sparse per i vicoli erti ed angusti, sulla soglia degli anditi, a grappoli su per le scale umide e muffose, intente ad incollare scatole di prigionia, per gli umili zolfanelli di legno dalle capocchie variopinte.
A quei tempi, che la chiesetta di San Giovanni, era vergine di restauri e di reintegrazioni, che l'hanno contaminata. Quando infine la poetica fontana, detta del «fero» era un eremo gustoso e salvatichetto, saldato su quattro muriccioli mal sagomati e cadenti, con le scalette rustiche e smozzicate, sotto una cortina di capperi in fiore, col custode troglodita, che dormiva in una specie di antro scavato nel tufo — e non esistevano quelle comodità ed eleganze geometriche, che si vedono al dì d'oggi.
Di tutto quanto ho espresso, resta appena una languida memoria di vita e di poesia vanescente. Non torna, che il panorama grandioso e toccante della città, che si gode dai punti più elevati della cinta montana delle mura scaligere e viscontee.
— Preso, una buona volta, dal fascino originale e perenne di questo scenario,