Giudizio imparziale sull'Anedoto di Palfi colla Marietta

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Giudizio imparziale sull'Anedoto di Palfi colla Marietta
1823

 Edission original:   

Pietro BurattiPoesie e satire di Pietro Buratti veneziano, corredato di note preliminari ed annotazioni scritte dallo stesso autore, Amsterdam, J. Loocke, e figlio, 1823

 Fonte:

Indice:Poesie e satire di Pietro Buratti veneziano.pdf

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NOTA PRELIMINARE
Giudizio imparziale sull'anedoto di Palfi con la Marietta.

Il poeta fu accusato da Polo Foscarini uno dei due mantenitori di aver voluto nella precedente composizione far la corte al Principe Palfi, come s'egli fosse un poeta scroccone e venduto. Per il che se ne affronta, e monta nelle collere a segno di sdegnare il vernacolo, e di tentar questa volta un tuono più lirico.

Vi è in Venezia una certa compagnia di pazzi denominata Corte Busonica presidiata da un Duca, e decorata di titoli, di cariche, e d'impieghi. Il gran sicario uno dei primi posti era nel momento esercitato dallo stesso Polo Foscarini, circostanza necessaria a sapersi per intendere lo scherzo del poeta sul proposito, chi scrisse la Satira di Palfi fu un certo Previtali nativo di Gorizia poeta da Teatro, uomo di talenti non comuni, ma piutosto sfortunato nelle sue composizioni perchè già non abbastanza favorite dalle muse.

Per intendere la stroffa decima terza

E chi ancora serba in mente
Quel famoso un altro Tè.

bisogna sapere che in un coro d'opera seria rappresentata alla Fenice l'anno precedente, egli si era permessa la frase del tutto nuova ― Donaci un'altro Tè. Arbitrio che fece ridere i meno scrupolosi. Battezzato da questo bravo galantuomo, in una seconda composizione di risposta alla mia difesa, per un poetaccio degno di celebrare le vacche, rimò per isbaglio la parola Vacca con Cloaca mostrando con ciò di non saperne assai d'ortografia. Del che mi sono creduto lecito di sferzarlo sonoramente come risulta dall'ultima strofa.


Sospettar per un'istante
     Da un sicario si è potuto
     Ch'io mi fossi da birbante
     Ad un Principe venduto.

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Per la gloria di sedere
     Fra quei celebri campioni
     Che gli leccano il messere
     Ed àn fama di scrocconi?
Vil poeta da palazzo
     Me quel giorno battezzare,
     Con orribile strapazzo
     Per desio di crapulare?
O per sciocca ambizione
     Di far plauso, compro vate,
     Al magnifico fiascone
     Di quell'Unghero Magnate?
L'empia accusa ben s'addice
     Al carnefice di Corte
     Che si reputa felice
     Se può dare all'uom la morte.
Ma per Dio che morte nulla
     Dall'oltraggio a me ridonda,
     Pera ognun che si trastulla
     Coll'onor di quella fronda.
Mai di laude io m'ebbi intoppo
     Bianco al bianco, e nero al nero
     Detto ho sempre e son pur troppo
     Or già in culo al mondo intero.
Taccia dunque la maledica
     Lingua impura del Sicario,
     È compito della predica
     Questo esordio necessario.
Si discuta e ben si ponderi 1
     Come giudice imparziale,
     Dove el torto più preponderi,
     Or che siamo in carnovale,

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Sul casetto da postribolo
     Che ha già messo alla berlina
     Lei che prima del patibolo
     Fu al ministro messalina.
Vana, e inutile fatica
     Qui sarebbe il dirvi come
     Ricusò costei la fica
     A un signor di tanto nome.
In buon punto il biondo nume
     Del suo foco un vate accese
     Cui non usa per costume
     Di mostrarsi assai cortese.
E chi ancora serba in mente
     Quel famoso un’altro tè.
     Mormorava maldicente
     Che un tal parto suo non è.
Ma del Sile un cavaliere 2
     Nell’agon s’è presentato
     Ragionando sul volere
     D’una donna da mercato.
E per troppa metafisica
     Un congresso amareggiò
     Che soltanto in bassa fisica
     I talenti esercitò.
Di lui certo io meno arguto
     Non dò torto alla vestale
     Che destò col suo rifiuto
     La sorpresa universale.
Sia pur grande e gigantesco
     Quanto il predica la fama
     Il cazzone principesco
     Che di fotterla avea brama.

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Sono queste bagatelle
     Per chi avezza è da bambina
     A mandar sù e giù la pelle
     Con la docile manina. 3
È il supporre spaventata
     Dalle forme dei cotali
     Chi fu sempre abituata
     Ai concubiti venali
È il supporre un gran miracolo
     In chi certo non è degna,
     Dato il vasto ricettacolo
     Della comoda sua fregna.
Nè il poeta Goriziano
     Mal rispose al cavaliere
     Che invecchiato cortigiano
     S’è voluto far vedere.
Accordando un sol momento
     All’amabile protetta
     L’incredibile portento
     Ch’abbia ancora mona stretta
La sua finta negativa
     Merta laude e non disprezzo,
     Donna ella è speculativa
     Non puttana di vil prezzo.
Il far camera non lice
     Per compenso passeggero
     A famosa meretrice
     Che conosca il suo mestiero.
Che in concordia singolare
     A due pazzi protettori
     Eccitando le sue gare
     Vende cari i suoi favori

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Che le mode oltramontane
     Sfoggia in vesti di Parigi
     Sopra tutte le Puttane
     Che han qui sete di Luigi.
Col veneno su le labbia
     Parli pur di me l’ingrata
     Sciocca in vero è la sua rabbia
     Ch’io l’ho sempre commendata,
E la predico altamente
     Come esempio di decoro
     Contro qualche maldicente
     Che famelico dell’oro,
A gran torto si sorprende
     Che per misero tributo
     Chi, per poco non si vende,
     Sia capace d’un rifiuto.
Ma se giudice qui eletto
     Son pur anco di quel grande
     Che fè scrivere il casetto
     E tesori intorno spande.
No per Dio che la mia Musa
     Imparzial nel suo giudizio
     Dal suo fiasco non lo scusa
     M’abbia ei pure in quel servizio,
Fiasco sempre è battezzato
     Il trovar nella sua brama
     Un contrasto inopinato
     Fosse ancor per caso Dama.
E più fiasco s’avvalora
     Se una donna di partito
     Dopo un mezzo quarto d’ora
     Non s’arrende al dolce invito.

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Che se l’uom, che lecca il vaso
     E in aggiunta un signorone,
     Come nacque in questo caso,
     Io lo cresimo fiascone.
Venga pur con me alle prove
     Quella rabida cornacchia
     Che vol basso in Pindo move
     E con me superba gracchia.
Un consiglio mi permetto,
     Per sortir d’allegoria,
     Che quel vate da libretto
     Studi più d’ortografia.
Se non vuole per la rima
     Un ci doppio regolare
     In cloaca dove prima
     Solo sempre usò di stare.




Note
  1. [p. 115]La tavola del Principe era giornalmente frequentata da componenti la Corte Busonica.
  2. [p. 115]Il Cavalier Pola di Treviso che fece una difesa della Marietta poco o nulla gradita dalla Corte Busonica.
  3. [p. 115]Il Pola aveva asserito nella sua diffesa che la Marietta s’era spaventata dalla mole straordinaria del membro principesco.
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