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Il campiello/Atto quarto

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
QUARTO ATTO
1756

 Edission original:   

Opere di Carlo Goldoni, Ugo Mursia editore 1969

 Fonte:

http://www.liberliber.it/libri/g/goldoni/index.htm

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SCENA PRIMA

[canbia]

Il CAVALIERE esce di locanda senza cappello e senza spada

CAVALIERE Io non ne posso più, confesso il vero,
Non ho goduto mai una giornata
Allegra come questa;
Ma non resisto più, mi duol la testa.
Che gridi! che rumore!
Che brindisi sguaiati;
Credo sian più di mezzi ubbriacati.
Vo' prendere un po' d'aria, e vo' frattanto,
Che il zio di Gasparina
Mi venga a render conto
Del trattamento suo, ch'è un mezzo affronto.
Oggi la testa calda ho anch'io non poco,
Se mi stuzzica niente, io prendo foco.
Oh di casa!

SCENA SECONDA

[canbia]

GASPARINA sul poggiuolo, ed il suddetto

GASPARINA (viene sul poggiuolo)
CAVALIERE Signora. (salutandola)
GASPARINA Mo cozza vorlo? el vaga via in bon'ora.
CAVALIERE Domando il signor zio.
GASPARINA Oh ze el zavezze!
CAVALIERE Ditemi, cosa è stato?
GASPARINA No ghe pozzo parlar. Zon zfortunada.
CAVALIERE Dite allo zio, che favorisca in strada.
GASPARINA El m'ha dito cuzzì...
CAVALIERE Non vi esponete
A un insulto novel per causa mia.
Ritiratevi pur.
GASPARINA Oh, vago via. (in atto di ritirarsi, poi torna)
La zenta, voggio dir zta cozza zola.
Zior, el m'ha dito una brutta parola.
CAVALIERE E che cosa vi ha detto?
GASPARINA No vorave,
Che el me zentizze. Vago via. (come sopra)
CAVALIERE Sì, brava.
GASPARINA Oe, la zenta, el m'ha dito: «ziete ziocca».
Cozza vol dir?
CAVALIERE Stolta vuol dire, alocca.
Ma andate via, che non vi trovi qui.
GASPARINA Oh che caro zior barba! alocca a mi?
I dirà, che el zè matto,
Ze a dir zte cozze el ze farà zentir.
Ze de mi tutti no ghe n'ha che dir!
Che el ghe ne trova un'altra
Zovene in zto paeze,
Che capizza el Tozcano, e anca el Franzeze.
Che el ghe ne trova un'altra, co fa mi,
Che ztaga notte, e dì coi libri in man,
E che zappia i romanzi a menadeo.
Co zento una canzon, l'imparo zubito;
Co vago a una commedia,
Zubito che l'ho vizta,
Zo giudicar, ze la zè bona, o trizta;
E quando la me par cattiva a mi,
Bizogna certo, che la zia cuzì!
CAVALIERE Signora, vostro zio.
GASPARINA No zon de quele,
Che troppo gh'abbia piazzo a laorar;
Ma me piaze ztudiar, e ze vien fora
Zotto el Reloggio qualche bella iztoria,
Zubito, in verità, la zo a memoria.

SCENA TERZA

[canbia]

FABRIZIO di casa, e detti

FABRIZIO (esce, e saluta il Cavaliere senza parlare)
CAVALIERE Servitor suo. (salutando Fabrizio)
GASPARINA Zerva, zior Cavalier,
Me lazzelo cuzì? (credendo esser ella salutata)
FABRIZIO La riverisco. (a Gasperina, facendosi vedere)
GASPARINA Oh poveretta mi! (parte)
FABRIZIO Signor, parmi l'ardire un po' soverchio.
CAVALIERE Son venuto per voi.
FABRIZIO Che vuol da' fatti miei?
CAVALIERE Non si tratta così coi pari miei.
FABRIZIO Non vi conosco, ma qualunque siate
Saprete bene, che l'onor consiglia
Di custodir con gelosia una figlia.
CAVALIERE Io non l'insulto, e poi
Non è una gran signora.
FABRIZIO Chi ella si sia, voi non sapete ancora.
CAVALIERE Chi è sono informato,
So, che in misero stato è la famiglia,
E che alla fin di un bottegaio è figlia.
FABRIZIO È ver, che mio fratello,
Per ragion d'un duello,
Da Napoli è fuggito,
E in Venezia arrivato,
Con femmina inegual si è maritato;
Misero, fu costretto a far mestiere;
Povero nacque, è ver, ma cavaliere.
CAVALIERE Siete napoletani?
FABRIZIO Sì signore.
CAVALIERE Son di Napoli anch'io;
Noto vi sarà forse il nome mio.
FABRIZIO Dar si potrebbe.
CAVALIERE Io sono
Il cavaliere Astolfi.
FABRIZIO Vi domando perdono
Se il mio dovere non ho fatto in prima;
Ebbi pel padre vostro della stima.
CAVALIERE Lo saprete, ch'è morto.
FABRIZIO Il so pur troppo;
E so, deh compatitemi
Se parlovi sincero,
Che voi vi siete rovinato.
CAVALIERE È vero.
Son tre anni, che giro per il mondo,
Ed è la borsa mia ridotta al fondo.
FABRIZIO Che pensate di far?
CAVALIERE Non so; l'entrate
Son per altri due anni ipotecate.
FABRIZIO Compatite, signore,
Questa non è la via.
CAVALIERE Non mi parlate di malinconia.
Per questi quattro giorni
Di carnevale ho del denar, che basta.
FABRIZIO Quando terminerà?
CAVALIERE Non vo' pensar; quel che sarà, sarà.
Voi come vi chiamate?
FABRIZIO Fabrizio dei Ritorti.
CAVALIERE Oh oh aspettate,
Siete voi quel Fabrizio,
Ch'era in paese in povertà ridotto,
E che ricco si è fatto con il lotto?
FABRIZIO Ricco no; ma son quel che ha guadagnato,
Tanto, che basta a migliorar lo stato.
CAVALIERE Avrete del denaro.
FABRIZIO Ho una nipote,
Che abbisogna di dote.
CAVALIERE Quanto le destinate?
FABRIZIO Se troverà marito,
Darò più, darò men giusta al partito.
CAVALIERE Ella lo sa?
FABRIZIO Non ne sa niente ancora.
Conoscerla ho voluto, esaminarla;
Ma presto, se si può, vuo' maritarla.
CAVALIERE (Se avesse buona dote,
Quasi mi esibirei
Per aggiustare gl'interessi miei).
FABRIZIO (Tre, o quattromila scudi,
E anche più, se conviene,
Io sborserei per colocarla bene).
CAVALIERE A chi vorreste darla?
FABRIZIO Le occasioni
Ancor non son venute.

SCENA QUARTA

[canbia]

LUCIETTA, ANZOLETTO, donna CATTE, donna PASQUA, ORSOLA, GNESE, ZORZETTO sulla loggia della locanda, e detti

LUCIETTA Oe, sior compare, alla vostra salute. (beve col bicchiere)
CAVALIERE Evviva.
FABRIZIO Con licenza. (al Cavaliere)
CAVALIERE Dove andate?
FABRIZIO Fuggo da queste donne indiavolate. (parte, e va in casa)
LUCIETTA Mo cossa falo, che nol vien dessù?
DONNA CATTE Ho magnà tanto, che no posso più.
CAVALIERE Animo, buona gente,
Bevete allegramente.
DONNA PASQUA Via bevemo.
LUCIETTA Sior compare, ghe 'l femo. (col bicchiere in mano)
CAVALIERE Bevete pure, compagnia giuliva.
DONNA PASQUA Alla salute di chi paga.
TUTTI E viva.
LUCIETTA Zitto, che voggio far
Un bel prindese in rima.
«Co son in allegria, mi no me instizzo,
Alla salute del mio bel novizzo».
TUTTI E viva, e viva.
ORSOLA Anca mi, presto, presto. (col bicchiere si fa dar da bevere)
ANZOLETTO Via sto poco de resto. (versa col boccale il vino ad Orsola)
ORSOLA «Co sto gotto de vin, ch'è dolce, e bon,
Fazzo un prindese in rima al più minchion».
TUTTI E viva, e viva.
LUCIETTA Oe a chi ghe la dastu?
ORSOLA Oh che gonza! No sastu? (accenna il Cavaliere)
CAVALIERE Via, bravi, che si rida, e che si beva,
Questo brindesi è mio, nessun mel leva.
ANZOLETTO Anca mi, sior compare,
«Un prindese ghe fazzo
Co sto vin che gh'ho in man,
Con patto, che el me staga da lontan».
CAVALIERE «Vi rispondo ancor io, compare, amico:
Di star con voi non me n'importa un fico».
TUTTI E viva, e viva.
DONNA PASQUA Son qua mi; patroni.
Dème da béver. (ad Anzoletto)
ANZOLETTO Tolè pur vecchietta.
DONNA PASQUA No me dir vecchia, razza maledetta.
«E se son vecchia no son el demonio,
Alla salute del bon matrimonio».
TUTTI E viva, e viva.
DONNA CATTE Presto, presto a mi. (si fa dar da bere)
«Senza mario mi no posso star più,
Alla salute della zoventù».
TUTTI E viva, e viva.
ZORZETTO Un prindese anca mi
Vòi far; ve contentèu?
ORSOLA Falo, falo, fio mio.
ZORZETTO Via, me ne deu? (chiede da bevere ad Anzoletto)
«Sto vin xè meggio assae dell'acqua riosa
Alla salute de la mia morosa».
TUTTI E viva, e viva.
DONNA PASQUA Via, Gnese, anca ti,
Che ti xè cusì brava.
ORSOLA Fàte onor!
GNESE Dème da béver. (a Anzoletto)
ORSOLA Fàghelo de cuor.
ZORZETTO Voggio dàrghelo mi. (leva la boccia di mano d'Anzoletto)
ANZOLETTO Olà! debotto!...
ZORZETTO Vardè, che sesti!
LUCIETTA Tasi là, pissotto.
GNESE «Co sto vin, che xè puro, e xè dolcetto
Mi bevo alla salute...»
DONNA PASQUA «De Zorzetto».
GNESE No, de sior Anzoletto.
ZORZETTO Vardè che sesti!
LUCIETTA Senti sa, pettazza
Te darò una schiaffazza.
ORSOLA Oe, oe, patrona?
DONNA PASQUA Schiaffi a chi, scagazzera?
DONNA CATTE Vecchiazza.
ORSOLA Tasè là.
LUCIETTA Via frittolera.
TUTTI Cossa? via, tasè là; farò, dirò;
Lassè star, vegnì qua, zito, sior no. (tutti insieme alternativamente dicono tai parole, e tutti entrano)
CAVALIERE Dai brindesi al gridar passati sono;
Questa è tutta virtù del vino buono.
Un disordine è questo,
Ma se vad'io, li aggiusterò ben presto;
E se non vonno intendere ragione,
Da cavaliere adopero il bastone. (entra in locanda)

SCENA QUINTA

[canbia]

GASPERINA sul poggiuolo, poi FABRIZIO di casa

GASPARINA Mo cozza zè zto ztrepito?
Mo la zè una gran cozza in zto campiello;
Me par, che ziemo a caza de colù.
FABRIZIO Per dispetto lo fan, non posso più.
GASPARINA Dove valo, zior barba?
FABRIZIO A ricercare
Una casa lontana, e vuo' trovarla
Innanzi domattina,
Quando fosse ben anche una cantina.
GASPARINA Mo zì dazzeno, che anca mi zon ztuffa.
Zempre zuzzuri; zempre i fa baruffa.
FABRIZIO Mi fa stupire il cavaliere Astolfi,
Che di simile gente è il protettor.
GASPARINA Chi zèlo zto zignor?
FABRIZIO Quel, che ho veduto
Fare a vossignoria più d'un saluto.
GASPARINA Lo cognozzelo?
FABRIZIO Sì, è d'una famiglia
Nobile assai, ma il suo poco giudizio
Ha mandata la casa in precipizio.
GASPARINA La me conta qualcozza.
FABRIZIO In su la strada
Vi parlerò? Si vede ben che avete
Voi pur poca prudenza. Orsù andar voglio
A proveder di casa innanzi sera. (fa qualche passo)
Oh, mandatemi giù la tabacchiera.
GASPARINA Zubito. (entra)
FABRIZIO In questo loco
Parmi d'esser nel foco. Son dei mesi,
Che ogni giorno si sente del fracasso,
Ma non si è fatto mai così gran chiasso.
E poi, e poi, cospetto!
Perdere a me il rispetto?
Meglio è, ch'io vada via di questa casa.
GASPARINA Zon qua. (di casa, colla tabacchiera in mano)
FABRIZIO Ma perché voi? (irato)
GASPARINA Mo via, che
el taza.
El za pur, che la zerva zè amalada.
FABRIZIO Io non voglio, che voi venghiate in strada.
Dal balcon si poteva buttar giù. (prende la tabacchiera con collera)
GASPARINA No ghe vegnirò più.
FABRIZIO La madre vi ha allevata
Vil com'ella era nata, e il padre vostro
Si è scordato egli pur del sangue nostro.
GASPARINA Zior barba, zemio nobili?
FABRIZIO Partite.
GASPARINA Me zento un no zo che de nobiltà.
FABRIZIO Andate via di qua;
Entrate in quella casa,
E non uscite più.
GASPARINA Mo via, che el taza. (entra)
FABRIZIO Fino che l'ho con me, non sto più bene
Vuo' maritarla al primo che mi viene. (parte)

SCENA SESTA

[canbia]

Il CAVALIERE dalla locanda e SANSUGA

CAVALIERE L'abbiamo accomodata.
SANSUGA La xè una baronata;
La ghe doveva metter più spavento.
CAVALIERE Io me la prendo per divertimento.
Or ora scenderanno,
Canteran, balleranno;
E questo è il piacer mio,
Veder ballare; e vuo' ballare anch'io.
SANSUGA Vorla el conto?
CAVALIERE Vediamo.
SANSUGA Eccolo qua. (gli dà il conto)
CAVALIERE Settanta lire! che bestialità!
SANSUGA Ghe ne xè più de trenta
De vin, ghe lo protesto;
Porlo spender de manco in tutto el resto?
CAVALIERE Bastano tre zecchini?
SANSUGA No vòi gnanca,
Che la sia desgustada.
CAVALIERE Eccoli qui.
SANSUGA E po ghe xè la bona man a mi.
CAVALIERE Ecco mezzo ducato.
SANSUGA Obbligatissimo.
CAVALIERE Siete contento ancor?
SANSUGA Son contentissimo.
CAVALIERE Dite che ponno ritornare a basso.
SANSUGA Me par che i vegna; séntela che chiasso? (parte)

SCENA SETTIMA

[canbia]

Il CAVALIERE, poi GASPARINA

CAVALIERE Oh, se finisco il carnevale in bene,
È un prodigio davvero.
La borsa va calando; se Fabrizio
Mi facesse il servizio
Di darmi sua nipote,
Oh, mi accomodarebbe un po' di dote!
Finalmente è di sangue
Nobile, e se sua madre
Era d'altra genia,
Una dama non fu né men la mia.
GASPARINA El cavalier Aztolfi.
CAVALIERE Oh mia signora,
Or che so il grado vostro,
Di donarvi il mio cor mi son prefisso.
Nobile siete, il so.
GASPARINA La reverizzo. (sostenuta)
CAVALIERE Lo zio mi ha confidato,
Ch'ambi siam d'una patria, e che ambi siamo
Poco più, poco men...
GASPARINA Già lo zappiamo.
CAVALIERE Egli vuol maritarvi.
GASPARINA Cozzì è.
CAVALIERE Volesse il Ciel, che voi toccaste a me.
GASPARINA La diga: èlo zelenza?
CAVALIERE Me la sogliono dare in qualche loco.
GASPARINA Che i me diga luztrizzima zè poco.
CAVALIERE Titolata sarete.
GASPARINA Zì dazzeno? (si sente strepito nella locanda)
Cozza zè zto fracazzo?
CAVALIERE Ecco la compagnia; ci ho un gusto pazzo.
GASPARINA Ztar qui no ze convien a una par mio.
La reverizzo.
CAVALIERE Vi son servo.
GASPARINA Addio. (parte)

SCENA OTTAVA

[canbia]

LUCIETTA, ORSOLA, GNESE, donna CATTE, donna PASQUA, ANZOLETTO, ZORZETTO. - Orbi, che vengono dalla campagna suonando, - Tutti escono dalla locanda; alcuna delle donne suona il zimbano alla veneziana; donna Pasqua canta alla villotta; ballano alcune furlane, ed anco le vecchie. Vengono altri di strada; si uniscono, e ballano con un ballo in tutti; poi come segue.

LUCIETTA No posso più; vien via con mi Anzoletto.
DONNA CATTE Presto, che vaga a collegarme in letto. (parte, ed entra in casa)
ANZOLETTO Seu stracca? v'averè cavà la pizza. (a Lucietta)
LUCIETTA Oe, no volè che balla? son novizza. (parte, ed entra in casa)
ANZOLETTO Eh, co son so mario,
Sangue de diana, che la gh'ha fenio. (parte, ed entra con Lucietta)
DONNA PASQUA Puti, mi no ghe vedo.
GNESE Vegnì via.
DONNA PASQUA Dame man, che no casca, cara fia.
GNESE Andemo, vegnì qua. (dà mano a donna Pasqua)
ZORZETTO Gnanca un saludo?
GNESE Oh matto inspirità!
ORSOLA Tasi, tasi, fio mio; no la xè usa.
Ma da resto de drento la se brusa. (entra in casa)
ZORZETTO So, che la me vol ben,
Per questo no me togo certi affani;
Ma me despiase sto aspettar do ani. (entra in casa)
CAVALIERE Schiavo di lor signori;
Or che ciascuno è sazio,
Non mi han detto nemmeno: vi ringrazio. (entra in locanda)

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