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Dona Lombarda/I. - La Fontana del Fero

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I. — La fontana del fero
1922

 Edission original:   

Berto BarbaraniI sogni, 3° Canzoniere, Verona, Mondadori, 1922

 Fonte:

Indice:I sogni.djvu

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I.

LA FONTANA DEL FERO

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NOTA


La contrada popolosa di San Giovanni in Valle — in Veronetta — sulla riva sinistra dell'Adige, sale — dal crocicchio di Via Santa Chiara, Santa Maria in Organis e Interrato Acqua Morta, su per vichi e strade, alla linea di circonvallazione interna delle mura ed al Castel S. Pietro. Tra queste e quello s'annida la popolare ed antica Fontana del Ferro — meta di amorose e famigliari gite estive — che si intensificano nell'ultima quindicina di Giugno, per raggiungere il colmo nella notte di San Giovanni.




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1.°

Nel cor de la contrada
divota a San Zuane,1
le done su la porta
4le fabrica le scatole...

Tra i fùmeghi del sòlfaro2
e un spessegàr3 de mane,
sbalsa fora dai fònteghi4
8canti, ridade e batole...5

I fulminanti67 i va
ciocando par çità...!

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2.°

E fin che çerte case
arse de vecio fumo
le côa8 soto le gronde
4el lustro padronal,

e in brasso a 'na Madona
che dise «me consumo!»
se smorsa le finesse
8de San Zùane in val,9

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la tera de Verona10
che dà i colori bei
spalanca le so vene
12nel cor de la contrà

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e i sassi de le mure11
de i forti e de i castei
j-è tanti contastorie
16de l'epoca passà...!

3.°

Come se ariva al posto,
che l'aria ne saluda
fra un'alegria de càpari
4da la passion nel fior,

intomo a la «Fontana
del Fero»12 gh'è una ruda13
de inamoradi in bòssolo14
8che discore de amor,

e i se parla così:
«Amème mi — Amème mi!»

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4.°

O cara beatitudine
de sti smorosamenti,15
che fila in brasso a i orti
4quasi rasènto a i muri;

«Din, den» le campanele
de dòdese conventi,16
ne mete in boca un frigido
8de fruti mal mauri;

se specula traverso
le gabie de i telàrì,
le statue de le moneghe
12da l'anima incantà,

te pensi a çerte barbe
negre de missionarî,
che tien la testa bassa
16dal rustego che i g'à!

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5.°

Più al largo, in fondo a un vicolo,
davanti a una cieseta,
gh'è ancora de le vecie
4che fa saltar la roca;

le conta le rosarie
sentade in caregheta;17
el sol le mete in gringola,
8la morte no le toca

e ne i segni le guarda
de la «Dona Lombarda»

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6.°

L'è la ciesa de Nazaret,18
dove che San Gaetano
— come porta la lapide19
4s'à fato servir messa!

Adesso l'è del vescovo,
e da no so qual ano
i laorenti20 del vescovo,
8la 'dòpara a barchessa,21

con de i busi briganti
ne le coste de i santi...

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7.°

E semo finalmente
drento un castel antico,22
co l'édara e i sarpenti
4da i ocieti de brasa...23

Questo quà l'è el palasso
del re Teodorico:
Alboin e Rosmunda
8g'à spadronado in casa,

e una note, de festa
j-à trinca in te 'na testa!

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8.°

O trista beatitudine
arsa de fumo vecio,
che côa cante e miracoli
4de storia andà de mal,

e le rosarie magiche,
come a-alfiar24 su un specio,
le trà macie de sangue
8sul verdo del cristal;

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la gente de Verona,
ne i so momenti bei,
mola le corde al giubilo
12che no conosse età,

e tra un osâr25 de popolo
e un fulmine de osci,
se infiama a son de musica
16l'estro de la çità!



Note a cura de l'autor
  1. San Giovanni così detto in valle, per le soprastanti colline di San Zeno in monte, San Felice, San Pietro, è una contrada popolare di Veronetta. Le vie che portano alla sua chiesa hanno un simpatico aspetto antico con numerosi avanzi di cospicui edifici romanici ed ogivali — Vedonsi resti di costruzioni gotiche (N. 22) e cinquecentesche (N. 27-28). Salendo il Borgo Tascherio, nella muraglia che ricinge il frutteto delle monache di Santa Chiara, si riconoscono vestigia di fabbricati importanti del Medio Evo, che il Moscardo credette appartenenti a dimore di duchi longobardi.
    (VeronaS. Marco SpaventiCivelli).
  2. fùmeghi del solfaro: i vapori dello zolfo
  3. spessegàr: muovere in fretta
  4. fònteghi: fondaci
  5. batole: chiacchere
  6. fulminanti: zolfanelli di legno
  7. Non molti anni or sono vi erano fiorenti numerose fabbriche di zolfanelli di legno, che davano modesto lavoro alla contrada. Si leggono ancora parole di vecchie ditte sulle porte.
  8. côa: covano
  9. La chiesetta di San Gio. in valle è ricordata alla fine dell'ottavo secolo nel — ritmo Pipiniano — ma in tempi più lontani credesi esistesse un cimitero cristiano fuori mura, dal quale forse derivano le due splendide arche romano-cristiane della cripta (Sec. V). — Fu rifabbricata dopo il terremoto del 1117 dal vescovo Bernardo, in forma romanica a solo tufo, tre navi, con colonne a capitelli corinzieschi e zoologici e tre absidi lavorate assai finemente, con materiale primitivo. — A destra della chiesa incorporata nel muro (ora isolata) si presenta la più vecchia e la più bizzarra delle edicole votive esistenti a Verona. — Nel cortile a mano destra, l'avanzo del chiostro (loggia a colonnine accoppiate, reintegrata nel 1907). — Il padiglione sulla porta della facciata è decorato da un affresco attribuito a Stefano da Zevio.

    (S. M. Spaventi - o. c.).
    *
    * *

    A proposito della reintegrazione di questa chiesa l'amico S. M. Spaventi scriveva sul Pro Verona da lì a non molto:
    «L'insipida cancellata che sacrifica in una teoria di lancie quel povero San Giovanni sciancato; il chiostro mutilo e sbiadito, con la vite ben pettinata per mitigare il sole sulle incaute borelle di un venerabile patronato, sembrano creati a bella posta per provocare lo sgomento delle cose perdute, il rimpianto del cortiletto distrutto, con la loggia accennante fra i festoni della vite abbandonata al capriccio tortuoso dei tralci e tra una vegetazione smagliante di rampicanti e di fiori, il rimpianto dell'edicola vetusta costretta nel muro rusticale, come le vestigia medioevali tra le case circostanti, poetizzata a primavera dalla fedele rifioritura di un vecchio susino».

  10. Alla sommità della valletta dentro e fuori le mura furono scoperte e sfruttate largamente importanti cave di terra rossa e gialla, detta «Terra di Verona».
  11. Si allude alla cinta delle mura viscontee e scaligere — ai forti veneti e tedeschi — al castello di Teodorico ecc. che circondano e rendono assai pittoresca la valletta.
  12. Fontana del Fero. — Sull'inizio della primavera estiva era tradizionale per i Veronesi, di salire di buon mattino o verso sera a questa fontana che scaturisce dal monte di tufo con getto abbondante di un'acqua fresca e cristallina di sapore leggermente ferruginoso dovuto forse ai vicini giacimenti di terra gialla (pirite di ferro).
  13. ruda: ruota, serie
  14. in bòssolo: in circolo, in crocchio.
  15. smorosamenti: amoreggiamenti
  16. Nel breve giro di questi colli sono ben più, i ritiri, i conventi, i collegi, istituti di pietà ecc.
  17. caregheta: seggiolina.
  18. Nazareth. — Antica villeggiatura urbana dei vescovi, che risale al principio del sec. XIII col vescovo Adelardo. — La forma attuale si deve a Ermolao Barbaro che resse la diocesi veronese (1453-71). — Verso la metà del sec. XVI il vescovo Giammateo Giberti concesse la villa e la chiesa ai chierici teatini, presso i quali ebbe dimora per qualche tempo San Gaetano da Thiene. — La chiesetta è romanica a corsi di tufo e cotto con qualche pittura smarrita attribuita a Nicolò Giolfino.
  19. «Ilis Gaietanus successit sedibus — Hospes — Tu genium sacri nunc venerare — loci».
  20. laorenti: mezzadri
  21. barchessa: ripostiglio per arnesi agricoli
  22. El castel. — Sul colle di San Pietro (dalla chiesa omonima, la prima della città, secondo Panvinio, ed ora distrutta) i romani avevano innalzato la loro arx con templi, campidoglio, teatro.
    In seguito l'imperatore Teodorico vi erigeva il suo palazzo con archi e loggie, acquedotti e terme.
    Alboino, primo re dei Longobardi v'ebbe pure residenza regnandovi con Rosemunda sua moglie.
    Quivi Pipino, secondo una leggenda aveva piantato la sua sedia di pietra e Berengario vi faceva accecare Lodovico III, che s'era rifugiato nella chiesa di San Pietro, ed a sua volta veniva assassinato più tardi dallo sculdascio Flamberto.
    Nel correr dei secoli la regia residenza subì rovine e modificazioni. — Nuove mura e nuove torri furono edificate dai Visconti (1300) e dalla Veneta Repubblica. — Gran parte delle rovine del castello di S. Pietro furono abbattute dagli austriaci per costruirvi l'attuale ed antiestetica caserma, che pesa sulla gentilezza e sulla romanità sottostante; ma ancora molte rovine restano dietro, ed ai lati di detta caserma, come le mura di Can Grande ecc.
    La chiesa di S. Pietro, insieme ad un vicino fortilizio fu distrutta dopo il trattato di Luneville (1801).
    Su questi ruderi e dati i meravigliosi precedenti storici, può legittimamente spaziare qualunque onesta fantasia.
  23. brasa: bragia
  24. alfiar: alitare
  25. osâr: nel senso di osannare
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