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Pagina:Il dialetto e la lingua - Antologia vernacola.djvu/120

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Ti te credi a tuto quel che i te conta. Tu credi a tutto quello che ti raccontano.

E pare che il dialetto, a differenza dell'italiano, abbia bisogno di sempre più determinare la persona. Così nelle forme del verbo essere: presente: ti te sé tu sei, lu l’è egli è, lori i è essi sono; imperfetto: ti te eri tu eri, lu l'era egli era, lori i era essi erano, e così via. Si osservino certe trasposizioni di tempi:


1) I è stadi bravi i nostri a la batalia de San Martin! 1) Furon bravi i nostri alla battaglia di San Martino!
2) Dopo che el m'à parlà (ovvero parlado), m'à parso de averghe falà strada. 2) Dopo ch’egli mi ebbe parlato, mi parve di avere sbagliato strada.


Se alla moneta di una nazione fu giustamente paragonato il suo linguaggio, è da dire che le parole, le frasi, i valori grammaticali 1 possano paragonarsi alla moneta più o meno spicciola, che distingue regione da regione, paese da paese, gente di popolo cittadino da gente di borgo, di campagna, di monte.

L'uomo e fatto e parla secondo la terra ove nasce, onde a ragione Torquato Tasso, cantando, afferma che la terra «Simile a sè gli abitator produce».

Nel suo dialetto e nelle sue usanze il popolo ha caratteristiche che niuno può distruggere. Dice il proverbio: Paese che vai, costumi che trovi; il popolo veronese dirà: «Ogni paese g'à la sua usansa».

  1. La differenza fra lingua e dialetto consiste, per lo più, nella diversa maniera di pronunciare i vocaboli. L'unione politica della Nazione, con la molteplice agevolezza e necessità di comunicazioni tra le sue provincie, produrrà senza dubbio la prevalenza della lingua sopra i dialetti. Coll'unità politica, l’unità della lingua trionfa.
    Anomalia singolare dei dialetti veneti (in generale) è la mancanza di ferme proprie della terza persona plurale dei verbi. Mettono in suo luogo la terza persona singolare col pronome plurale. Per es.: el dise, el diseva, l'à dito; i dise, i diseva, i à dito (egli dice, egli dice, egli ha detto; essi dicono, essi dicevano, essi hanno detto). Il Veronese pronuncia gli infiniti dei verbi sempre tronchi; amàr, sentìr; così nel passato usa sempre l’ausiliare col participio. Non dice amai, amasti ecc. ma ò amà, te è amado ecc. Preferisce la 1° alle altre coniugazioni dei verbi: ascoltàr, non udire: scapàr non fuggire; pronuncia: vèdar, crèdar, piànsar, strènzar; vedere, credere, piangere, stringere. Preferisce l’a all’e; l’e all’i; l’o all’u ed all’uo; amarò, vegnarò; ponto per punto; domo, ton, bon per duomo, tuono, buono. I participii variano in: amà, amado; finì, finido; conossù, conossudo.
    I nomi plurali femminili terminano quasi tutti in e: le canzone, le resone, le mane.
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