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Pagina:Il dialetto e la lingua - Antologia vernacola.djvu/122

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3°) Posta, participio passato del verbo latino pónere ― porre, collocare; quindi pósitsu (posto), nel genere femminile pósita. Nella bassa latinità noi abbiamo dagli scrittori indicata «posta» (parola contratta di pósita) luogo assegnato per fermarsi, per attendere ed è la «stazione»; più innanzi nelle forme dialettali troviamo che la parola «posta» è particolarmente usata per indicare una stazione di cavalli-posta, da distanza a distanza, pel servizio dei viaggiatori, quindi «fermata». Così è avvenuto che, consegnandosi e ricevendosi in queste stazioni o fermate le lettere e corrispondenze, il linguaggio comune accettò la parola Posta per l'Ufficio delle lettere, che molte volte rimasero «ferme in posta» cioè fermate lì per la consegna al destinatario.

Cristoforo Pasqualigo, facendo cenno del vernacolo Veronese, scriveva: «Il dialetto di Verona offre notevoli differenze con quello delle altre province venete.... Donde queste differenze? Io credo che siano prodotte dal contatto di Verona con la provincia di Trento e delle sue valli ladine...; perchè da tempi remoti fino al 1866 Verona fu l’emporio commerciale delle genti alemanne, del Tirolo e del Trentino. Inoltre da tutto il Trentino scendevano volentieri nel dolce clima della bella Verona i commercianti, gli artigiani, e specialmente le donne, quali domestiche, cameriere, balie e cuoche e cuochi, terrazzieri, lavoranti o laorenti, (c’è perfino un proverbio per loro), che poi quasi tutti rimanevano in Verona. È naturale che vi importassero qualche voce dei paesi nativi, e che queste abbiano prodotte le diversità dialettali sopradette» 1. Del Veronese il Pasqualigo reca un saggio di parecchie voci, come àngio (che è il latino anguis (biscia); bassìsego: altalena; bampadora: cateratta, chiusura; aldegarse: ardire, osare; cagnár e la frase i i à cagnadi (li hanno colti) da Can della scala, il giornale umoristico; cosadura: ammaccatura; intambusà: rimpiattate: sambra: comitiva; signápola: pipistrello, nóttola; sorir, sorire: indispettirsi; tindonàr: bighellonare; tortór: imbuto; trozo (in alcuni luoghi trogo) sentiero, troso per giro, dal latino terere, tritum ecc. Anche il Pasqualigo lamenta la scarsità o la mancanza dei Vocabolari dei dialetti, augurandone uno completo che sarebbe importante quanto quello della lingua nazionale italiana. V’è bensì il Piccolo Dizionario del dialetto moderno (Verona, Franchini 1900), ma è insufficiente, mancando pure della 2° parte italiano-veronese. Qui son citati «Vocabolari», veramente tentativi, che si conservano manoscritti nella nostra Biblioteca Comunale; ma anch’essi (volendoli dar alle stampe) rimarrebbero quanto mai antiquati. Un tentativo di Vocabolario veronese-toscano, in men che 90 pagine, fu fatto da Gaetano Angeli, ma porta la data del 1821! L'ab. Angeli, professore al Collegio delle fanciulle, s’avvide che nella scuola gran mancanza era lo studio parallelo del dialetto alla lingua e si provò «a a sopperirvi col suo Saggio». Tra i manoscritti la migliore raccolta rimane quella di E. S. Righi. Concludendo, il vero Dizionario Veronese rimane ancora un desiderio.

  1. «La lingua rustica padovana con cenni su alcuni dialetti morti e vivi, e proverbi veneti», raccolti da C. Pasqualigo (Verona, Cabianca 1908). Per i nomi dialettali degli animali e delle piante, rimando agli studi di Adriano Garbini (Verona, Mondadori 1919) sulle antroponimie e omonimie nel campo della zoologia popolare (limitato a specie Veronesi).
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