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Le morbinose/Atto secondo

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
SECONDO ATTO
1758

 Edission original:   

"I capolavori" di Carlo Goldoni, a cura di Giovanni Antonucci,
Grandi Tascabili Economici Newton, Newton Compton Editori, 1992.

 Fonte:

http://www.liberliber.it/libri/g/goldoni/index.htm

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SCENA PRIMA

[canbia]

Bottega di caffè.
Ferdinando e Nicolò caffettiere.
Ferdinando colla lettera aperta in mano.


FERDINANDO:
Ehi Nicolò.
NICOLÒ:
Lustrissimo.
FERDINANDO:
Dimmi, questo viglietto
Da chi ti fu lasciato?
NICOLÒ:
Nol so, da poveretto.
Mi no giera a bottega, quando che i l'ha portà.
Ho domandà ai mi zoveni, ma gnanca lori el sa.
FERDINANDO:
È una cosa curiosa. Tu che sei Veneziano.
Dimmi nel tuo linguaggio cosa vuol dir galano?
NICOLÒ:
Galano? no capisso.
FERDINANDO:
Qui non dice così? (Gli fa vedere la parola nella lettera.)
NICOLÒ:
Sta parola galano no l'ho sentia ai mi dì.
Galan color de rosa, adesso capirò.
Galan, e no galano.
FERDINANDO:
Non è tutt'un?
NICOLÒ:
Sior no.
Vuol dir una cordella bianca, celeste o sguarda
Ligada, per esempio, in modo de coccarda.
FERDINANDO:
Ora, ora ho capito. (Chi mi mandò il viglietto
Avrà per segno un nastro color di rosa in petto).
NICOLÒ:
Me comàndela gnente?
FERDINANDO:
Sia il caffè preparato.
NICOLÒ:
Lo vorla qua?
FERDINANDO:
Preparami un camerin serrato.
Se verran delle maschere, vogliam la libertà.
NICOLÒ:
La perdona, lustrissimo, no posso in verità.
Le botteghe onorate no serra i camerini.
FERDINANDO:
Non posso a modo mio spendere i miei quattrini?
NICOLÒ:
Lustrissimo patron, mi ghe domando scusa:
In sto nostro paese ste cosse no se usa.
In pubblico se vien a bever el caffè.
E col se beve in pubblico, da sospettar no gh'è.
Femene d'ogni rango da nu la vederà,
In tempo delle maschere vegnir con libertà.
Ma co la libertà xe resa universal,
In fazza del gran mondo se schiva el mazor mal.
FERDINANDO:
Di rendermi sospetto non era il pensier mio.
Quel che gli altri accostumano, vo' costumare anch'io.
Preparate il caffè.
NICOLÒ:
Per quanti?
FERDINANDO:
Io non lo so.
NICOLÒ:
Co saverò per quanti, subito ghel farò.
L'acqua calda xe pronta, el caffè xe brusà
Subito che i me l'ordena, lo màseno in t'un fià.
El xe più bon assae, quando el xe fatto a posta.
Al caffè de Venezia, la el sa, no gh'è risposta.
In materia de questo, l'ha da vegnir da nu:
Per caffè de Levante, Venezia e po no più. (Si ritira in bottega.)
FERDINANDO:
Questa incognita amante chi diamine sarà?
Mi ha posto questa lettera in gran curiosità.
Pratica di Venezia non ho formato ancora
Stretta non ho amicizia con veruna signora.
Senz'altro, chi mi scrive, esser dee una di quelle
Che ho veduto al festino. Ve n'eran delle belle.
Che fosse la ragazza, cui l'anello ho donato?
Non crederei sarebbe l'ardir troppo avanzato.
Parvemi onesta. È vero che l'anellino ha preso,
Ma vidi il di lei volto di bel rossore acceso.
Quella certa signora che Marinetta ha nome,
Che aveva più d'ogn'altra begli occhi e belle chiome,
Mi fe' qualche finezza ma la conosco in ciera:
È furba come il diavolo, non pensa in tal maniera.
Chi scrisse in questo foglio, mostra di spasimare;
Ma scrivermi potrebbe ancor per corbellare.
Ecco una mascheretta. Quella del nastro aspetto.
Oh cospetto di bacco! ha la coccarda in petto.

SCENA SECONDA

[canbia]

Marinetta ed il suddetto, e Felice un poco indietro.

MARINETTA:
Fermève qua un pochetto lassè che vaga mi.
Coverzive el galan, e co ve par, vegnì. (A Felice, in disparte.)
FERDINANDO:
(Si darà da conoscere). Servo suo riverente. (Marinetta gli fa una riverenza.)
Il desio di vederla rendevami impaziente.
MARINETTA:
Mi?
FERDINANDO:
Sarei fortunato,
Se l'onor di servirla mi concedesse il fato.
MARINETTA:
Dìsela a mi, patron?
FERDINANDO:
A lei, signora mia.
MARINETTA:
Me cognóssela?
FERDINANDO:
Ancora non so dir chi ella sia.
MARINETTA:
Con chi no se cognosse, no se se tol sto impegno.
FERDINANDO:
Se non conosco il volto, vi riconosco al segno.
MARINETTA:
A che segno?
FERDINANDO:
A quel nastro.
MARINETTA:
O bella in verità!
No gh'è altri galani in tutta sta città?
FERDINANDO:
(Parvemi nella voce che sia la Marinetta.
Cercherò di chiarirmi). Graziosa mascheretta,
Comandate il caffè?
MARINETTA:
Grazie, la me perdona,
Che se vien mio marìo, dasseno el me bastona.
FERDINANDO:
Siete voi maritata?
MARINETTA:
Sior sì, per mia sfortuna.
Gh'ho quattro fantolini, e una putella in cuna.
FERDINANDO:
(Dunque non sarà questa quella ch'io mi credeva)
Che foste maritata, signora, io non sapeva.
Quel nastro mi ha ingannato.
MARINETTA:
Sto nastro? Cara ella
La me diga el perché.
FERDINANDO:
Vi dirò l'istoriella.
Un'incognita amante scrissemi in un viglietto
Ch'io l'averei veduta con questo segno al petto.
MARINETTA:
No se poderia dar, senza intaccar l'onor
Che qualche maridada gh'avesse dell'amor?
FERDINANDO:
Dar si potrebbe ancora. Sareste voi la bella,
Che in questo foglio istesso meco d'amor favella?
MARINETTA:
Mi? no so gnanca scriver.
FERDINANDO:
Siete donna ordinaria?
MARINETTA:
Sior foresto carissimo, sta volta la zavaria.
Civil più che nol crede son nata in casa mia,
E sotto de ste maschere no se sa chi ghe sia.
FERDINANDO:
Dite non saper scrivere.
MARINETTA:
Digo de sì e de no,
Come me par e piase.
FERDINANDO:
Scriveste voi?
MARINETTA:
Sior no.
FERDINANDO:
Eppure io giurerei che vostro è questo scritto.
MARINETTA:
Zuro su l'onor mio, che mi no ghe l'ho scritto.
FERDINANDO:
Dite, mi conoscete?
MARINETTA:
Lo conosso benissimo.
FERDINANDO:
E chi son io, signora?
MARINETTA:
Un signor gentilissimo.
FERDINANDO:
Mi vedeste altre volte?
MARINETTA:
L'ho visto, e gh'ho parlà.
FERDINANDO:
Dove? quando?
MARINETTA:
Dasseno me l'ho desmentegà.
FERDINANDO:
Eh signora, lo vedo, volete divertirvi.
Fatemi questa grazia, vi prego di scoprirvi.
MARINETTA:
Sola no me convien. Amiga, vegnì qua. (A Felice.)
(Felice si avanza, e scopre il nastro.)
FERDINANDO:
(Ecco un nastro compagno che diavolo sarà?) (Da sé.)
FELICE:
Serva, sior Ferdinando.
FERDINANDO:
Mi conoscete? Oh bella!
Con questi nastri al petto qual di voi sarà quella?
FELICE:
Mi son quella siguro.
MARINETTA:
Quella son anca mi.
FERDINANDO:
Ma chi di voi ha scritto questo foglio che è qui?
FELICE:
Mi no.
MARINETTA:
Gnanca mi certo.
FERDINANDO:
Si potrebbe saper
Da voi, chi l'abbia scritto?
FELICE:
Se el so, nol vôi saver.
FERDINANDO:
Ah sì, voi siete quella che arde per me nel seno. (A siora Felice.)
FELICE:
El s'inganna de grosso, sior forestier, dasseno.
FERDINANDO:
Dunque voi siete quella che amor per me si sente. (A Marinetta.)
MARINETTA:
Sior forestier, dasseno, no lo gh'ho gnanca in mente.
FERDINANDO:
Quand'è così, potete andarvene di qua.
FELICE:
Oh che bella creanza!
MARINETTA:
Che bella civiltà!
FELICE:
Xelo ello el patron?
MARINETTA:
Comàndelo qua drento?
Alle donne civil se fa sto complimento?
FERDINANDO:
Ma se voi vi credete di corbellar con me...
FELICE:
Gnanca no se esebisse un strazzo de caffè.
FERDINANDO:
Subito, volentieri. Caffè. (Forte.)
NICOLÒ:
Vengo a servirla.
FERDINANDO:
(Se si cava la maschera, potrò almeno scoprirla?).
Voi lo berrete ancora. (A Marinetta.)
MARINETTA:
Farò quel che farà
La mia compagna.
FERDINANDO:
Brava. Ci ho gusto in verità.
NICOLÒ:
Servide quel caffè. Se vorle comodar?
FERDINANDO:
Favorite sedere.
FELICE:
No me voggio sentar.
MARINETTA:
Gnanca mi.
FERDINANDO:
Molto zucchero? (A Felice.)
FELICE:
Piuttosto in quantità.
FERDINANDO:
Così?
FELICE:
Ancora un pochetto.
FERDINANDO:
E voi? (A Marinetta.)
MARINETTA:
Poco me fa. (Nicolò versa il caffè.)
FERDINANDO:
Signore, colla maschera bevere non si può.
MARINETTA:
Via, che el lo beva ello.
FERDINANDO:
Anch'io lo beverò.
Questo è per voi, signora. (A Marinetta.)
MARINETTA:
Oh, xe qua mio marìo.
FERDINANDO:
Io non vedo nessuno.
FELICE:
Oh, che xe qua mio fio.
Patron. (A Ferdinando.)
MARINETTA:
La reverisso. (A Ferdinando.)
FELICE:
La se conserva san.
MARINETTA:
La lo mantegna caldo, che el beverò doman.
FELICE:
La prego a compatir, se vago via e l'impianto. (Parte.)
MARINETTA:
Quelle dal galanetto la reverisse tanto. (Parte.)

SCENA TERZA

[canbia]

Ferdinando e Nicolò, poi Lucietta e Bettina.

NICOLÒ:
Lo comandela ella?
FERDINANDO:
Va al diavolo anche tu.
NICOLÒ:
(Co sta sorte de matti no me n'intrigo più). (Da sé, si ritira in bottega.)
FERDINANDO:
Sì, voglio, per conoscerle, seguirle a suo dispetto.
Ecco dell'altre maschere con il galano al petto.
Chi sa che una di queste?... che diavol d'imbarazzo!
Voglion le Veneziane farmi diventar pazzo.
LUCIETTA:
(Le amighe no se vede. Aspettemo un pochetto). (Piano a Bettina.)
BETTINA:
(La varda, siora mare, quello dall'aneletto). (Piano.)
LUCIETTA:
(Sì, per diana. Sta zitta, fémolo zavariar).
BETTINA:
(No vorave che Bortolo...)
LUCIETTA:
Màndelo a far squartar.
Xe do anni debotto, che el vien in casa mia
Noi t'ha mai donà gnente. Bortolo xe un'arpia).
BETTINA:
(In verità dasseno, che no la dise mal).
LUCIETTA:
(Devertimose un poco semo de carneval).
FERDINANDO:
(Sto a véder della scena qual sia la conclusione.
Quei nastri maledetti mi han posto in confusione). (Da sé.)
LUCIETTA:
Patron.
FERDINANDO:
Servo divoto.
BETTINA:
Serva.
FERDINANDO:
Padrona mia.
LUCIETTA:
La fa delle so grazie una gran carestia.
FERDINANDO:
Non capisco, signora.
LUCIETTA:
Me capisso ben mi.
Ma delle amighe vecchie no se se degna pi.
FERDINANDO:
In Venezia, signora, non ho amicizia alcuna.
Se acquistar ne potessi, sarebbe una fortuna.
LUCIETTA:
S'avemo cognossù in paese lontan.
FERDINANDO:
Dove?
LUCIETTA:
Se no m'inganno, o a Torcello, o a Buran.
FERDINANDO:
Non so questi paesi dove siano nemmeno.
Fatemi la finezza dirmi chi siete almeno.
LUCIETTA:
Mi gh'ho nome Pandora.
FERDINANDO:
Pandora? e voi? (A Bettina.)
BETTINA:
Marfisa.
FERDINANDO:
Due nomi veramente da muovere alle risa.
Brave, signore mie veggo che volentieri
Si usa da voi talvolta burlar coi forastieri.
Piacemi estremamente nel vostro sesso il brio,
Ma però vi avvertisco che so burlare anch'io.
LUCIETTA:
La falla, mio patron no se usa in sta città
Burlar i forestieri. Xelo mai stà burlà?
FERDINANDO:
E come! e in che maniera! Volete voi sentire
Se mi han ben corbellato? or ve lo fo capire.
Vi leggerò un viglietto, che affé vale un tesoro.
(Scoprirò se per sorte l'ha scritto una di loro).
Ferdinando adorabile. A me?
LUCIETTA:
No xe ben ditto?
FERDINANDO:
Vi par ch'io sia adorabile?
LUCIETTA:
Se sa chi ghe l'ha scritto?
FERDINANDO:
Io non lo so finora. Ferdinando adorabile.
LUCIETTA:
Fin qua no ghe xe mal.
BETTINA:
Nol xe gnanca sprezzabile.
FERDINANDO:
Grazie dell'opinione che formano di me.
(Se lodano il viglietto, qualche sospetto c'è).
Un'incognita amante vi ha consacrato il core,
Costretta notte e giorno a sospirar d'amore.
Per me. Sentite come l'incognita beffeggia?
LUCIETTA:
Nol lo merita fursi?
BETTINA:
Xela una maraveggia?
FERDINANDO:
(Quella che ha scritto il foglio, par che in esse vi sia). (Da sé.)
LUCIETTA:
La fenizza de lezer.
BETTINA:
(Chi diàstolo è custia?). (Da sé.)
FERDINANDO:
Appena vi ha veduto, coi rai del vostro viso
Si è sentita colpire da un fulmine improvviso.
Questo ha del romanzesco.
LUCIETTA:
Perché? no se ne dà
De sti amori improvvisi?
BETTINA:
Co i lo scrive, sarà.
FERDINANDO:
(Se una di queste due vergato ha questo foglio,
Chi sia di lor l'autrice, assicurarmi io voglio). (Da sé.)
Sentite, or viene il buono. La vostra innamorata
Per un riguardo onesto si tiene ancor celata.
Oggi voi la vedrete con mascherato aspetto
E avrà un galan per segno, color di rosa, in petto.
LUCIETTA:
(Diavolo!)
BETTINA:
(Cossa séntio?)
FERDINANDO:
Ditemi, quel galano
L'hanno tutte le donne del popol veneziano?
LUCIETTA:
Perché?
FERDINANDO:
Perché poc'anzi due maschere civili
Avevano dinanzi due nastri a quei simili.
LUCIETTA:
Dasseno?
FERDINANDO:
Certamente.
LUCIETTA:
(Cossa distu, Bettina
Anca sì che sta lettera xe scritta da Marina?) (Piano a Bettina.)
BETTINA:
(La xe anca capace). (Piano a Lucietta.)
LUCIETTA:
(No scoverzimo gnente).
FERDINANDO:
(Vien da loro il viglietto. Si vede apertamente).
LUCIETTA:
Gh'ala nissun sospetto, chi possa averghe scritto?
FERDINANDO:
Direi, se non temessi d'essere troppo ardito.
LUCIETTA:
Via, la diga.
FERDINANDO:
Mi pare che sia la Veneziana,
Che mi ha scritto il viglietto, poco da me lontana.
LUCIETTA:
A vu, maschera. (A Bettina.)
BETTINA:
A mi?
FERDINANDO:
Se è ver quello che dite,
Se il viglietto è sincero, perché non vi scoprite?
BETTINA:
Mi non ho scritto certo.
LUCIETTA:
Mi no so de biglietto.
Sala chi averà scritto? quella dall'aneletto.
FERDINANDO:
Come sapete voi, ch'io ho donato un anello?
LUCIETTA:
Sior sì, savemo tutto.
BETTINA:
L'ho anca visto; el xe bello.
FERDINANDO:
Dite, sareste mai una di voi Bettina?
BETTINA:
Mi Bettina? sior no.
LUCIETTA:
Sala chi son? Marina.
FERDINANDO:
La signora Marina? Quella giovine bella,
Che sul festin ier sera brillò come una stella?
BETTINA:
(Malignazo!)
FERDINANDO:
Signora, vi giuro in verità,
Mi ha incontrato la vostra amabile beltà.
Di quante che ho veduto, siete la più brillante,
L'unica che può rendere questo mio core amante.
LUCIETTA:
De rider e burlar lo so che el se diletta.
Quella dell'aneletto xe bella e zovenetta.
FERDINANDO:
Bettina avrà il suo merito, ma francamente il dico
In paragon di voi, io non la stimo un fico.
BETTINA:
Maschera, andemo via. (A Lucietta.)
LUCIETTA:
Vegno; aspettè un pochetto.
Donca no la ghe piase quella dell'aneletto.
FERDINANDO:
È bella, se vogliamo ma non saprei amarla.
E poi quella sua madre non posso tollerarla.
LUCIETTA:
Andemo, che xe tardi. (A Bettina.)
FERDINANDO:
Vonno andar via? perché?
Non mi fanno l'onore di bevere un caffè?
LUCIETTA:
Grazie, grazie. (Asenazzo). (Andemo a travestirse.
No vôi che el ne cognossa, se el gh'ha idea de chiarirse). (A Bettina.)
BETTINA:
La diga, sior foresto, ghe piase Marinetta?
FERDINANDO:
La signora Marina mi piace e mi diletta.
La venero, la stimo, e lusingarmi io voglio,
Ch'ella sinceramente mi parli in questo foglio.
LUCIETTA:
Quel foggio no xe mio; ghel digo e ghel mantegno.
Ste lettere no scrive chi ha un pochetto d'inzegno.
Marina lo ringrazia della so gran bontà,
E in premio la lo manda tre mia de là da Stra. (Parte.)
FERDINANDO:
Questo cosa vuol dire? (A Bettina.)
BETTINA:
Vol dir liberamente
Che delle so finezze no ghe pensemo gnente.
Che se Marina el manda tre mia de là da Stra,
Lo manderà Bettina sedese mia più in là.

SCENA QUARTA

[canbia]

Ferdinando solo.

FERDINANDO:
Maladetta Bettina, Marina, e quante sono!
Tutte a beffar mi vengono sul medesimo tuono?
So pure che per fama le donne veneziane
Passano per gentili, vaghe, discrete e umane
Intesi da ciascuno lodarle in ogni parte.
So che di farsi amare onestamente han l'arte,
E so che i forastieri che furo in questo loco,
Della lor gentilezza si lodano non poco.
A me, per mia sventura, sinor mi è capitato
Gente da cui mi vedo deriso e beffeggiato.
Anche Marina istessa m'insulta e mi corbella?
Ma chi sa poi se è vero, e se Marina è quella?
Parmi ancora impossibile, che donna sì gentile
Possa a un uom corrispondere con animo sì vile.

SCENA QUINTA

[canbia]

Silvestra e detto, poi Nicolò.

SILVESTRA:
(Le cerco, e no le trovo. Dove sarale andae?
Chi sa, ste frasconazze dove le xe imbusae).
FERDINANDO:
(Chi scrisse questo foglio tento scoprire invano.
Ecco qui un'altra maschera col solito galano).(Da sé.)
SILVESTRA:
(Oh, in verità dasseno el forestier xe qua,
Che sul festin giersera ha tanto chiaccolà). (Da sé.)
FERDINANDO:
(Megli'è ch'io me ne vada, pria d'impazzire ancora). (In atto di partire.)
SILVESTRA:
La diga. (Lo chiama.)
FERDINANDO:
Mi comandi.
SILVESTRA:
Vala via?
FERDINANDO:
Sì, signora.
SILVESTRA:
La senta una parola.
FERDINANDO:
Posso servirla in niente?
SILVESTRA:
Tutto quel che la vol.
FERDINANDO:
(Questa è più compiacente).
Vuole il caffè?
SILVESTRA:
Son sola, daresto el beveria.
FERDINANDO:
Non basta un uom d'onore sia seco in compagnia?
SILVESTRA:
No ghe vôi far un torto, cognosso el so buon cuor.
FERDINANDO:
Vuol che l'ordini adunque?
SILVESTRA:
La me farà favor.
FERDINANDO:
Caffettiere.
NICOLÒ:
Comandi.
FERDINANDO:
Un caffè.
NICOLÒ:
Patron mio,
Co l'averò portà, me lo darala indrio?
FERDINANDO:
Spicciati, impertinente, porta il caffè.
NICOLÒ:
(Da putto,
Ghe fazzo boggier quello con el zucchero e tutto). (Da sé, e parte.)
FERDINANDO:
(Almen, se non mi burla, in volto la vedrò). (Da sé.)
SILVESTRA:
Ho caminà. Son stracca.
FERDINANDO:
Sieda.
SILVESTRA:
Me senterò.
Che el se senta anca ello, che da giersera in qua
Nol pol esser che basta gnancora destraccà.
FERDINANDO:
È ver, fui sul festino. Ci foste voi?
SILVESTRA:
Sior sì
FERDINANDO:
Ho ballato di molto.
SILVESTRA:
L'ha ballà anca con mi.
FERDINANDO:
Ho ballato con tutte.
SILVESTRA:
L'ha fatto ben, xe giusto;
Ma me par che con mi l'abbia ballà de gusto.
FERDINANDO:
Posso saper chi siete?
SILVESTRA:
Che el l'indivina mo.
FERDINANDO:
Mi confondon le maschere indovinar non so.
E quello che confondere mi fa più d'ogni cosa,
È quel nastro incarnato, o sia color di rosa.
SILVESTRA:
Sto galan ghe fa spezie?
FERDINANDO:
Certo, perché un viglietto
Dissemi che l'avrebbe, chi mi vuol bene in petto.
SILVESTRA:
La diga, sto viglietto princìpielo cussì?
Ferdinando adorabile
FERDINANDO:
Senz'altro eccolo qui.
Voi potrete svelarmi quel che saper desio.
Chi vergò questo foglio?
SILVESTRA:
El carattere è mio.
FERDINANDO:
Dunque voi siete quella che ad onorarmi inclina?
SILVESTRA:
(Voggio farme del merito, za no ghe xe Marina). (Da sé.)
Certo quella mi son, come dise el biglietto,
Costretta notte e zorno a sospirar d'affetto.
FERDINANDO:
Ti ringrazio, fortuna, alfin scoperto ho il vero.
Ma il vostro cor, signora, posso sperar sincero?
SILVESTRA:
Caspita! sincerissimo le zovene par mie
In sta sorte de cosse no le dise busie.
FERDINANDO:
Oh ciel! siete fanciulla, vedova, o maritata?
SILVESTRA:
Oh son putta, son putta.
FERDINANDO:
Perché andar scompagnata?
SILVESTRA:
Gh'ho la mia compagnia qua da drio in t'un canton.
Son vegnua per parlarghe senza aver suggizion.
FERDINANDO:
(Al gesto, alla maniera, parmi che sia bellina).
La vostra condizione?
SILVESTRA:
Son quasi cittadina.
FERDINANDO:
Sarà per me una sorte ch'io non merito certo,
Servire una signora qual siete voi di merto.
Scopritevi, di grazia. Questo caffè non viene? (Forte.)
(Il desio di vederla mi fa vivere in pene). (Da sé.)
NICOLÒ:
El caffè xe qua pronto.
FERDINANDO:
Si smascheri, signora.
SILVESTRA:
Vien zente?
FERDINANDO:
Siamo soli. Affé, non vedo l'ora.
SILVESTRA:
Me cognossela? (Smascherandosi.)
FERDINANDO:
(Oimè!)
SILVESTRA:
Coss'è stà?
FERDINANDO:
Niente, niente.
SILVESTRA:
Ghe vien mal?
FERDINANDO:
No signora par che mi dolga un dente.
SILVESTRA:
Via, via, ghe passerà. Xelo bon sto caffè? (Mettendosi molto zucchero.)
NICOLÒ:
Lal senta.
FERDINANDO:
(Gran fortuna che oggi è toccata a me!) (Da sé.)
SILVESTRA:
Deme dell'altro zucchero: vegnì qua, caro fio. (A Nicolò.)
NICOLÒ:
Ancora? se col zuccaro mezz'ora l'ha bogio.
SILVESTRA:
A mi me piase el dolce. E a ella? (A Ferdinando.)
FERDINANDO:
Certamente.
SILVESTRA:
Col caffè no xe dolce, nol me piase per gnente.
Oh caro sto dolcetto! (Succhiando lo zucchero in fondo alla tazza.)
NICOLÒ:
(L'è vecchia co è la luna).
Me consolo con ella. (A Ferdinando.)
FERDINANDO:
Di che?
NICOLÒ:
De sta fortuna. (Parte.)
FERDINANDO:
Anche costui mi burla.
SILVESTRA:
Vorla che andemo via?
FERDINANDO:
Vada pur.
SILVESTRA:
No son degna de la so compagnia?
FERDINANDO:
Ma! non è accompagnata?
SILVESTRA:
Via, che el vegna con mi.
Co le putte civil no se tratta cussì.
FERDINANDO:
Dove destina andare?
SILVESTRA:
A casa.
FERDINANDO:
Che diranno,
Se una putta sua pari col forastier vedranno?
SILVESTRA:
Cossa vorla che i diga? Vôi far quel che me par.
Nissun no me comanda, e son da maridar.
La me daga la man.
FERDINANDO:
(Godiam questa vecchietta). (Da sé.)
Eccomi qui a servirla.
SILVESTRA:
Cara quella grazietta! (Partono.)

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