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Per la liberazione del medesimo

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
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PER LA LIBERAZIONE DEL MEDESIMO.1


Sonetto IV.


Come, se dopo una gran longa piova
    Vien fuora 'l Sol a rischiarar el cielo,
    De quel, ch' 'l giera, el par assae più belo,
    4E par, che più 'l ne piasa, e più 'l ne giova;

Cussì al Querini dopo una gran prova
    De la so soferenza in t'un castelo
    El par che con un spirito novelo
    8Cosse più bele e niove ancuo 'l ne muova.

Ma come chi xe in porto più no sente
    La gran paura ch'ha soferto in mar,
    11Vede quel, che xe stà, nè vuol dir gnente,

Cussì lu del passà nol vuol parlar,
    E 'l manda anca i so amici quietamente,
    14S'i ghe ne parla, a farse budelar.




Note
  1. [p. 506]Angelo Querini patrizio veneto, figliuolo di Lauro, nel 1761-62 era Avvogador del Comune quando sopra ricorso di una  [p. 507]dama veneziana di casa Cappello diede improvvisamente lo sfratto dallo Stato ad una donna di profession Concia-teste, la quale da Brescia era passata a Venezia per impiegarsi nel servigio di una casa patrizia. Ma la donna, avendo esibite prove della onesta sua fama, e di essere a torto aggravata, fece giungere i suoi reclami al tribunale degli inquisitori di Stato, dolendosi gravemente che l'Avvogadore Querini oltrepassati i limiti della sua competenza, e della giustizia, la avesse così vilipesa e scacciata. Il tribunale tentò prima con destre e private informazioni di far rimovere l'Avvogadore; ma trovatolo fermo nel passo fatto, restituì coll'autorità propria la donna alla primitiva libertà. Da questa causa nacquero i primi disgusti, che poi degenerarono in palese inimicizia tra il Querini Avvogadore, e Giovanni Donato della casa detta dalle Torreselle, uno degli Inquisitori di Stato, e prima suo grande amico. Resa pubblica la cosa cominciarono i partiti privati. Sosteneva il Querini di avere usato della podestà legittima concessagli dalle leggi; diceva che l'atto del tribunale degli Inquisitori fu una manifesta violenza al magistrato primario della repubblica, e che se l'Avvogadore commise un fallo in officio, non è sottoposto ad altra censura che a quella del Senato, e del Consiglio di X e di XL, mentre l'eguale non può aver comando sopra l'eguale. All'incontro il Donato uomo di robusto ingegno, e pratico degli affari politici, rispondeva che l'Avvogadore non solo aveva ecceduto nella sua facoltà, ma di essa commesso un enorme abuso, perchè se l'ebbe arrogata in pregiudizio di una persona innocente senza serbare ordine alcuno, e introducendo così un esempio ferace di gravissime conseguenze allo stato quieto della repubblica, se con prestezza non fosse represso dagl'inquisitori, ai quali apparteneva la custodia della tranquillità comune. Altri fatti successero dipoi, i quali sempreppiù suscitarono l'animo del Donato, già divenuto Capo dei X, contro il Querini: imperocchè sembrava a' più accorti senatori di vedere che il Querini e i suoi colleghi Avvogadori tentassero di abbassare la dignità del Consiglio dei X, e di diminuire la forza di quel tribunale; il perchè gl'inquisitori risolsero di svellere il male dalla radice, e rinchiudere il Querini nel Castello di san Felice di Verona. Ciò avvenne nel 12 agosto del detto anno 1761 in cui dopo avere egli passata la sera allegramente in compagnia del cavaliere Girolamo Ascanio Giustiniani, eletto ambasciatore a Roma, suo grande amico, e di Giulietta Preato moglie di Francesco Uccelli notaio estraordinario nella ducale cancellaria, e dopo essere già ito a letto, un fante del Tribunale Supremo gl'intimò di dover immediatamente in abito di campagna partire con lui. Questo ordine non isbigottì punto il Querini, il quale, scritti alcuni viglietti, montò col fante in un burchiello, e custodito da quattro soldati di cavalleria passò a Padova, indi a Vicenza, e a Verona. La relegazione del Querini suscitò maggiormente gli animi, e li divise in due partiti, per la qual cosa fu necessario istituire quella che si dice Correzione composta di cinque senatori, i quali avessero a rivedere i capitolari di tutti i Consigli, e Collegi, e avessero a proporre al maggior Consiglio quelle regolazioni, moderazioni, alterazioni ec., che paressero loro necessarie al pubblico servizio, e alla perfetta esecuzione delle deliberazioni del maggior Consiglio. Malgrado però che più d'una volta si sia tentato di far richiamare il Querini dal bando, e che i suoi parziali ed amici si sieno maneggiati per fare che uno dei correttori fosse eletto nella persona stessa di lui, gli sforzi furono vani, e la relegazione durò fino a che terminati furono tutti cotesti dissidii.
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