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Sonetto di ringraziamento e di addio recitato da Teodora Medebach

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
Sonetto di ringraziamento e di addio recitato da Teodora Medebach
1749
Edission e fonte ▼

[p. 1 modifica]A   OLGA   DEL   VO   E

GIO: SICHER OGGI SPOSI


Adele e Giuseppe Ortolani







VENEZIA, 21 APRILE 1909.

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CARLO GOLDONI


SONETTO DI RINGRAZIAMENTO E DI ADDIO RECITATO DA TEODORA MEDEBACH NEL TEATRO DI S. ANGELO A VENEZIA L'ULTIMA SERA DI CARNOVALE DEL MDCCXLIX IN FINE DELLA RECITA DELLA PUTTA ONORATA.





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MI co sto vin un prindese vôi far,
Come el debito corre, a chi me sente;
E si ben ch'el mio dir no serve a gnente,
Dir qualcossa anca mi me vôi provar.

Prima de tutto voggio ringraziar
Chi xe verso de mi tanto clemente,
Che savendo che son insufficiente,
Tutti i defetti mii sa perdonar.

E se Putta Onorata adesso son,
Alle putte voltar voggio el mio dir,
Voggio parlarghe coll'istesso ton;

Putte, da Amor no ve lassè tradir,
Se onorate sarè, parerè bon,
Piuttosto che far mal, s'ha da morir.

                              Ma me par de sentir
Qua per l'Udienza un certo mormorio
Dir: Bettina, el bon tempo xe fenio;

                              Va pur col to mario,
Dove andar la to sorte te destina,
Va, ch'el Cielo t'agiuta. 1 Addio, Bettina.

                              Oh povera meschina,
Donca da sto Paese ho d'andar via?
Me vien da pianzer, in conscienza mia:

                              Con tanta cortesia
Son stada compatia mi poveretta
Da sta Città, che sie la benedetta.

                              Me sbregaria la petta 2,
Pensando al Carneval, che xe fenio,
Pensando ch'ho da dir, Venezia addio.

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                              Che gusto giera el mio
Veder de Nobiltà piena l'Udienza,
Con tanta cortesia, tanta pazienza.

                              So la mia insufficienza
So che spettar mi no podeva tanto,
Donca l'applauso mio xe vostro vanto.

                              Anderò via, ma intanto
Quattro parole ancora voggio dir,
L'ultima mezzariola 3 vôi fenir.

                              Ve voggio riverir,
Veneziani pietosi, de bon cuor,
Ve voggio ringraziar de tant'onor.

                              Ma d'un altro favor
Mi ve voggio pregar, se ve degnè,
Siori, de mi no ve desmenteghè.

                              Certo me vederè
Un altr'anno vegnir, se piase al Cielo,
Con più spirito ancora e con più zelo.

                              Procurerò bel belo
Quel merito acquistar, che mi no gh'ho,
E con tutto el mio cuor sfadigherò.

                              Provista vegnirò
De bona mercanzia per darve spasso,
De quella mercanzia, che sto anno ha piasso.

                              Ma ohimè, son zonta al passo
De dover al mio dir dar conclusion,
Perchè vien tardi, e xe fenio el sabbion 4.

                              Ve domando perdon,
So che me ascolterà con troppa pena
Qualcun, che pressa gh'ha d'andar a cena.

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                              No me voltè la schena,
Sentì ste do parole, e po andarè
A cenar e ballar, quanto vorrè.

                              Qualche volta pensè
Alle Commedie de sto Carneval,
Che se ghe pensarè, no farè mal.

                              Xe una bona moral
Alle Putte 5 insegnar a far l'amor,
Senza pregiudicar el proprio onor.

                              Esempio podè tor,
Se fameggia gh'avè troppo insolente,
Dall'operar de Pantalon prudente 6.

                              Se più d'un pretendente
Donne, ve cerca, e no volè fallar,
Ve podè con la Vedoa 7 conseggiar.

                              Chi vol ben educar
I fioi, li tegna arente e no lontani;
S'ha visto dai Zemelli Veneziani 8,

                              Che i veri cortesani,
Onorati, da ben e pontuali,
Solamente s'arleva in sti canali 9.

                              Sti altri Carnevali,
Co sta regola istessa che xe qua,
Altre bone lezion se sentirà;

                              El mondo vederà
Ch'el Teatro no xe più scandoloso
Ma utile, modesto e fruttuoso.

                              Popolo generoso,
Fenisso e ve ringrazio dell'amor,
Sieu benedetti e mi ve lasso el cuor.



Note
  1. [p. 12]Le compagnie comiche di Venezia si recavano a recitare altrove nelle stagioni di primavera e d'estate.
  2. [p. 12]La treccia, i capelli.
  3. [p. 12]Orologio a polvere o lo spazio di tempo misurato dallo stesso.
  4. [p. 12]Vedi nota precedente.
  5. [p. 12]Alludesi alla commedia della Putta Onorata.
  6. [p. 12]Alludesi alla commedia dell'Uomo prudente, recitata pure in quella stagione.
  7. [p. 12]Alludesi alla Vedova scaltra, recitata nello stesso anno comico.
  8. [p. 12]Alludesi alla commedia dei Due gemelli veneziani, pure di quell'anno.
  9. [p. 12]Alludesi al personaggio di Tonino, nei Due gemelli, educato cortesanamente a Venezia, a differenza del rozzo Zanetto, cresciuto nelle valli di Bergamo.

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ORA è cessato o sta per cessare nelle biblioteche italiane quell'affannato lavoro di esumazione delle pagine inedite dei massimi e minimi autori della nostra letteratura: solo qualche studentessa più candida chiede ancora al bibliotecario in dono un paio di lettere nuove del Foscolo o almeno una novellina di Gaspare Gozzi. In verità bisogna confessare che nessun tesoro artistico è stato scoperto in tanti anni, ma dal terreno esplorato e dissodato altri benefizi derivarono alla storia letteraria. Ben peggio dei fanatici della ricerca fecero gli avventurieri e i burloni: così è da temere che Urbani de Gheltof per accrescere l'epistolario di papà Goldoni inventasse più d'una letterina della sua raccolta privata, lasciando a' bibliografi la compiacenza di catalogarla. Sfuggì invece agli studiosi, fra le quisquilie goldoniane, o non fu curato, il presente sonetto di addio.

Non è un cimelio letterario, anzi un umilissimo componimento dialettale, coi segni manifesti d'una quasi improvvisazione: i primi quattordici versi, un po' corretti, si trovano a stampa fin dal 1751 e servono a chiudere la commedia della Putta onorata; il resto si legge in un codice del Museo Civico di Venezia 1. Più importante diventa, quale ricordo storico, se si pensi che fu composto sulla fine del primo anno della riforma della commedia italiana, intrapresa da Carlo Goldoni dopo il ritorno da Pisa (1748): riforma morale e artistica a un tempo. E, nella sua modestia, il primo grido di trionfo del Dottor veneziano, che sentiva gli applausi dai quali erano state accolte l'una dopo l'altra le sue nuove creazioni, l'Uomo prudente, i Due gemelli veneziani, la Vedova scaltra, la Putta onorata: e reca il presagio di altre vittorie. Esprime, insieme con la soddisfazione, la gratitudine degli attori e del poeta verso il pubblico, che pareva partecipe della gloriosa fatica, poichè nessun altro teatro, come questo di Goldoni, fu veramente popolare.

E i versi acquistano calore e bellezza, se immaginiamo il teatro di Sant'Angelo a Venezia, nel cuore del Settecento, pieno di maschere plaudenti, l'ultima sera del carnovale (18 febbraio) 1749, allorquando Teodora Medebach, nelle vesti di Bettina, con la persona sottile e leggiadra, con la voce esile e chiara 2, saluta commossa i Veneziani. E noi salutiamo a nostra volta la grande attrice che «non conosceva altro mondo che il Teatro su cui era cresciuta»; e tanto lo amava «che l'impedirle di recitare era lo stesso che farle venire la febbre» 3. «D'un carattere dolce nell'indole, più dolce nell'espressione, e nelle passioni dolcissima», sempre stanca, sempre malata, viva solamente per l'arte sua, comparve un dì saltando sulla corda in un casotto della piazza di S. Marco, scomparve giovane, di mal di petto (il male del palcoscenico) e nessuno seppe la sua età 4.



Note
  1. [p. 14]Cod. Cicogna 1410, già 360, t. II. pp. 136-139. La sonettessa porta il titolo inesatto: Nel Teatro di S. Samuel 1749 — Prindese.
  2. [p. 14]Di persona «gracile e tenue», dice il Chiari, di voce «fiacca ed esile»; e Franc. Bartoli: «una figura leggiadra, un volto tutto spirante grazia, una voce dolcissima e chiara»; e Goldoni: «jeune, jolie et bien faite... Sa douceur naturelle, sa voix touchante, son intelligence...»
  3. [p. 14]Chiari, La commediante in fortuna. Negli ultimi anni, ricorda il Bartoli, «stava quasi sempre guardata in letto, e quando talvolta sentivasi un po' sollevata, lasciavasi vedere in teatro».
  4. [p. 14]Morì ai 27 febbraio del 1761 «in età di 40 anni», dice il Bartoli; «d'anni 45» si trova scritto ne' Diari del Gradenigo; «de anni 37» si legge nel necrologio, stampato dal Malamani.


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