Pagina:Le Rime Veneziane e Il Minuetto.djvu/11

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tato nell'opera mia, ne sarò soddisfatto; chè io non sono di quelli che trescano e si fan gioco e sollazzo dell'arte, e credono facile ai sorrisi e agli abbandoni la musa alta e severa della poesia. I dilettanti, piovre dell'arte, che non dilettano che sè stessi, annoiando gli altri e rubando il proprio tempo a qualche lucroso mestier materiale per gittar sulla carta parole ch'ei chiamano versi, non potendo agevolmente capire quanto di fatica e di tormento intellettuale costi all'artista la propria opera, troveranno ozioso il desiderio; ma i miei buoni amici lettori vorranno esser certi ch'io rispetto troppo l'arte e la poesia per non cercar ogni mezzo e debole penna de' miei primi imparaticci rimati.

Io cominciai a scrivere versi dialettali molto per tempo: non toccavo, se la memoria non mi falla, gli undici anni, e già mi studiavo di buttar giù parole che rimasser fra loro a fine di riga. Ricordo che mio padre (o padre mio, dopo così dolente ch'io proseguissi in tale stramba fissazione, la colpa fu tutta tua!) mi donava mezza lira ogni poesia, corta o lunga, dialettale o italiana; ed io me la guadagnava ogni giorno, e qualche giorno anche due.

Fra le rime scritte allora mi sovviene

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