Pagina:Raccolta di proverbi veneti.djvu/7

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mi fosse venuta, forse un po' tardi, l'idea di farli raccogliere.

Quì a Venezia l'egregio Notaio D.r Pietro Benvenuti e i giovani miei scolari Carlo Allegri e Raffaello Vivante, ed, a Lonigo, il mio amico Daniele Dalla Torre, non si lasciarono sfuggire un proverbio senza notarlo e darmelo con grandissima premura.

A tutti loro rendo le migliori grazie ch'io posso. Mi perdonino se mai fossi stato soverchiamente importuno, promettendo loro che tale sarò in avvenire; perchè io non metterò il cuore in pace finchè creda che ve ne sieno ancora degli altri da raccogliere. Al popolo Veneto, così attento osservatore e fino scrutatore dei fatti (dai quali hanno origine, conferma e longevità i proverbi), e ingegnoso nell'esprimere i suoi concetti, da non temer chi lo vinca, dobbiamo tutti cercare di far onore quanto egli si merita.

Tutti, inoltre, dobbiamo aver cara la sapienza pratica, positiva, reale, che è ne' proverbi; la quale avvezza la mente a «badare alla verità effettiva delle cose, non alla immaginazione di essa». È una sapienza minuta e pedestre, che però, quando sia bene ordinata e illustrata, può, senza vergogna, stare accanto a quella, certamente più grande, più ideale, più nobile, ma spesso fantastica e artificiale, che si trova nei libri. Una sapienza frizzante, lesta, spontanea, figlia dell'esperienza e del tempo, che mai non invecchia, anzi acquista novo splendore quanto più crescono nel mondo la signoria dell'intelletto e l'amore del Vero. — Sarebbe un'esagerazione l'applicare ad essa il detto di Cicerone: Meliora sunt ea quæ

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