Pagina:Canti popolari vicentini.djvu/6

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di quei bellissimi della Grecia nella Rivista Veneta, giornale che vedemmo mancare prima che avesse potuto darci intera quella preziosa raccolta. Egli diceva: «Chi potesse fare una collezione completa e comparata delle poesie popolari in tutte le lingue conosciute farebbe, a nostra opinione, un libro utile agli studiosi e meraviglioso al pari, e forse più, dei capolavori classici, un libro che abbracciando con potente unità la preghiera e la bestemmia, il riso ed il pianto, l'amore e la morte, sarebbe ottimo complemento e supplemento delle storie dell'umanità in tutte le condizioni politiche, sotto tutti i climi ed in tutti i tempi; un libro il quale meglio che altro mai rappresenterebbe le passioni, le gioje, gli affanni, il cuore umano; insomma la vita.»

Se l'Italia fu l'ultima che desse mano a raccogliere i canti del suo popolo, fu però anche quella che in breve tempo ne ha dato di essi tal copia da superare ogni altra nazione, nè poteva essere altrimenti essendo essa la terra del canto per eccellenza. Tommaseo, Tigri, Visconti, Marcoaldi, Vigo, Nigra, Dal Medico, Alexandri, ed altri ci diedero assai dei canti toscani, romani, còrsi siciliani, liguri, umbri, piemontesi, lombardi, veneziani, e rumeni, che anche questi ultimi appartengono all'Italia.

Queste raccolte assunsero maggiore importanza e destarono più vivo interesse dal loro moltiplicarsi, ed era ben naturale. Non avvezze le menti a cosiffatti studi, non vi si pose da principio più che tanto attenzione, e vennero accolti come ghiribizzi degli eruditi, o trastulli dei beati ozii dei letterati. Ma poscia, conosciuti gli stupendi risultati che se ne ottennero presso le più colte nazioni, specialmente in Germania, ne nacque anche da noi uno straordinario fervore. E se l'opera parve in ogni dove utilissima, riuscì, come avvertiva Emiliani-Giudici, oltremodo benefica in Italia che vanta sopra tutte le altre

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