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Pagina:Selvatico - Commedie e Poesie Veneziane, Milano, Treves, 1910.pdf/7

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Chi assistette, fanciullo, alla liberazione di Venezia dal dominio straniero, mai non dimenticherà la gioia come di primavera che si effuse e vibrò nell’aria in quel tardo autunno del 1866. Mentre le sciabole austriache percotevano ancora il lastrico delle strade, nelle case le donne cucivano secretamente i lembi del tricolore e quell’affaccendarsi furtivo mesceva un non so che di trepido e solenne alla letizia dei nostri giuochi infantili. E con che lagrime contemplarono i vecchi, con che fremiti salutarono i giovani l'improvviso ondeggiare dei colori della patria dalle antenne di San Marco, lungo il Canal Grande, per le calli, per i campi, sullo specchio angusto dei rii! Pareva che in quelle pallide giornate di ottobre tutto s’infiorasse di speranza, i cuori come le pietre.

Calmata appena la prima ebbrezza, le tenne dietro l'ansia di riconquistare il tempo miserevolmente perduto. Fu allora un’esplosione di nuove idee, una affermazione un po’ tumultuaria di nuovi intenti, un dilatarsi dei polmoni in quel respiro di fede che è il massimo beneficio della libertà. Poco dopo, per una di quelle coincidenze che si direbbero auguri e non casi, l'apertura del Canale di Suez parve do-

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