Pagina:Poesie di Francesco Gritti in dialetto veneziano.djvu/33

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sostituisse la g, e in luogo di occi, reccie, scieta, ciapi, scrivesse oggi, reggie, sgieta, giapi, come opinano alcuni. Il migliore dei partiti è dunque di lasciare le cose come sono, colla speranza, che se gli stranieri al presente, i posteri in avvenire perderanno qualche bellezza musicale degli apologhi che offriamo al pubblico, verran largamente compensati dalle veneri di que' non pochi pensieri che, stando da sè, non temono le vicissitudini delle lingue e dei tempi.

Le favole non sono il solo genere intorno al quale abbia il nostro Grìtti esercitata la penna. Volle provare quanto potesse il nostro dialetto assumendo le parti di novelliere; e l'esito corrispose per guisa al suo desiderio, che le Novelle disputano con nobile gara la preminenza agli Apologhi, e questi non la cedono in pregio alle Novelle. V'ha inoltre qualche poesia dettata nella lingua dell'Arno, di cui offriremo un saggio nel ritratto di sè stesso, spedito dall'autore ad Erminia Tindaride. Qual egli si fosse in simile aringo, lo diede abbastanza a vedere nelle versioni del Tempio di Guido e della Pulcella di Orleans, già da noi ricordate; nè saranno da meno i pochi versi che stiamo per pubblicare come nuovo argomento del sommo favore di cui gli furono larghe le Muse toscane. E

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