Pagina:Poesie di Francesco Gritti in dialetto veneziano.djvu/23

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dormiglioso che desto, molto raccoglieva dagli altri e poco dava del proprio: se però il voto cicalìo de' nostri circoli non veniva compensato con larga usura dai pochi tratti veramente attici, che talora usciano dalle sue labbra, il più delle volte a vera noja composte. Ma ciò che poneva il colmo alla meraviglia era quella faccia imperturbabile con cui, cedendo alle istanze degli amici, recitava quei lepidissimi apologhi, dei quali avremo a parlare ben presto. Il riso e la gioja scherzavan festevoli sul volto di quanti l'udivano, ma egli solo così se ne stava in sul serio, che l'avresti creduto un nuovo Uticense. Il quale contrasto fra la persona e le cose addoppiava mirabilmente l'effetto. Lontano dall'importuna garrulità dei seguaci di Apollo, e nemico di quella ritrosa modestia che troppo sovente pute di orgoglio, chiesto recitava con molto garbo i suoi versi. La scelta dipendea dagli amici, giacchè non v'era un solo fra i tanti apologhi dall'aurea sua penna dettati che non gli fosse presente; ma ricordevole che dal bello stesso non vanno disgiunti i sbavigli, ove l'importuna sazietà s'inframetta, sapea mantener vivo il piacere provvedendo colla sobrietà al desiderio. A tal uopo o visitava molte società nella sera stessa, o più sere vivea colla ricca società de' suoi pensieri.

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