Pagina:Canti popolari vicentini.djvu/9

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e appassiscono. Poche son quelle che abbiano in sè tanta bellezza da sottrarsi al tristo destino.

Queste canzoni del nostro contado sono curiose per la loro veste, che sembra scostarsi alquanto dal dialetto per farsi più eletta avvicinandosi a quella delle toscane: somigliano così alle campagnuole che ne' dì festivi si mettono in gala pur conservando intera la fisonomia loro propria. In esse s'oncontrano molti voci che non appartengono per niente affatto al dialetto nè della città nè dei campi; il che indurrebbe a credere ch'esse ci sien state portate dalla Toscana, come credette l'Alverà, senza però spiegare nè come, nè quando ci sien di là pervenute. Su questo argomento, che merita di essere trattato a parte, noi torneremo quandochessia.

Nelle nostre, come in quello d'altri volghi Italiani, rarissime sono le allusioni a fatti storici: reca certa meraviglia il vedere come le varie vicende delle quali questa terra fu spettatrice, anche le meno lontane e più strepitose non vi abbiano alcuna ricordanza; e se per avventura la si trova in qualcuna, non si sa bene decifrarne il senso, tanto sono oscure. Diversa in ciò l'Italia dalla Grecia le cui canzoni spirano un ardente amore della terra nativa. È in altre canzoni, dal nostro volgo chiamate storie, e che non sono punto da confondersi colla fiabe prosastiche, che si accenna a fatti spaventosi e truci di cavalieri erranti, di castelle incantati, e che so io. Tali sono quelle della Donna Lombarda (della quale noi possediamo due varianti, ambedue più complete di quella pubblicata dal cav. Costantino Nigra nella Rivista Contemporanea) e quelle di Mampresa, e della Bella francese che le nostre donne sanno a memoria. Queste storie fanno meditare e rabbrividire, sì cupe e luttuose esse sono ed avvolte in profondo mistero, fors'anco perchè non si conservano omai più che lacere e a brani: sentivisi il medio evo, e forse non sono che reliquie di antichissimi canti dei trovatori e dei menestrelli.

Cristoforo Pasqualigo.
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