I no vadagna, de trenta una fiata
Sti gonzi perchè i vien assassinai
Da chi de trufarie sà ben la pata,
E quando i vinti scudi â vadagnai,
I và de longo à trovar la so mata,
Che con do lichi la gli i hà licai,
E cusì al fin i deventa mendichi,
Se i fusse di un milion de scudi richi.
Ma chiudiamo i rivi chè i prati già abbastanza bevvero nè è nostro scopo discorrere partitamente del giuoco a Venezia nel 500: ci basti conoscere, anche alla meglio, il clima morale d'allora per ben gustare il capitolo inedito che ora do alla luce tolto dal noto codice Marciano 248 (it. cl. IX) intitolato «Rime del Veniero e di altri», frutto probabile di quei geniali ritrovi a ca' Venier, dove le dotte dispute s'intrecciavano e la poesia e la musica mitigavano la noia del Mecenate che intorno a sè numerava il fior fiore dei letterati veneti. L'anonimo consiglia un suo amico, giocatore arrabbiato, a lasciare una buona volta tal vizio che l'avrebbe ridotto al lanternino e a darsi a tutt'altro, all'amore, per esempio, o, meglio ancora, allo studio; cosicchè ora che è presentato e rimpannucciato alla meglio il mio uomo, m'inombro e lascio ch'egli snoccioli il ternario.
Pi per mostrarve che son vostro amigo,
Ca per mostrar, che so componer versi,
Ve scrivo adesso questo, che ve digo,
Per dolerme con vu, za ch'have persi
Quanti soldi, ch'havevi per voler
Tagiar senza pensar dreti, e roversi:
Ben che me pore dir, caro missier
Vu ste à criar, è mi no digo niente
Vu have per mal de quel, che mi ho piaser
Po chi no sa che non dire altramente
Vu fe da savio à no ve desperar
Per che per Dio fassa rider la zente:
Ma sare ben pi savio à non zuogar
E contentarve d'haver habu sta pesta
Che le carte per vu sta in pezorar:
Per che piu presto perdesse la vesta.
Che vadagnar un cinquanta ducati,
Caveve pur sta voia de la testa