luc. Coraggio.
Bett. Bon!
Ton. Che 'l prova.
Bort. Se provo, le va in fregole.
Giul. Così vi fate stare?
Bett. Sentì quella pettazza.
Luc. L'insegna del Casotto.

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Ton. La strolega de piazza.
Giul. E non le bastonate?
Bort. L'è meggio, che la tasa.
Giul. Ho un prurito alle mani...
Ton. Vorla la grattacasa?
Bett. Via cossa feu, sior Bortolo? Presto correghe arente:
          Se no i ghe mola el busto, ghe vien un accidente.
          Questo me tocca a veder? Can! traditor..! sassin!
          Tanto ben che te voggio, ti vol che mora alfin. 25
          Tasi, che morirò, e ti sarà contento...
          Ohimè! donne, ajuteme, me vien un svenimento.
Luc. Ah povera sorella... ohimè! pianzo anca mì:
          Can... sassin... traditor! farla penar cusì?
Ton. Me sforzo de tegnirme; fin el cor me vien in bocca:
          Vardè là che maridi, che ancuo veder me tocca.
          Se morte el ne vedesse per terra tutte trè,
          Gnanca el se moverave. piangendo.
Bort. Aspetto, che tasè.
          No ghe rason, e sento far tutto sto baccan,
          Ghe vol la mia gran flemma, a trattegnir le man.
          Quà nissun la tradisce, nissun quà la vol morta.
          Sè tre matte d'accordo.

SCENA VIII.
Zanetto, e detti.

Zan. CHi ha averta quella porta?
          Coss'è sto comarezzo? la drento tutto 'l dì
          Vu, siora, avè da star.
Bett. Pian, che gho averto mì.
Zan. Con che chiave?
Bett. Con quella del camerin da drìo.
Zan. Chi v'ha dà sta licenza?
Bett. Ghe gera mio marìo.
Zan. Vu ghe geri, sior Bortolo? no me son miga accorto
          Co l'ho serrada drento.
Luc. Bettina ghavè torto.
Bort. Sentiu mo, donna matta? col mio gran fondamento
          Son intrà in quella camera, e lu m'ha serrà drento.
          Bisognerave adesso darvene un bon sorbetto:

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          Ma la discorreremo prima d'andar in letto. parte.
Bett. Oh! nol lasso per occhio, son quà come ghe piase,
          Che il me castiga adesso; ma po sta sera in pase parte.
Luc. Se dise la Lustrissima, se' magre e zo de ciera:
          Ohe! ghe voggio risponder no stemo in caponera. par.
Ton. Mi ghe dirò, che ai matti, co i xe sti dì in preson,
          No resta per guarirli se non acqua, e baston. parte.
Zan. La favorissa, siora, ghe xe passà el capriccio
          De disnar for de casa.
Giul. Chi tace ha più giudizio.
          Non ci van le cognate, e non ci vado anch'io.
Zan. Le cognade, patrona, e gnente so marìo?
Giul. Se fo quel che fan esse, dolersi egli non può.
Zan. No la se impegna tanto, che mi la proverò.
Giul. Ci proveremo insieme.
Zan. La chiappo quà in parola.
Giul. Chi sa in quante freddure?
Zan. Me basta in una sola.
Giul. Vedrem, che sa prettendere un uomo de' più strani.
          Ma noi stiam meglio insieme, quanto più siam lontani. parte.
Zan. Eh no te dubitar, che son giusto de luna.
          Ohe? che i ne diga in tola, che xe sonà vintuna.

SCENA IX.
Angiola, e detto.

Ang. HAllo chiamà, sior Pare?
Zan. Va via de quà, pissotta.
Ang. Sior, son vegnuda a dirghe, che la manestra è cotta.
          L'è tardi, e mi gho fame.
Zan. I conti xe malfatti:
          A scola no ti è stada, e va a magnar coi gatti. parte.
Ang. Ajuto, siora Mare: presto la vegna sù:
          Da disnar la me daga, che nol farò mai più. parte.




Fine dell'Atto Terzo.



Note
  1. Gli dà un biglietto.
  2. Legge a piano.
  3. Cava fuori il biglietto, si tira in disparte, e con lazzi di non esser veduto, lo legge.
  4. Come sopra.
  5. Gli leva il biglietto.
  6. Legge piano.
  7. Accenna il suo viso.
  8. Entra nella camera di Giulia.
  9. Entra furiosa in camera.
  10. Serra la porta con le chiavi al di fuori, e se la mette in saccoccia.
  11. Si accosta coll'orecchio alla porta.
  12. Come sopra.
  13. Di dentro.
  14. A Lucietta.
  15. A Tonina.
  16. Va a trivellare pian piano la porta.
  17. Dopo aver fatto il buco, Bettina guarda, poi dice alle altre.
  18. Corrono le altre due a vedere.
  19. Tornando a guardare il buco.
  20. Come sopra.
  21. In atto d'andare.
  22. Apre, e spalanca la porta.
  23. Vedendo uscire Bortolo.
  24. Passeggiando tutte tre.
  25. Piangendo.
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