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Il dialetto e la lingua/La storiela de Zulieta e Romeo

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
La storiela de Zulieta e Romeo
1924

 Edission original:   

Il dialetto e la lingua, Antologia vernacola, a cura de Vittorio Fontana, Verona, M. Bettinelli, 1924

 Fonte:

Indice:Il dialetto e la lingua - Antologia vernacola.djvu

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La storiela de Zulieta e Romeo

Il poeta «prima de scomençiar» si rivolge ai dotti che non credono alla leggenda:

                    «Lo so, lo so che i storici no crede».

ma egli, col cuore di popolano, risponde:

                    S’una pietà zentil in cor ne sponta,
                         E ’na dolçe ne vien malinconia,
                         A quei gran casi, quando i ne li conta,
                         Mi no so el vostro che bel gusto sia,
                         La lagriméta che a cascar l’è pronta
                         Vegnir con dura man a torla via,
                         Provando che
Zulieta e che Romeo
                         le è ’na fandonia, che no val un scheo.
                    . . . . . . . . . . . . .
                    E, se la storia de sti du putei,
                         Morti sol per volerse tropo ben,
                         Ténari sentimenti e grandi e bei
                         Desiderî d’amor ne mete in sen,
                         Lassè, lassè che ghe credémo a quei
                         Casi, che in alto l'anema ne tien;
                         E se a
Zulieta i doti no ghe crede,
                         Mi, par mi, l’è ’n articolo di fede.

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Ed il poemetto di 117 ottave finisce con versi di dolce mestizia a l'impianto della triste condizione degli odî familiari che furon cagione della tragedia di Giulietta e Romeo:

               Cussì i è morti. E tuto intorno tase.
                    El bruto temporal l'è za andò via;
                    Ride nel çiel le stele in santa pase,
                    S’alsarà presto el sol pien d’alegria
                    A iluminar interno e campi e case...
                    Se i ómeni se copa, e i pianze, e i cria,
                    La tera, el sol, le stele no ghe bada
                    E i va, senza cambiar, par la so strada.

Vittorio Betteloni 1



Note
  1. Vittorio Betteloni(n. 1840 + 1910), il poeta caro a Giosuè Carducci e pur lodato da Benedetto Croce, traduttore valente di W. Goethe, del Byron, di Roberto Hamerling, molto si compiacque del suo dialetto veronese, in cui scrisse una graziosa commedia La letera de Roseta, e compose questo poemetto sotto ii pseudonimo di poeta strasson. Anzi il Betteloni motivò il suo lavoro in vernacolo con queste parole: «La graziosa canzone che le avventure di Giulieta e Romeo ispirarono a Berto Barbarani, m’invogliò di trattare lo stesso argomento in altra forma. Alla tragedia pensò lo Shakespeare; restava l’epopea familiare, di piccole proporzioni; cioè una novella poetica». «La letera de Roseta» è una spigliata commediola in un atto. Anche riguardo la pietosa «storiela de Zulieta e Romeo» i due poeti Barbarani e Betteloni, s’affratellano nella chiusa. Berto finisce precisamente, può dirsi, come l’altro:

                   . . . . . . . Ah se capisse, che anca el mal più fondo
                             no cambia facia a nissun roba al mondo.
                             Trema le piante come veci fiachi
                             dopo una vita tribulada atorno,
                             e gh’è le stele co i ocieti strachi
                             e gh’è la luna, che ve dà el bon giorno....
                             Se sbianchesa le strade e va contenti
                             i manuái che sifola tra i denti,
                             col cor in pase e la polerrta in man!

    Noi non vogliamo far confronti, specie in letteratura, chè son sempre odiosi; accettiamo la modesta affermazione del nostro Betteloni, il quale, chiudendo il bello ed arguto Discorso a commento detta storia di Giulietta dice: «Io scrissi questi versi per mio diporto unicamente, senza pretesa letteraria alcuna, e spero che anche con qualche piacere saranno letti da chi vorrà leggerli. Accontentiamoci di ciò, e non cerchiamo il pel nell'ovo».

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