Pagina:Raccolta di poesie in dialetto veneziano 1845.djvu/248

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     Non è balsamo ancor l'ambascia altrui?
     Fialo di un'altra illustre principessa
     La rea vicenda. Io spettator ne fui.
     Beltà vampa è di sol: nutre se stessa
     Rassorbendo emanati i raggi sui:
     Ardea la bella, ed all'eccesso amante
     Riluceale l'ardor sul bel sembiante.
Non vantava il garzon l'ombre degli avi,
     Ma vaghe forme, un cor, sensi soavi.
11Mentre fra dolci amplessi, in erma stanza,
     Mormoravano un dì flebili accenti,
     Scorti 'l padre di lor, che lento avanza,
     Gli occhi accesi d'amor, cupidi, ardenti,
     Arma l'aulica destra di possanza,
     Ne squassa ad ambo, in doppio colpo, i denti...
     Ma vil ferreo strumento adocchia a terra
     Il garzon prode e rapido lo afferra,
L'alta cervice al suo signor percuote;
     Liquid'ostro regal striscia le gote.
12A lei nel cor, tenera amante e figlia,
     Quale e quanta d'affetti aspra battaglia!
     Cede al terror, che cieco la consiglia;
     Sbalza al veron e nel giardin si scaglia.
     La rea caduta lacera, scompiglia
     Del delicato pie la nervea maglia;
     Vid'io lo sfregio in fronte al padre impresso:
     E zoppicar vidi la figlia io stesso.
Al nuovo giorno, al suon di sue ritorte
     Tratto è l'amante a ignominiosa morte.
13Ella a l'eburneo collo dell'amato
     Fido garzon non vide il laccio infame,
     Che stridò e svenne. Almen pietoso il fato
     Tronco le avesse l'abborrito stame!
     Nel carcer tetro, che chiudeala, dato
     Fu a me di penetrar. Atroce sciame
     Rodeale il core d'angosciosi affanni:
     Nè d'altro mi parlò che de' suoi danni.» —
Perchè dunque non posso, eterni dei,
     Milord, anch'io parlar de' danni miei? —
14«Perchè, adirla, miledi, a la fin fine
     Di più a lungo parlarne a voi disdice:
     E dopo tante celebri regine,
     Questa di quella più, meno, infelice,
     Private rammentar stragi, rovine,
     Piangere, desolarsi a chi più lice?
     Di Niobe il reo destino lo sapete?
     Vi rammentate d'Ecuba e piangete? —
Milord, credete non le avrebbe mai

     Confortate l'istoria de' miei guai.»
15L'à provà qualche favola d'Esopo,
     El gà Boezio e Seneca cità,
     L'à predicà al deserto! El zorno dopo,
     Cavalcando so fio per la cità
     Su la riva del fiume de galopo...
     Punfete! in mezzo al Rodano: negà...
     Pare, più che filosofo, Milor
     Xe sta mato tre dì per el dolor.
Xe andà Miledi assarghe una creanza,
     A condolerse come vol l'usanza:
16E la ga presentà (de cortesia
     No volendo mo starghe un passo indrio)
     La serie esata per cronologia
     Dei re che à perso un dì l'unico fio,
     Con amara disendoghe ironia:
     A voi, Milord, ecco il ristoro, addio.
     Scorre il padre la lista, e bagna intanto
     La barba del filosofo col pianto.
I s'à lassà cussì. Dopo sie mesi
     I xe a Londra tornai da boni Inglesi.
17Arivada la Todi in Inghiltera,
     Ga dà un academion: e là mo a caso
     La duchessa e Milord l'istessa sera
     S'à avudo da incontrar naso co naso:
     Ma vedendose alegri e in bona ciera,
     I s'à streto una man, e i s'à dà un baso:
     E dopo dialogà qualche mumento,
     I à deciso de alzar quel monumento!
Ve 'l mostrarò: superbo! co la sola
     Breve iscrizion: Al tempo che consola.


TOGNOTO E LA MORTE


Tornava dal bosco
     Coi fassi sul colo
     Tognoto, ma solo,
     Ansando, sustando,
     5Strussià come un can.
«Beato, el diseva,
     Chi voga in galìa:
     Che vita bu... e via!
     Me strazzo, me mazzo,
     10Po... a capo doman.

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